Atenei, tempo di classifiche, uno strumento utilizzato per le scelte dei neo-diplomati. La più recente è quella del Censis. Anche quest’anno mette gli atenei del Sud nelle ultime posizioni. Ma con quali criteri? La classifica Censis si basa sull’offerta di servizi: borse di studio, strutture, servizi digitali, internazionalizzazione. Mette sullo stesso piano le strutture disponibili, e, in sostanza,  “come è fatto il sito web”. Cose la cui “importanza”, a mio avviso, ha … diversi ordini di grandezza di differenza! Nulla inoltre (non sarebbe questa una cosa da dover conoscere?) riferisce sulla qualità dei professori. Sulla preparazione degli studenti. Dà grande importanza, invece, all’occupabilità: cioè alla percentuale di laureati che ad un anno dalla laurea ha trovato occupazione.

L’occupabilità è nota a chi si interessa di fondi universitari: nelle assegnazioni agli atenei si usa da anni, e per come viene utilizzata si è trasformata in una sorta di regionalismo differenziato in ambito universitario. Le classifiche che usa il MIUR per i fondi sono stilate dall’agenzia ANVUR (di cui bisognerebbe discutere, per valutare la sua attendibilità e, a mio avviso, dubbia utilità), in modo da penalizzare chi è nelle ultime posizioni, e premiare chi è in testa. Indovinate? Ai primi posti gli Atenei del Nord, agli ultimi posti quelli del Mezzogiorno.

“Avrete più soldi se … migliorerete”. E come si fa, senza soldi? Più soldi, migliore classifica, ancora più soldi. E così via, anno dopo anno. Si tratta dell’effetto S. Matteo, noto in sociologia ed in parecchi altri campi:  le risorse disponibili vengono ripartite fra coloro che ne devono beneficiare sostanzialmente in proporzione a quanto hanno già. Il nome deriva da un versetto del Vangelo di S. Matteo «Perché a chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha.»

Ma poi, l’occupabilità misura davvero la qualità della didattica e della ricerca o la preparazione degli studenti? Questo aspetto non sembra proprio interessare gli estensori della classifica Censis. E’ evidente invece di come l’occupabilità sia legata in modo diretto alla qualità del tessuto economico-produttivo-sociale del territorio in cui ha sede l’Ateneo, perché è questo che garantisce maggiori possibilità di lavoro.

Borse di studio. Lo stato dà soldi in proporzione a quanti ne eroga la Regione nei suoi Atenei, non in base a quanti studenti ne hanno diritto. Se una Regione per dimenticanza (!) o scelta politica di bilancio decide, sbagliando, di assegnare poco o nulla per le borse, il corrispondente finanziamento statale si abbassa, e di molto.

In conclusione, si può dire che le classifiche redatte in questo modo finiscono per aggravare il gap Sud-Nord: in base a queste informazioni gli studenti del Sud vanno in atenei del Centro-Nord, i quali avranno di conseguenza più studenti e più soldi (come tasse e come fabbisogno riconosciuto dal governo) per migliorare la qualità dei servizi; qualità che l’anno dopo sarà ancora migliore. Senza contare che (dato SviMez) i circa 150mila studenti del Sud che ogni anno vanno al Nord accrescono il PIL del Nord di vari miliardi (gli studenti del Sud pagano affitti, mangiano, si divertono, si vestono, ecc …, spendendo i soldi del Sud, favorendo l’economia del Nord). Il ministro Manfredi, ex rettore della Federico II, nonché ex-presidente della CRUI, persona capace e bene informata, spero metta in guardia da un uso distorto di tali classifiche.

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10 Commenti

  1. Sono felice venga detto, finalmente. Si pensa a disintegrare questo Stato in tutti i modi, anziché sforzarsi di lavorare bene. Gli intellettuali, però, amano scambiarsi idee e queste viaggiano e ritornano abbellite, mutate.
    Di neocolonialismo culturale, rozzo, brutale, falso, si può ben parlare oggi, da chi tutto fa per il danaro. Molte idee sono delle Università del Sud, solo che non viene citato l’autore, colui che ha sollecitato la trasformazione …
    E’ tutta una lotta, giorno dopo giorno.

  2. Sono d’accordo col fatto che misurare l’occupabilità in base alle strutture sia fuorviante. D’altro canto misurare l’impatto in termini anche economici delle università mi sembra doveroso non tanto per stilare classifiche, ma per cercare di capire se ci siano problemi o se si possa migliorare.
    Se posso dare un contributo, io conosco il sistema di valutazione Canadese dei docenti (ed in parte delle università), oltre che quello italiano. Si basa molto sui risultati degli studenti, nel senso che, essendo i tesisti retribuiti con borse di studio, poi se ne chiede l’outcome al docente, in termini di ricerca, ma anche di occupazione poi avuta dallo studente.
    Non ci vedo nulla di male: se riesci come docente stabilmente a far fare una eccellente ricerca e a fare in modo che i tuoi studenti siano avviati ad una buona carriera, mi sembra normale darti più risorse. Stessa cosa per l’università. Del resto, anche se ci si laurea al Sud, nulla impedisce di andare a lavorare in una multinazionale o all’estero per farsi un CV e poi tornare al Sud. Cercherei quindi di non mescolare le due questioni: le metriche discutibili (le strutture sono solo parte) ed il fatto di essere valutati.
    Del resto è grazie a questa invalutabilità che si hanno docenti assolutamente mediocri nelle governance universitarie, mentre chi tiene rapporti con le aziende, ha progetti e fa ricerca è al palo (altrimenti si vedrebbe la differenza coi mediocri). Mi spiace, ma per esperienza personale il sistema egualitario ha portato ad una classe universitaria non eccellente che usa le eccellenze per nascondere le proprie carenze. Anzi più le eccellenze sono rallentate, più lavorano per arrivare a quello che sarebbe un loro diritto, oltre che un bene per il Paese.

  3. Se ti dicessi che un Ateneo italiano ha perso un paio di milioni di investimenti sulla conservazione dei testi antichi (greco, principalmente) perché il finanziatore voleva avere come vice direttore una persona di fiducia (italiana con CV più lungo di diversi ordinari di riferimento)?
    Risultato se lo sono accaparrato i tedeschi, mettendoci sopra altri soldi.
    Che ne è stato di quelli che hanno perso il finanziamento? Stanno lì

    Non è questione di materie scientifiche o letterarie (per favore non chiamiamole umanistiche, perché umanista ha altro significato). E’ questione di capacità e voglia di sporcarsi le mani, e quella è comune che tu sia in ambito letterario o scientifico. Peccato che in Italia non paghi.

    Ho sinceramente rinunciato a capire questa nazione, che è un un lungo e costante declino culturale e morale da almeno 5 secoli.

  4. Queste classifiche dovrebbero servire come guida ai diciannovenni che debbono scegliere dove iscriversi. Non c’e’ nulla di scandaloso nel far loro sapere che iscrivendosi, che so, qui a Parma, avranno altissime probabilita’ di lavoro e carriera, mentre iscrivendosi altrove ne avranno meno.
    Ovviamente le strutture universitarie han ben poco peso su tale fatto: e’ la citta’ ed il suo contesto socio economico che determinano questa situazione, non ho la minima convinzione che sia merito nostro.
    Discorso diverso e’ una classifica finalizzata ad allocare risorse da parte del Miur.
    Saro’ un’idealista, ma ancora ritengo che si dovrebbero dare piu’ risorse la’ dove ce n’e’ piu’ bisogno, non dove ce la passiamo gia’ molto bene…
    Ma viene invece fatto l’opposto: sei un dipartimento eccellente, pieno di progetti finanziati e con personale di alto livello? Il Miur ti premia ulteriormente…
    Sei un dipartimento scalcinato, con poco personale e che opera in un contesto sfavorito? Punito ancor di piu’.
    Cosi’ la forbice si apre, chi sta bene stara’ sempre meglio, e chi ha dei problemi se li trovera’ ancora piu’ gravi.
    E’ una scelta politica su come gestire la cosa pubblica, e purtropo vedo che e’ una scelta condivisa dall’intero parlamento: quindi non vedo la minima possibilita’ che questo approccio possa cambiare…

  5. I laureati di tutte le Università del Nord hanno più probabilità di trovare lavoro … no solo Pavia, Parma o Padova, ma anche e soprattutto Milano, Verona, Genova, Firenze e Torino.
    La storia delle eccellenze è come il paese che ha i migliori campioni olimpionici mentre (poche decine), ma tutti gli altri (milioni) sono obesi e malati.

  6. Mariam, il discorso di quanto “vale” una persona e’ una china scivolosa…
    Anzitutto significa accettare il principio che e’ giusto che chi vale di piu’ abbia piu’ possibilita’, e gia’ questo un po’ mi disturba.
    Poi bisogna capire come misurare quanto uno vale: valutiamo solo la nostra dote genetica o anche quanto uno si e’ impegnato per migliorare ulteriormente? E chi non ha potuto migliorarsi, perche’ oberato da altri carichi?
    Andare a studiare via da casa e’ un impegno, un sacrificio ed un costo.
    Pero’ apre la mente…
    Perche’ non dovrebbe venire riconosciuto come “valere’ di piu’?

  7. Tutto è vero @ angelo farina.
    Però: io volevo dire altro. Spesso le strade vengono precluse perché non si è fatta una certa università … Voglio dire questo.
    Poi certo. Ci sono tante variabili da considerare.

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