In occasione dell’avvio del Panel finale del Critical Economics Summit tenutosi nei giorni scorsi a Bologna, una studentessa italiana ha pronunciato in inglese una “Lettera al mio professore di economia”, rivolta ad un generico professore di economia mainstream. Condividendone in contenuti, la Redazione di ROARS contribuisce a divulgarne il testo nella traduzione italiana. L’autrice della lettera è Cristina Re, coordinatrice locale di Rethinking Economics Bologna e studentessa magistrale di economia politica nell’Università di Bologna.

Gentile professore*,

Le scrivo per provare a spiegarle lo scopo del Critical Economic Summit. Il motivo principale che ci ha portato a progettare questo evento è legato al fatto che otto persone detengono la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale. Eppure lei ci continua a parlare di un trade-off tra efficienza ed equità. Al fatto che oggi in Italia la disoccupazione giovanile ha superato il 40%, ma lei continua ad insegnarci, utilizzando modelli di pieno impiego, che la disoccupazione è legata alle rigidità nominali o alla presenza di sindacati. Al fatto che siamo entrati nel decimo anno di crisi e lei continua a usare modelli di equilibrio economico generale. Al fatto che il cambiamento climatico sta distruggendo l’ambiente e lei continua ad utilizzare modelli di crescita infinita.

La lista potrebbe continuare all’infinito, ma fondamentalmente tutto ciò è riconducibile ad un problema: quando ci siamo iscritti alla facoltà di economia, ci aspettavamo un’educazione diversa. Riprendo qui la risposta che diede l’economista italiano Achille Loria. Quando gli chiesero: “cosa ti ha spinto a diventare un economista?” lui rispose “il dolore umano”. Proprio lo stesso dolore che ha spinto molti di noi ad intraprendere questi studi.

Quando è scoppiata la crisi economica, avevo 14 anni. Speravo che lo studio dell’economia mi avrebbe portato a comprendere maggiormente il mondo che mi circonda e ad aiutare la società in cui vivo e che vedo soffrire quotidianamente. E come me tanti altri ragazzi e ragazze avevano la stessa aspirazione.

Eppure più studiamo e più ci rendiamo conto del distacco che c’è tra ciò che ci viene insegnato dai libri di testo e ciò che avviene fuori dalle aule.

Gentile professore, sono passati 10 anni dallo scoppio della crisi economica e ancora non mi ha spiegato cosa è successo nel 2007. Non sarò così naif come la regina Elisabetta la quale chiese agli economisti della London School of Economics perché non erano riusciti a prevedere la crisi; so che non è così. Piuttosto vi chiedo di spiegarmi come è possibile che coloro che avevano detto che la situazione era fortemente instabile e che una crisi era in arrivo non sono stati ascoltati. Vi chiedo: perché gli economisti non abbandonano teorie che si sono rivelate e si rivelano così manifestamente incapaci di prevedere?

Gentile professore, le volevo chiedere: secondo lei, questa rigidità nel cambiamento e questa impermeabilità alle critiche sono forse legate a condizionamenti politici?
Sa, non posso non pensare a come l’università in generale abbia perso la capacità di sviluppare pensieri critici e svolga il ruolo di legittimare certe pratiche politiche.

E proprio questo è il punto centrale. Sin dal primo anno di studi viene rimandato ad un momento futuro ed incerto il tempo in cui poter esprimere un pensiero critico: prima alla magistrale, poi al dottorato. I pochi che ci arriveranno però si renderanno conto di non essere altro che degli ingegneri sociali stressati dall’ansia di dover pubblicare, in un ambiente sempre più competitivo, e con ben poco tempo ed energia per poter sviluppare una autonomia di pensiero.

Gentile professore, ora diciamo basta. Per questo abbiamo deciso di organizzare il Summit. È arrivato il momento in cui studenti e professori si confrontino per poter arrivare a definire un cambiamento che ormai è necessario e non si può più rimandare.

Noi, futuri economisti del 21esimo secolo, saremo chiamati a risolvere problematiche enormi e lei semplicemente non ci sta fornendo la giusta preparazione. È arrivato il momento di cambiare l’educazione economica.

Questo è il motivo per cui abbiamo organizzato il Critical Economics Summit.

Con la speranza che colga queste critiche come critiche costruttive, mi auguro che parteciperà in modo utile al dibattito e che ascolterà ciò che noi abbiamo da dire.

Cordiali saluti,

Cristina Re

 

* la lettera è idealmente rivolta a un generico professore mainstream

 

Testo originariamente pubblicato da Link Coordinamento Universitario

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3 Commenti

  1. Due aforismi che girano per il mondo sugli economisti assai feroci:
    1. Se gli economisti capissero qualcosa di economia sarebbero tutti ricchi.
    2. Un signore entra in una grande libreria di New York e chiede ad un commesso: dov’è la sezione di economia? Risposta: laggiù dopo la sezione di fantascienza.
    Da quello che so (e non ho ricontrollato)un solo economista, grande, Keynes divenne ricco giocando alla borsa sui titoli australiani (?) e alla fine comprò tutte le carte di Newton, che erano messe all’asta, sull’alchimia (Newton era un altro grandissimo, ma pure strano).
    Così va il mondo, come sempre: il grande saggio cinese Lao Tzu direbbe: meglio un economista oggi, che un economo domani. O viceversa?

  2. ” …. sono forse legate a condizionamenti politici?” Oh sì, e anche a mistificazioni, a occultamenti, a controverità. Per esempio, il premio Nobel per l’economia non è previsto nel testamento di Nobel, ma proviene dalla Banca di Svezia ed è dedicato alle scienze economiche, in memoria di Alfred Nobel. Piccolo scivolamento tra le parole e la storia del Premio Nobel, al quale non si fa pubblicità. Questi elementi di microstoria non sono secondari. Come anche la famosa domanda della regina non è tanto naïve quanto sembra, e soffre anche del modo in cui è stata riportata, decontestualizzata. Per non dimenticare che non si sa che risposta le è stata data. Ma ora che mi ricordo, credo che la domanda fosse piuttosto “se si sapeva che la crisi sarebbe avvenuta/avanzata, perché non si è fatto niente?” Correggetemi se sbaglio.
    E che cosa è stato risposto alla studentessa Cristina Re? Che sono finite le ideologie? Che le utopie comuniste sono miseramente fallite, per cui ciccia?

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