Perché l’intero editorial board di una rivista, un gruppo di 40 e più persone si dimette in massa? Che cosa nel sistema di gestione di una rivista commerciale risulta così inaccettabile da fare rinunciare all’incarico chi la governa dal punto di vista scientifico? Ci sono alternative alla sottomissione alle regole del mercato?
E’ capitato in passato e quest’anno è già capitato alcune volte.
2015 l’editorial board della rivista Lingua (6 editors e 31 membri del board) rassegna le dimissioni perché Elsevier ha rifiutato di applicare condizioni di fair open access nella definizione dei costi per pubblicare. Viene fondata la rivista Glossa. L’evento è stato ampiamento coperto e documentato dai media.
2019 l’editorial board del Journal of informetrics (Elsevier) si dimette e fonda la rivista Quantitative Science Studies (MIT press) queste le motivazioni:
There were fundamental disagreements between the editorial board and Elsevier, the publisher of JOI, about ownership, open access, and open citations.
Ma è il 2023 l’anno in cui il tema delle dimissioni di interi editorial board diventa significativo.
Gli editorial board della rivista Neuroimage e Neuroimage reports rassegnano le dimissioni e viene fondata la rivista Imaging neuroscience (MIT press).
La motivazione sono i costi per APC considerati troppo alti.
Sempre nel 2023 l’editor in chief della rivista Journal of political philosophy (Wiley) viene rimosso dal suo incarico e parte dell’editorial board si dimette. La motivazione dei dissapori fra editore commerciale e board scientifico è la politica aggressiva dell’editore.
Quando scoppia il caso MDPI la editor in chief di Publications, Gemma Derrick, si dimette e con lei 25 membri dell’editorial board, dichiarando che dalle pratiche di altre riviste dello stesso editore poteva derivare un danno di immagine e reputazionale.
“Editorial boards are rightly demanding that the practices of their journals align with their community norms, not the business strategies of the publishing houses,” ha dichiarato Derrick.
Un altro editors di Publications, Samuel Moore afferma:
“Resignations themselves require careful management and a great deal of coordination, but really are one of the best tools we have for creating a more ethical publishing landscape”
Ultimo (fino ad ora) a dimettersi è l’editorial board della rivista Critical public Health (qui documentato) di Taylor and Francis. Secondo la co-editor in chief:
“While there are inevitable tensions for a critically oriented scholarly journal that is also a commodity marketed by a commercial publisher, over the last year or so it has become increasingly difficult to hold together these two different versions of the journal”.
L’editorial board è migrato a un nuovo journal su PKP.
Di carattere diverso ma sempre connesso allo squilibrio esistente fra obiettivi commerciali e obiettivi scientifici di una rivista è la sostituzione dell’editor in chief di una storica rivista di design, Design studies (Elsevier), raccontata qui. L’editor in chief ha ritenuto insostenibile il target di pubblicare 250 articoli in un anno (la rivista ne pubblica normalmente 35). L’editore lo ha sostituito.
Esistono dunque forti tensioni fra l’anima commerciale e quella scientifica di una rivista in un mercato che è dominato da un oligopolio, ma c’è anche un punto oltre il quale i ricercatori non sono disposti ad andare e in cui ritornano a pensare come scienziati.
La affermazione di una nuova rivista in un mercato editoriale che ha forti barriere all’ingresso è complessa e richiede tempo. Un editorial board che si dimette e che spera di costruire una nuova iniziativa, se si rivolge ad un altro editore commerciale rischia di trovare ripetute le stesse dinamiche che hanno portato alle dimissioni.
Per questo Samuel Moore suggerisce:
“Ultimately, we need to be encouraging institutions to offer financial and technical solutions within the university that offer real, well-supported alternatives to the extraction of the commercial publishing industry. The publishing process has real scholarly value and could be served well if brought back in-house.”
Ritorna dunque il tema della creazione e sostegno di infrastrutture pubbliche governate dalle comunità scientifiche. Si tratta di ripensare a come la ricerca viene validata e disseminata. Di capire se ci sono alternative agli oligopoli della scienza. Le dimissioni recenti e passate di interi editorial board ci dicono che ci sono.