I fiumi “Rio” e la Repubblica di Cospaia

Nascosta nei meandri della Storia d’Italia è esistita, per quasi quattrocento anni, una piccola Repubblica, al confine tra l’alta Umbria e la Toscana, frutto di interpretazioni confuse, o meglio di sfasamenti interpretativi, la Repubblica di Cospaia.

Secondo quanto riportato da Wikipedia, “ottenne, inaspettatamente, l’indipendenza nel 1441, quando papa Eugenio IV, impegnato nella lotta con il Concilio di Basilea, cedette il territorio di Sansepolcro alla Repubblica di Firenze. Per errore, nella designazione del confine, una piccola striscia di terreno non venne inclusa nel trattato che delimitava i confini, e i relativi abitanti dichiararono prontamente l’indipendenza. L’equivoco nacque dal fatto che, a circa 500 metri dal fiume che doveva delimitare il confine (chiamato semplicemente “Rio”), esisteva un omonimo corso d’acqua. I delegati della Repubblica di Firenze considerarono come nuovo confine il fiume “Rio” che si trova più a nord, i delegati dello Stato della Chiesa considerarono invece quello più a sud. Si creò così una sorta di terra di nessuno che fu dichiarata indipendente e riconosciuta nel 1484”. Questo territorio, invero minuscolo (2km di lunghezza e 500 m di larghezza) rimase indipendente fino al 1826.

Il collegamento tra questa vicenda ed il (recentissimo) dibattito sulla possibilità di un “prolungamento di proroga” per i rettori è, come vedremo, meno ardito di quanto possa apparire a prima vista.

 

Rettori in attesa di proroga e la legge 240

Al pari degli abitanti della Repubblica di Cospaia, alcuni rettori appaiono pronti a cogliere l’opportunità che hanno di fronte (qui non l’indipendenza, ma la non meno agognata proroga), approfittando di quello spazio interpretativo che si crea, come avvenne nel 1441, attribuendo due significati diversi alla medesima parola (o qui, meglio, alla medesima espressione). Il “progresso” è, in questo caso, il fatto che a dare una doppia interpretazione non sono soggetti diversi, ma il medesimo soggetto che, a seconda delle esigenze sente di poter scegliere, con l’avallo ministeriale, a quale “Rio” fare riferimento.

La questione verte, ora, non sulla parola Rio, ma sulla parola “adozione” (dello statuto), nelle sue varianti presenti nell’articolo 2 della legge 240: “è adottato” (comma 5), “per adottare” (comma 6), ed appunto “adozione” (comma 9). Per la precisione, è a tre disposizioni che facciamo riferimento: (1) “Lo statuto contenente le modifiche statutarie e’ adottato con delibera del senato accademico, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione” (comma 5); “In caso di mancato rispetto del termine di cui al comma 1, il Ministero assegna all’università un termine di tre mesi per adottare le modifiche statutarie” (comma 6); ed infine, decisiva: “Il mandato dei rettori in carica al momento dell’adozione dello statuto di cui ai commi 5 e 6 e’ prorogato fino al termine dell’anno accademico successivo” (comma 9).

La questione è nota agli addetti ai lavori, abbastanza noiosa ed intricata per tutti gli altri: in sostanza ed in sintesi in ogni università una speciale commissione è stata chiamata a definire un nuovo statuto ai fini della sua adozione, entro termini ristretti, da parte del senato accademico previo parere del consiglio di amministrazione di ciascun ateneo. E’ a questa “adozione” che si fa riferimento per calcolare il termine della proroga consentita ai rettori in carica (appunto, al momento dell’adozione): un’adozione che vale in due direzioni. Serve (1) a rispettare quanto previsto dalla legge e quindi ad evitare la messa in mora ed i poteri sostitutivi del Ministro e (2) a legittimare una straordinaria proroga dei rettori in carica.

Il disegno appare chiaro, l’interpretazione univoca: tanto più che nel prevedere la proroga, il comma 9 esplicita che il riferimento è proprio all’adozione dello statuto di cui al comma 5, vale a dire a all’adozione “con delibera del senato accademico”.

Questa “adozione” non è, però, il momento finale del percorso che porterà all’entrata in vigore del nuovo statuto, dal momento che manca (ancora) il controllo ministeriale, l’eventuale nuova approvazione con le necessarie modifiche, il decreto e quindi la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Il discorso è chiuso, la ricerca di nuove giustificazioni per la permanenza in carica di rettori spesso di lungo, se non lunghissimo corso, appare giunta al termine.

A questo punto, però, sorge “spontanea”, una domanda: ma se è questo il percorso che conduce all’entrata in vigore del nuovo statuto, la “nuova approvazione” (del testo così come risultante dal recepimento delle obiezioni ministeriali) non è forse una nuova “adozione”?

 

Argomenti deboli per un’interpretazione forzata

Così formulata, la domanda parrebbe campata in aria, per quanto presumibilmente in linea con i desiderata di rettori in molti casi in sella da oltre un decennio. Quali argomenti, però, a sostegno? Voci incontrollate parlano di note ministeriali oltre che di annotazioni a margine degli statuti “rimandati” con modifiche a varie università, ma questo sarebbe al più il contenitore, e non il contenuto. Un contenitore debole, oltre tutto.

Un possibile argomento sembra passare per la legge “Ruberti”, la legge n. 168 del 1989 sull’autonomia, richiamata dalla l. 240 allorché si prevede che “lo statuto, adottato ai sensi dei commi 5 e 6 del presente articolo, è trasmesso al Ministero che esercita il controllo previsto all’articolo 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168, entro centoventi giorni dalla ricezione dello stesso”. Nella legge n. 168 in effetti si parla di deliberazioni “adottate” con riferimento ad un’ipotesi parzialmente diversa da quanto previsto nella legge n. 240, prevedendo che, a fronte di rilievi del Ministro in sede di controllo, “gli  organi competenti dell’università possono non  conformarsi  ai  rilievi  di legittimità con deliberazione adottata  dalla  maggioranza  dei  tre quinti  dei  suoi  componenti,  ovvero  ai  rilievi  di  merito  con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta” (art. 6, comma 10 della l. 168). A leggere la norma se ne ricava chiara l’idea che il termine adozione si presta bene ad essere utilizzato in contesti differenti, ma non sembra potersi far discendere da questa previsione alcun effetto sul combinato disposto dei commi 5, 6 e 9 della legge n. 240, vale a dire sul fatto che ai fini della proroga dei rettori si fa riferimento all’adozione del testo del nuovo statuto da parte delle commissioni all’uopo costituite, che precede il controllo ministeriale.

Un diverso ragionamento passa, invece, per una scelta interpretativa in cui la stessa espressione acquista due diversi significati, come il fiume Rio di antica memoria: l’adozione dello statuto è sì la prima approvazione del testo da parte del senato accademico, e questo vale per evitare il commissariamento (o la messa in mora), ma al tempo stesso è anche la seconda, susseguente al controllo ministeriale allorché si debbano apportare modifiche o riapprovare il testo con maggioranze qualificate, ed in questo caso è a quest’ultima che può farsi riferimento per la proroga (di un anno in più, dunque) dei rettori.

Adozione “formale” dello statuto la prima, adozione “sostanziale” la seconda? Qui il compito del giurista si ferma, mentre l’interprete può ambire a nuove proroghe, ormai libero dai vincoli del principio di non contraddizione.

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3 Commenti

  1. La “autorizzazione” del ministero è una lettera che (per Parma) dice così:
    “Con riferimento alla nota del , con la quale si chiede di sapere se sia corretto considerare il mandato del rettore in carica prorogato fino al termine dell’AA 2012-2013, si osserva quanto segue:
    Si ritiene condivisibile l’interpretazione esposta da codesto Ateneo, in quanto il mandato del rettore, ai sensi dell’art. 2 , comma 9, terzo periodo, della legge 240/2010 deve intendersi prorogato fino al termine dell’AA successivo all’adozione del nuovo statuto universitario.
    Il Direttore Generale Daniele Livon”

    Da notare che il rettore aveva già ottenuto una proraga per l’anno accademico passato… quindi si mette prima al di qua e poi al di la’del doppio confine.

  2. Una domanda ai colleghi giuristi: ma può una semplice lettera firmata da un funzionario del MIUR valere come un parere del Consiglio di Stato o del Ministro? Come può accadere che una lettera del genere abbia un valore legale tale che in sua forza certi Rettori si autoprorogano il mandato? E’ legale?
    Mi risulta che lo stesso Dr. Livon ha inviato un altro parere da cui deriva il fatto che le Facoltà di Medicina dovranno essere una eccezione alla norma della 240 che abroga le Facoltà in quanto, uniche, dovranno avere obbligatoriamente una struttura di raccordo che, con altra denominazione, corrisponde al Preside di Facoltà. Tutto cambi affinchè nulla cambi.Mi dicono che la lettera è del CUN, ma controfirmata anche da Livon. Anche in questo caso, il CUN è diventato organo legislativo?
    Qualcuno mi può spiegare la validità legale di certe disposizioni? Grazie

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