Una settimana fa è stato pubblicato sul sito di informazione universitaria Roars il nostro appello contro la valutazione di Stato, dal titolo “Disintossichiamoci – Sapere per il futuro”, che ha già raccolto oltre 1.250 firme, da tutte le aree del Paese e da tutte le discipline, a dimostrazione del carattere tutt’altro che settoriale del disagio che denunciamo. C’è ora chi sta provando a delegittimare la nostra iniziativa etichettandoci come No-Val. Ebbene, questa rozza e irriflessa analogia va stroncata sul nascere: davvero noi saremmo noi i No-Val, mentre chi ci critica sarebbe per una valutazione accurata e attendibile della qualità della ricerca? In realtà, non ci si riflette mai abbastanza, la scienza è esistita per secoli anche prima dell’Anvur, con i propri sistemi di valutazione. Dunque, in fin dei conti chi veramente è No-Val? Chi giudica e “respira” con i propri polmoni oppure chi preferisce affidarsi a macchine valutative che ci espropriano delle nostre facoltà di giudizio e respirano al posto nostro?
Una settimana fa è stato pubblicato sul sito di informazione universitaria Roars il nostro appello contro la valutazione di Stato, dal titolo “Disintossichiamoci – Sapere per il futuro”, che ha già raccolto oltre 1.250 firme, da tutte le aree del Paese e da tutte le discipline, a dimostrazione del carattere tutt’altro che settoriale del disagio che denunciamo. C’è ora chi sta provando a delegittimare la nostra iniziativa etichettandoci come No-Val. Questo appellativo evoca tendenziosamente un’analogia fra la nostra posizione di critica nei confronti del dispositivo di valutazione premiale gestito nel nostro Paese dall’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca (Anvur) e quella dei No-Vax. Si sa, i No-Vax sono da sempre stigmatizzati, ancor più ora che imperversa il coronavirus, e quindi quale migliore occasione per provare a screditare il nostro appello sfruttando l’assonanza?
Ebbene, questa rozza e irriflessa analogia va stroncata sul nascere: davvero noi saremmo noi i No-Val, mentre chi ci critica sarebbe per una valutazione accurata e attendibile della qualità della ricerca? In realtà, non ci si riflette mai abbastanza, la scienza è esistita per secoli anche prima dell’Anvur, e se per valutazione si intende la riflessività su ciò che si fa è evidente che non l’ha scoperta l’Anvur, dal momento che (udite, udite) professori e ricercatori l’hanno sempre praticata anche prima, e potranno sempre farlo anche dopo che questa agenzia sarà auspicabilmente consegnata all’archivio dei brutti ricordi e degli esempi da non ripetere. Per chi fa ricerca e insegna, giudicare se stessi, i colleghi e gli studenti è un po’ come respirare per gli organismi viventi. Non si può non respirare per vivere, così come non si può non valutare per fare il professore (all’università e a scuola). Naturalmente, per essere efficace il valutare non può che essere un’attività distribuita e contestualizzata, ossia aperta e accessibile in modo che ognuno possa concorrervi e alimentarla, da una parte, e calata nelle specifiche situazioni concrete, dall’altra.
Al contrario, l‘Anvur funziona come un polmone artificiale che respira per noi e invece di noi, e che così sequestra e monopolizza le nostre funzioni vitali asfissiandole burocraticamente. Con la valutazione di stato il sapere smette di essere una entità vitale, dinamica e complessa e tende ad assomigliare sempre più a qualcosa di artificiale e vagamente necrofilo. Anziché promuovere una autentica cultura della valutazione, come pretendono i suoi corifei (a proposito, se siamo “solamente” 1000 perché irritarsene così tanto?), l’Anvur di fatto conculca e quindi inibisce ogni pratica di riflessività esercitata autonomamente al di fuori delle sue regole e dei suoi criteri. Ne risulta una valutazione totalitaria e astratta, cioè (letteralmente) “tratta fuori (dal contesto delle situazioni esaminate così come dalla comunità di pratiche di riferimento)”, che è fatta al solo scopo di stabilire artificiosamente classifiche e benchmarking. Ma così la valutazione finisce proprio per negare la sua missione che dovrebbe consistere nell’assegnare a ciascuno il giusto riconoscimento: e ciò perché converte tutte le ipotizzabili diversità qualitative in un’unica scala di differenze ordinali, nella quale ognuno si trova ad essere rappresentato come più o meno dotato rispetto agli altri di una certa qualità scelta d’autorità dall’Anvur tra mille altre. Una valutazione che usa strumenti e criteri di valutazione omogenei allo scopo di comparare entità eterogenee c’est plus qu’un crime, c’est une faute. Ossia, prima ancora che un crimine contro la libertà di ricerca, è proprio un madornale errore di valutazione, un pretendere di ri-conoscere che si arroga l’arbitrio di fare a meno paradossalmente del conoscere.
Dunque, in fin dei conti chi veramente è No-Val? Chi giudica e “respira” con i propri polmoni oppure chi preferisce affidarsi a macchine valutative che ci espropriano delle nostre facoltà di giudizio e respirano al posto nostro? E come si riesce meglio a espandere il sapere e a salvaguardarne la qualità a garanzia dei contribuenti ma, direi, dell’umanità nel suo complesso? Preservando le condizioni perché il sapere sia esercitato in modo aperto, autonomo e responsabile o costringendolo entro standard e criteri artificiosi, automatici e calati dall’alto? Per concludere, non so se, come sostiene uno dei nostri critici, il valore costituzionale della libertà di ricerca possa essere bollato come un “immancabile richiamo che spesso tradisce un’inconscia sfiducia sulla solidità delle proprie argomentazioni”, ma temo che chi ora si esprime così potrebbe domani avallare con la medesima sconsiderata disinvoltura anche la liquidazione dei principi costituzionalmente tutelati dell’uguaglianza o della forma repubblicana del nostro Stato. Basta saperlo ed è facile decidere da che parte stare.
Federico Bertoni, Davide Borrelli, Maria Chiara Pievatolo, Valeria Pinto
chi è l’imbecille che ha inventato l’espressione no-val?
Gugliemo Barone, sulle pagine napoletane del “Riformista”. Non condivido l’espressione “imbecille” perché non voglio intossicare il dibattito con argumenta ad hominem, che, per quanto mi riguarda, sono stati usati fin troppo, pur avendo ben poco a che vedere con l’uso pubblico della ragione. Sostenere che chi critica la valutazione di stato e i suoi costi umani ed economici è barone, nullafacente, reazionario e così via è semplicemente un modo per evitare e di discutere e di sforzarsi di capirne le tesi, prima di tentare di confutarle. L’epiteto “Barone” lo lascio dunque a chi è a favore della valutazione di stato, ma solo perché lo porta nel suo nome :-)
Sulla paternità del termine “No-Val” potrebbe nascere una bella controversia. A me risulta che il primo ad usarlo sia stato Dario Braga sul gruppo facebook roars, in un commento a questo post datato 18 febbraio. Quindi o si tratta di scoperte indipendenti, o Barone ha copiato Braga senza citarlo.
Ecco il commento che contiene l’espressione, successivo di pochi minuti all’uscita del post):
Ed ecco la successiva rivendicazione di paternità:
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La questione della rivendicazione della priorità è importante in ambito scientifico, R.K. Merton insegna.
Spiacente. Non sono un’usata di Facebook e non credo di essere tenuta a esserlo. E non ritengo che uno spazio privato come Facebook sia il luogo adatto per un dibattito scientifico.
Beh, a modo suo No-Val è molto efficace, ma per chi lo comprende, e non sarà la gente comune, di questi tempi. Ma l’Anvur con i suoi sostenitori devono inventarsi qualcosa di molto aggressivo, perché evidentemente si sentono tremare la sedia sotto il …, anzi sentono che le gambe di quella costosa sedia potrebbero spezzarsi e finirebbero col ….per terra, soprattutto in questo momento di altre priorità di investimento nelle cose pubbliche. Bisogna inventarsi un contro-slogan …. vediamo chi ci riesce.
Eccone uno: VANVUR.
Il mio personale è valutazione di stato. Non casualmente, chi la difende usa l’espressione “valutazione” omettendo sistematicamente di precisare chi valuta e a che titolo lo fa. Altrimenti, infatti, diverrebbe chiaro che un gruppo di funzionari nominato dal governo è investito del carisma scientifico di stabilire che cosa è scienza valida e che cosa no in virtù di un semplice atto amministrativo.
È irrilevante rispondere che il governo ha un’indiretta legittimazione democratica. Anche se Brenno fosse stato un capo democraticamente eletto, la sua spada amministrativa, gettata sulla bilancia per alterarne il risultato (Vae victis!), ne avrebbe, appunto, alterato il risultato – con un atto di forza radicalmente diverso dalla libera discussione degli studiosi di metrologia. E perfino se concediamo, troppo caritatevolmente, che la bibliometria anvuriana, morbida e dura, offre un ritratto fedele della scienza passata, il fatto che esso sia elevato a modello in virtù della spada amministrativa comporta che la libera discussione degli studiosi di metrologia cessi di essere tale, perché, appunto, deve orientarsi secondo un modello.
Insomma: non si aggiunge “di stato” a “valutazione” perché se si rendesse palese che il valutatore è lo stato con la sua spada, e non – come da costituzione – la comunità scientifica con le sue ragioni, risulterebbe immediatamente chiaro che il sistema è strutturalmente dispotico e retrogrado: dispotico perché amministrativo, retrogrado perché impone come modello, con un atto di forza, i vincenti o presunti tali del passato.
L’argomento “ma tu come ricercatore devi obbedire agli ordini perché sie pagato dai contribuenti” non aggiunge nulla di diverso: c’è sempre una valutazione basata su un atto di forza, ancorché rappresentata in modo padronale com’è più familiare ad alcuni economisti.
Caesar non est supra grammaticos.
Marinella, hai ragione: basta con la valutazione fatta A VANVUR!
@ Franco: Finalmente qualcuno che mi capisce! Seriamente: ogni tanto bisogna scherzare … di questi tempi, poi…
In realtà, siamo per una valutazione non distorta, libera.
La valutazione non è il nostro chiodo fisso, vorremmo che avvenisse naturalmente senza appunto essere strumento di politiche della conoscenza o di baronati…
Chiamare baroni coloro che protestano contro i sistemi vqr e asn è mentire sapendo di mentire, cioè essendo in palese malafede.
Non mi stupiscono queste tattiche: viviamo nella perenne negazione della verità
Su quelle stesse pagine ad adoperare il termine è stato qualche giorno prima Fabio Ciaramelli, quando – insospettabile come il cavaliere della fede kierkegaardiano – richiamava all’aut aut radicale tra i sostenitori del Ministro della meritocrazia e della valutazione e noialtri. Tipico Teo-Val… Ma per andare oltre le etichette e argomentare: https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/il-presente-e-noi/1126-per-una-critica-non-costruttiva-della-valutazione-reloaded.html
“In realtà, siamo per una valutazione non distorta, libera”.
Scusate, ma non ricordo: perché siete per la valutazione? A che serve? Se è davvero essenziale, come ha fatto l’Università a sopravvivere dai tempi di Irnerio fino alla Gelmini?
Diverse persone non farebbero barricate se ci fosse una valutazione limitata all’identificazione di situazioni “patologiche” ovvero sulle code della distribuzione della “valutazione” (psicopatici e fannulloni).
Purtroppo, è divenuto evidente in questi anni che questo argomento è stato usato solo per attenuare l’opposizione alla valutazione, usata a sua volta per coprire la riduzione degli investimenti in conoscenza.
Infine, anche l’esistenza di SSD non omogenei (con aree con tassi e meccanismi di pubblicazione diversi) spingerebbe a limitarsi a identificare solo le code.
L’argomento “scovare i “fannulloni”” non regge ad una laica analisi costi benefici. Scovare i fannulloni, cosa che qualunque rettore o direttore di dipartimento potrebbe fare in tempo reale a costo zero interrogando IRIS, è costato al contribuente italiano (VQR1) oltre €100k pro-capite.

Ne ho parlato a suo tempo qui: https://www.roars.it/collaborazionisti-o-resistenti-laccademia-ai-tempi-della-valutazione-della-ricerca/
Per tacere della devastazione dell’entusiasmo (e dei risultati) degli operosi, impegnati a dimostrare di esserlo a ogni piè sospinto, e a farlo adattandosi a regole del gioco iniettate dall’esterno con rigidità sovietica. Effetto della ricognizione e delle “contromisure” sui fannulloni: zero matematico. Effetto della ricognizione e delle “contromisure” sugli altri: distorsivo, eterodirettivo, alienante. Distopia pura, e ovviamente le motivazioni non possono essere innocenti.
Infatti: le teorie, gli scritti, sono sempre stati giudicati e valutati, discussi liberamente nelle Università. Senza sentenze come nelle ASN che escludono i testi che si occupano di argomenti poco conosciuti e non di moda. Con la nuova VQR si avrebbe ancora una volta non una riflessione sugli scritti, ma una valutazione sulla base di pregiudizi, volontà di far avanzare scuole, dipartimenti, ecc.
Piuttosto che dire che così va il mondo ed accettare preferisco lottare affinché il sistema permetta perlomeno anche a chi non fa parte di scuole o potentati di vivere, fare il suo lavoro, e ricevere riconoscimento per questo.
Volevo dire questo con valutazione non distorta, libera, se preferisce non pilotata da questo o quell’altro
Ho una sola richiesta da fare a chi ha avuto la pazienza e il senso di servizio di impiegare il proprio tempo per stilare le osservazioni nelle quali così tanti si sono riconosciuti: per favore, organizzate, finita questa emergenza che ci obbliga a casa, momenti per riflettere e avanzare proposte condivise. E’ inutile perderci dietro alle provocazioni e all’assenza di pensiero critico di alcuni.
Dobbiamo essere consapevoli del fatto che molti hanno guadagnato dalla Gelmini in poi, a danno di altri. Non chiederanno scusa, non riconosceranno il torto. Non dobbiamo perdere di vista il nostro obiettivo che è quello di riaffermare le leggi della ricerca e della didattica, il senso del nostro servizio e lavoro. Personalmente spero che ciò porterà alla revisione di alcune storture, all’imprigionamento delle menti in stereotipi ed opportunismi.
Ci abbiamo già pensato e ci stiamo lavorando, epidemia permettendo.
Grazie. Più che mai necessario. È confortante sapere che tanti abbiano aderito