Giovedì 30 gennaio presso il dipartimento di fisica dell’università di Bari FSL ha tenuto il seminario “La valutazione che cambia la ricerca: conformismo e scoperte”. Nella discussione sono intervenuti il Presidente dell’ANVUR Antonio Uricchio, il Rettore del Politecnico di Bari Francesco Cupertino, il Direttore del Dipartimento di Fisica di Bari Roberto Bellotti e l’economista Giancarlo Viesti. Di seguito l’abstract, un servizio su TeleNorba e le slides.
Abstract: La meritocrazia è il miraggio di poter misurare accuratamente la qualità, sia essa di uno studente, di un docente, di una scuola, di un’università o di un progetto di ricerca scientifico. Bisogna premiare i migliori, ma chi sono i “migliori”? Come sono scelti? E chi non rientra nella piccola élite dei “migliori” come fa a sopravvivere? La pressione per premiare l’eccellenza che oggi si è affermata in tutto il mondo, sta, in effetti, soffocando la diversificazione della ricerca, elemento essenziale, per l’innovazione. E la competizione aumenta sempre e comunque la produttività dei ricercatori? Quali sono gli effetti collaterali di una competizione esasperata? Com’è cambiato, per effetto delle politiche adottate, il panorama sociologico della ricerca? E soprattutto: come fare a testare che un metodo di organizzazione e valutazione della scienza è più efficiente di un altro? La risposta a queste domande può fornire una valida chiave interpretativa e una pragmatica linea guida per un intervento efficace, anche per gli altri ambiti non prettamente connessi con la ricerca scientifica, dell’effetto delle disuguaglianze nella distribuzione delle risorse.
Ringrazio tanto per questo articolo e vorrei sapere di più. Nei settori umanistici letterari si vede già discriminazione fra chi usa metodi dell’analisi testuale, integrati con studi di altre discipline. Non innovativi, vengono definiti. Ciò sta portando ad un decadimento della critica che si affida alla riflessione linguistica, benché l’indirizzo generale abbia portato ad un estremo incremento della linguistica a scapito di molte altre discipline. Pare importante usare un linguaggio ripetitivo e accettato, citare i nomi ‘sacri’, non percorrere insomma la propria strada di ricerca per poi condividere i risultati con gli altri. Il risultato è il silenzio.
Concordo con Mariam.
Ma sulla questione del “migliorismo” ci sono due punti fondamentali che è sempre utile tenere presenti.
1. Perché ci siano i “migliori” è necessario che ci siano i “peggiori”. Altrettanti nel caso di medie o mediane, fino a nove volte nel caso di percentili. Se paradossalmente si ritenesse di eliminare i “peggiori” (come sembra dalla campagna di discredito), diminuirebbero anche i “migliori”. Perché i “peggiori” continuino ad esistere è necessario che abbiano di che sopravvivere, anche nella ricerca (perché magari non hanno prodotto abbastanza proprio per mancanza di risorse, in un avvitamento catastrofico verso l’annullamento).
2. La quota “premiale, come dice la parola stessa, deve essere “aggiuntiva” rispetto alle risorse di base. Non si vince un Nobel per una ricerca che si andrà a fare proprio con quei fondi. Si vince su un lavoro già fatto, in molti anni, avendo già usufruito di adeguate risorse. Niente risorse, niente Nobel.
N.B. La campagna di discredito sta già provocando una ondata di uscite premature dall’università. Chi non si vede apprezzato o fatto bersaglio di emarginazione, di mobbing vari, odileggio più o meno dissimulato, toglie il disturbo. Chi può va in pensione, altri con esiti più drammatici.
Il risultato è che chi si sente oggi “migliore”, diminuendo la platea, rischia di essere declassato a “peggiore”, anche perché i nuovi entranti hanno una cosiddetta produttività altissima, rispetto alla prassi delle generazioni più anziane, che pubblicavano quando maturavano risultati significativi.
A pensar bene questo ragionamento è troppo complicato per le menti eccelse di molti accademici italiani. A pensar male si aprono voragini… complottiste. E quindi? Aveva ragione Andreotti?
“anche perché i nuovi entranti hanno una cosiddetta produttività altissima, rispetto alla prassi delle generazioni più anziane, che pubblicavano quando maturavano risultati significativi.”
Non avrei saputo dirlo meglio. E ormai quando si parla di qualche collega, mica ci si chiede cosa faccia, ma che h-index abbia.
Caro Emanuele,
io la vedo così:
13.000 professori ordinari in via di esaurimento anagrafico (dei quali circa la metà sotto soglia), inebriati da un insperato potere di vita e di morte sull’intero sistema universitario, che non si rendono conto della marea montante dei 26.000 professori associati (30.000 con l’avvento dei RTDB nei prossimi tre anni), né di essere destinati ad essere travolti dall’onda montante della mediana che si autoincrementa di ASN in ASN.
Da questo punto di vista sembra una mossa geniale opporre all’ANVUR il Presidente dei Rettori. Assisteremo alla grande disfida in campo aperto tra il grande burocrate e il massimo rappresentante di quel che resta della comunità accademica?
Certo Giuseppi Conte è un Professore che gode di appoggi autorevoli che probabilmente intendono porre uno stop alla svendita del millenario sistema accademico italiano.
Se è così, ci auguriamo che sia l’ANVUR a soccombere. Raduniamoci ai bordi del campo a sostenere il nostro campione.
È solo una commedia, o un sogno?
Non resta che stare a vedere.
Per ora sono abbastanza preoccupato della mia tenuta psicologica. Vedo dottorandi con una lista di pubblicazioni degna di un associato (vecchio tipo, si intende). E mi faccio una serie di domande ridicole, del tipo: non dovremmo avere il tempo di studiare, riflettere, tentare strade nuove, sbagliare, ricominciare e così via? La pubblicazione non dovrebbe essere una conseguenza necessaria della ricerca e non il suo fine? Non dovremmo pubblicare per il solo motivo che così altri possano verificare, ripetere e (magari) avanzare in una direzione che all’autore non era venuta in mente?
Finché il sistema vorrà numeri e darà soldi solo in cambio di numeri, avremo numeri e basta.
“Stop the numbers game”, di Parnas e è del 2007, prima della prima vqr (e penso proprio che non abbia portato sconvolgenti novità). Certo che se si vuole qualcosa “apppprescindere”… si può fare tutto, votare che Karima el Marough è (all’indicativo) nipote di Mubarak o spacciare per meritocrazia l’impoverire la ricerca accademica del paese.
Come non esser d’accordo!!! Aggiungo: per certe discipline diminuiscono drasticamente i posti disponibili. Da qui l’esclusione, a iniziare dal dottorato, di chi si applica a queste discipline. L’arroganza è tale che si sentono giudizi orali e scritti che lasciano senza parole, ma che raggiungono i risultati sperati, troncando le gambe ad alcuni e facilitando l’accesso e la carriera ad altri. L’arroganza è tale che si dice di alcuni che sono stati parcheggiati: non si parla dei loro risultati nella ricerca e nella didattica, ma si loda e cita continuamente solo alcuni, i più finanziati, coloro che vincono premi. Si può anche esser segnalati per premi e poi improvvisamente scomparire…chi volete che resista? Io lotterò perché queste cose si sappiano. Ho sperimentato il mobbing per tutta la mia carriera, ma non mi pieghero mai alla miseria di questo sistema.
Intanto sento di giovani all’uscita dal liceo che rifiutano il tritacarne industrialista e si iscrivono a Lettere.
Il futuro è nelle loro mani.
@paola sonia gennaro
Trovo sempre illuminanti i giudizi. Non dobbiamo radunarci ai bordi del campo: siamo, per anni abbiamo mantenuto in piedi fra mille difficoltà l’istruzione universitaria, permesso che altri vi accedessero, ora siamo fatti segno di un attacco che è generazionale (perché sono cambiate le regole in modo retroattivo), basato su politiche che partono dai vertici e che non possiamo contrastare (chi ha il coraggio di opporsi e non ratificare?), ma ha risvolti anche più ampi: l’Università deve essere serva e chi non si piega deve essere estromesso, espulso, in ogni modo e con ogni mezzo.
In questo, vedo nel secondo intervento di sonia un motivo di gioia: vi sono persone che vogliono ragionare con la propria testa, capire. Lettere è stato sempre questo, per molto tempo, un grande laboratorio di gente che voleva essere libera e capire il mondo (come tutte le generalizzazioni, ovviamente è vera e falsa, e non dimentico splendidi colleghi di altre discipline: Sylos Labini dice sempre parole acute, documentate e che mi aiutano a capire questo mondo confuso in cui cercano di convincerti che sei tu la persona sbagliata, che sei troppo sensibile, fuori luogo. Ma c’è qualcosa di più in ballo di una cattedra!
@emanuele
Proprio così: vorresti aver tempo per la famiglia, ricaricarti, la vita insomma. Tutto il tuo tempo passa a correggere tesi, tesine, saggi, scrivere freneticamente, informarti, leggere, leggere, leggere…Poi le riunioni, dove tutto è stato già deciso e tu sei costretto a ratificare. Perdi fiducia in chi stimavi, consideravi forse anche amico, ma perché hai osato dire che forse si doveva discutere, vagliare, ora ti evita come un appestato. Si deve sempre dire che alcuni fanno bene, criticare i “rompiballe”, se fanno bene accogliere con imbarazzato silenzio. Nelle commissioni di laurea i tuoi colleghi chiacchierano, nel silenzio scorrono le discussioni degli studenti più seri, mentre quelli polemici, ma con tesi poco fondate, seguiti dai colleghi in vista e favore, vengono lodati, lodati i loro relatori. Che triste triste messa in scena. Non puoi dirlo. È imbarazzante per alcuni la verità.
Ho dato una scorsa agli slides e ho rivisto e riletto quelle cose raccapriccianti, al numero 37 ( i due ragazzi, maschi ovviamente, di cui quello di successo non è laureato ma guadagna bene, è indipendente, è palestrato e ha una donna), il nr. 51 (“studiare per troppi anni non serve a nulla”, sarà anche titolo di giornale, ma comunque è in contraddizione col lifelong learning) e il nr. 82 ( A. Graziosi: “La valutazione migliora l’università “). Queste sono le idee che hanno attecchito. E che viaggiano in parallelo con ciò che esibisce la Crui, nella sua homepage e attraverso la sua sede affrescata.
Ecco qui per chi non ha la pazienza di sfogliare le slide (ma credo che un bel ripasso farebbe bene). Per anni il discorso pubblico sull’università è stato questo, anche con la complicità di chi avrebbe potuto reagire ma preferiva evitare di mettersi controvento. I ricercatori precari, i pochi laureati, il finanziamento molto più basso che nelle altre nazioni non sono dovuti al fato ma a politiche perseguite con perseveranza, la cui strada è stata spianata dai cosiddetti “esperti” che tutto erano tranne che esperti. Gli anni a cavallo del 2010 sono stati decisivi.

Del resto si tratta di un luogo comune vecchio come il cucco, che conosco da sempre. Una barzelletta, che ci sarà senz’altro anche in italiano, racconta: un vecchio professore di scuola, tutto malandato, incontra un suo ex alunno, sicuro di se, elegante, bella macchina nonché giacca, anello all’indice, e gli chiede, ma tu chi sei, sei X? E no , professore, sono Y, lei mi diceva che non sarei diventato niente, perché non studiavo e correvo dietro alle ragazze, disturbavo la lezione, ecc. [v.slide n. 37, parte destra]. Poi incontra un’altro, tutto ingobbito, vestito miseramente, e tu chi sei? Sono X. Ah, il primo della classe!?
Un altro .sorry
A chi ha possibilità di accesso ai dati e perizia nel costruire tabelle e grafici da mettere in relazione io suggerirei anche questa altra inchiesta:
a) distribuzione docenti presso le Università per loro provenienza;
b) età anagrafica e accademica dei docenti e ricercatori per fasce;
c) discipline insegnate e rapporto fra numerosità corpo docente (sarebbe interessante anche vedere a quali discipline appartengono i vertici che hanno potere decisionale o nell’orientare il voto per ratifica dei Consigli).
Credo che le prime due siano in rapporto a ben precise disposizioni riguardo a incentivi o prescrizioni ministeriali (obbligo di chiamare persone non dell’Univ. locale, sulla base di un pregiudizio: i locali sono chiamati per intrighi e gli esterni no, sono anzi linfa vitale); oppure indicazioni di abbassare età anagrafica;
In alcune facoltà o cdl per quanto riguarda il punto c si potrebbero avere risultati dei quali dibattere.
Bello il gioco delle parole chiave! Ne vorrei proporre un’altra versione: tre di queste parole e le conseguenze che comporta, quando le si considera essenziali nella discussione e nella gestione della cosa pubblica. (L’unico neo e’ che sono parole pensate e non pronunciate, ma sono parole molto significative, purtroppo)
1 Potere (adorazione del)
Ascensore sociale bloccato. Costruzione di piramidi.
2 Economicismo
Discussioni assiomatiche. Superficialita’ nei confronti di scuola, universita’ e ricerca.
3 Massificazione
Disprezzo degli individui. Morte della scienza.
Vero