Le misure di austerità adottate come conseguenza della crisi finanziaria scoppiata nel 2008 stanno contribuendo in maniera determinate allo smantellamento dei sistemi universitari e della ricerca dei paesi dell’Europa meridionale, tanto da essere sul punto di compromettere il futuro delle nuove generazioni di ricercatori arrecando così un danno che avrà degli effetti nefasti per i prossimi decenni. Quello che sta accadendo in paesi come Grecia, Spagna, Portogallo, Italia o Cipro è simile a quello che è già avvenuto nei paesi dell’Europa centrale e orientale negli anni novanta: un progressivo svuotamento delle competenze e delle infrastrutture tecnico-scientifiche.

Come per le condizioni economiche e sociali generali, sembra che l’Europa non sia capace di affrontare in modo efficace la drammaticità della situazione: le politiche europee inadeguate stanno, infatti, costringendo ampie coorti di giovani scienziati a lasciare la carriera scientifica e tecnologica o a emigrare. Il risultato sarà necessariamente uno sviluppo scientifico squilibrato degli Stati membri dell’UE che contribuirà a una sempre più crescente divisione economica e sociale dell’Europa e alla mancanza di sostenibilità a medio-lungo termine della stessa Unione europea. La politica europea in materia è stata elaborata quando non era necessario tener conto che i paesi del sud Europa, per i vincoli di bilancio, in pratica non possono più avere una politica delle ricerca degna di questo nome.

Ad esempio il programma quadro di ricerca europeo è stato pensato essere complementare alle politiche e ai programmi nazionali che avrebbero dovuto costituire la parte maggiore del sostegno ai sistemi di ricerca nazionali. In pratica però questo programma va ora a vantaggio solo di quei paesi dell’Europa settentrionale che hanno già infrastrutture e politiche nel settore più solide e dunque è davvero poco utile ai paesi dell’Europa meridionale che, pur contribuendo in maniera consistente al programma, stanno rapidamente perdendo la capacità e la possibilità di ottenere un ritorno in termini di scienziati e progetti.

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Dunque il motivo per cui Italia, Spagna, Portogallo e Grecia stanno smantellando le proprie politiche nazionali della ricerca è dovuto in gran parte, ma non solo come nel caso italiano, alle politiche economiche che devono tener conto dei vincoli europei. Sarà il caso di tenerne conto al più presto, considerando che le risorse umane e la strumentazione scientifica sono elementi infrastrutturali d’importanza primaria, o lo stesso progetto europeo sarà messo a rischio. Proprio in vista delle elezioni europee questo dovrebbe essere un argomento di discussione di punta: voi ne avete mai sentito parlare?

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18 Commenti

  1. Rubele parla di “tedeschi”, “italiani”, “olandesi”, “spagnoli”, come se si trattasse di blocchi unici indifferenziati. Di fatto, i cittadini italiani stanno dando soldi alle banche tedesche: con o senza “base politica”? La politica? E cos’è la politica? Quando ci sono i “tecnici” al lavoro (tanto “rispettabili” e “credibili”), a che serve la politica? Io non vedo “politica” intorno a me. Vedo solo maggiordomi. E voi?

  2. L’articolo è intéressante ed il problema è serio. Ma quali sono le soluzioni proponibili?

    Credo che esistano varie sfumature del problema. Una è responsabilità nostra mentre una seconda è responsabilità dell’Europa

    Il nostro paese dovrebbe rendere il sistema scientifico più concorrenziale. La valutazione del merito ha iniziato ad essere utilizzata solo recentemente in modo ancora timido e con poche possibilità di poter intervenire sulle risorse sprecate.

    Secondo punto manca nella società la coscienza che investire in ricerca è strategico per il futuro del paese. Oggi vedo l’Italia pericolosamente inchiodata sull’oggi, sul quotidiano.

    Per quanto riguarda l’europa

    i) i vecchi progetti europei (FP) erano una mostruosità cordate/agglomerati di complessità inaudita, presenza delle lobby ed azioni di supporto alla complessità burocratica con costi a deperimento della ricerca scientifica. Interessante sarebbe fare un analisi dei rendimenti.

    Siamo sicuri che questa strategia di finanziamento non potrebbe essere interamente rivista magari lasciando i finanziamenti ai singoli paesi. Una gestione più responsabile, progetti più semplici su base collaborativa tra massimo due paesi UE. Magari se veramente c’e’ un forte differenziale Nord-Sud o Ovest-Est. Si potrebbero fare delle call per progetti in cooperazione tra paesi “ricchi” e “poveri”, scientificamente parlando. Affinchè tecnologie, infrastrutture e competenze possano essere condivise.

    ii) Altro discorso per gli ERC. In questo caso al forza scientifica del paese (cultura ed infrastrutture) è fondamentale. Qui come paese siamo penalizzati. In un certo senso non tutti i competitori partono dalla stessa linea di partenza. Mi permetto una provocazione. I revisori questo dovrebbero considerarlo per la loro valutazione e gli score finali?

    • Lei pone questioni relative a frammenti rilevanti del dibattito sulla politica della ricerca, che in Italia ovviamente è sottosviluppato quanto lo è l’interesse per la ricerca medesima.
      La ricerca Europea nasce come ricerca collaborativa: se fosse stata sempre e solo competitiva (stile ERC) il grafico di cui sopra sarebbe stato ancora più penalizzante, per l’Italia.
      Alla seconda domanda i Suoi concorrenti le rispondono cortesemente di no…

  3. Ho difficoltà a capire come sia imputabile all’Europa il fatto che “paesi dell’Europa meridionale che, pur contribuendo in maniera consistente al programma, stanno rapidamente perdendo la capacità e la possibilità di ottenere un ritorno in termini di scienziati e progetti”. I motivi per cui l’Italia è svantaggiata nel reperire fondi Europei sono fondamentalmente due: 1) i ricercatori italiani che vincono o sono in grado di vincere grant vanno all’estero (vedi recente articolo su Le Scienze, ripreso da ROARS); 2) negli altri manca completamente la cultura del grant writing per acquisire fondi ed aprire posizioni universitarie. Per decenni si è passato il messaggio che queste attività sono completamente inutili, uno spreco di risorse; bisognava invece servire il padrone che poi dopo qualche tempo ci avrebbe mostrato forse gratitudine e avrebbe manipolato un concorso locale per assumerci a tempo indeterminato. Tutto questo in maniera totalmente svincolata dalle reali capacità e a tutto vantaggio di una classe di mediocri, ovviamente scarsamente competitiva a livello internazionale. Al punto che qualcuno sopra suggerisce che i reviewer dovrebbero prendere in considerazione la mediocrità di base da cui parte un applicant, il che mi sembra francamente risibile.
    Forse si dovrebbe cominciare dal fare pulizia a casa propria e sulla carta tutti sono d’accordo. Solo che sono anni che si sta a disquisire su che tipo di scopa utilizzare…

    • È un vizio italico quello di affrontare le campagne senza risorse adeguate, sia che si tratti dell’Africa settentrionale, della campagna di Russia ma anche della competizione per i fondi europei. Il ruolo della carenza di investimenti è stato esplicitamente citato dall’ANVUR nel Primo Rapporto sullo Stato dell’Università e della Ricerca. Far morire di fame e di sete un cavallo per poi dire che è un ronzino da abbattare è quello che si sta tentando di fare con un certo successo da un po’ di anni a questa parte.

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      II.1.5.1.1 – IL CONFRONTO INTERNAZIONALE
      DEI RISULTATI IN RAPPORTO AI FATTORI DI INPUT

      “Pur contemplando alcune difformità nei dati, le tabelle II.1.5.10 e seguenti (si veda la Sezione II.1.5.2) mostrano con chiarezza come una volta che si rapportino le risorse ottenute agli input impegnati in ricerca, i risultati dell’Italia divengano comparabili o migliori – a seconda della variabile usata per la normalizzazione – a quelli ottenuti da Germania, Francia e Spagna.”

      Primo Rapporto ANVUR sullo Stato dell’Università e della Ricerca
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      A scanso di equivoci, prima di riaccendere estenuanti discussioni sul conteggio dei dottorandi italiani nelle statistiche OCSE per dimostrare che in realtà abbiamo una valanga di ricercatori neghittosi che non sono stati conteggiati, si dia un occhio al dato sulla spesa per università e per R&D “accademica” in rapporto al PIL. Se volete un cavallo che corre, dategli da bere e da mangiare.



    • No, caro Vladimir, vi è anche un palese Effetto S. Matteo, per cui un insufficiente finanziamento nazionale contribuisce a determinare uno scarso risultato Europeo.
      E, in particolare, perfino il responsabile economico del PD Taddei si è accorto (mie orecchie) che il livello complessivo della quota italica dipende dallo scarso numero di ricercatori italiani relativamente a quello degli altri Paesi, piuttosto che ad una scarsa qualità media dei ricercatori italiani.

    • Al PD devono riscoprire sempre l’acqua calda. Abbiamo perso più di un anno a tentare di convincere i predecessori di Taddei che Perotti & c. non avevano ragione. Chissà se qualcosa è rimasto …

    • Devo un chiarimento a Vladimir

      La visione che hai dell’accademia identifica un parte che credo minoritaria, come anche ribadito più sotto da altri commentatori, utilizzando anche valutazioni più approfondite.

      Cerco di spiegare meglio quanto da me provocativamente suggerito ai reviewers o meglio ai panels per i competitive grants, facendo un esempio estremamente semplificato.
      Quando si danno gli scores finali e si decide la linea di finanziamento ad esempio da 1 a 10 finanzio quelli che prendono almeno 9. Se tra 9 e 10 trovo 10 progetti di cui 8 presentati da Oxford ed alcuni con score 9.1, mentre tra score 8.8 e 9 ci sono progetti presentati da ricercatori dell’Università di Timsoara, senza voler portare avanti la mediocrità, posso applicare dei correttivi per equilibrare le risorse in sede europea e sostenere ottima ricerca in atenei periferici.
      Altrimenti come spieghiamo ai taxpayers rumeni che stanno finanziando la ricerca all’università di Oxford e indirettamente la crescita della UK (acquisizione di brevetti, spin-off etc etc) con i loro soldi?

      Dando risorse sempre agli stessi si riduce la competitività e come discusso già negli USA, oltre una certa quota di finanziamento ad un gruppo eccellente, la quota non è più produttiva ma anzi tende ad aumentare lo spreco di denaro.

    • Taddei si occupa di economia. Non è chiaro se ad occuparsi di Università continui ad essere la Carrozza, o no – Renzi dovrebbe comunicare un rimpasto della Segreteria dopo le elezioni perché adesso è mezza depredata dai nuovi incarichi governativi (ad es. la Mogherini, la Boschi, la Madia, ecc., erano incaricate in Segreteria, ma adesso sono Ministri).

  4. Il principio secondo il quale la ricerca italiana è di cattiva qualità perché non riesce a riportare in Italia finanziamenti in proporzione all’investimento fa curiosamente il paio con la formula della VQR che penalizza i Dipartimenti in proporzione al numero degli inattivi: in entrambi i casi chi lavora (i ricercatori attivi) è punito a causa di chi non lavora (i ricercatori mai reclutati e quelli reclutati per “sbaglio”). Se questo è ciò che chi ci governa intende per “meccanismo premiale” non oso pensare a che cosa escogiteranno quando penseranno a un “meccanismo punitivo”. Probabilmente adottersnno il codice penale del Paese di Acchiappacitrulli…

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