“La pandemia è come un terremoto”. Immagine suggestiva e quanto mai appropriata quella utilizzata da Patrizio Bianchi, coordinatore del comitato di esperti per la scuola. Le proposte indirizzate al governo, inquadrate nella cornice del recente rapporto Colao, danno forma alla riconfigurazione dell’istruzione in chiave autonomistica inseguita da decenni e mai attuata pienamente. Con la consueta retorica della comunità e della socialità, l’indirizzo è quello di totale delega da parte dello Stato della gestione e della regolazione dell’istruzione pubblica. Come per la Sanità, così per l’istruzione sembra giunto l’atto finale di quel processo che da Berlinguer a Renzi ci porterà dalla scuola della Repubblica a quella dei patti di comunità. Superamento del gruppo classe, rimodulazione oraria decisa localmente, riarticolazione sul territorio, collaborative problem solving skills, attività di socializzazione. Cambiare modello didattico per fare della scuola un volano fondamentale per lo sviluppo. La drammatica panoramica non rappresenta certo una novità. Nuovo e desolante è il consenso unanime dell’intero arco politico. “Musica per le mie orecchie” esulta Valentina Aprea, suggerendo una “proposta metodologica“: “stia lontano dal Parlamento! Decidiamo punto per punto, ma non le leggi! [..] Più coraggio!”.  “Stiamo presentando degli emendamenti al decreto rilancio”- fa eco Alessandro Fusacchia, tra “i padri” della Buona Scuola – “nel momento in cui torniamo a settembre è finita“! “Trovo molto interessante il quadro proposto”, interviene Fratoianni, “mi batterò per questo“! Il cerchio dunque si chiude: il progetto rivendicato giustamente dal centro-destra, attraverso le parole di Valentina Aprea, mette oggi d’accordo tutti. Se, e in che misura, le ipotesi della task force si tradurranno in azioni concrete lo capiremo a breve. Potrebbe essere una “guerra lampo”.

Proporre una riflessione sul destino della scuola italiana a partire dal rapporto finale del comitato di esperti in materia economico sociale coordinato dal prof. Colao e dal lavoro coordinato e presentato dal prof. Bianchi sulla ripartenza della scuola, pone chi scrive in una posizione d’imbarazzo, dovendo ribadire analisi e dati più volte evidenziati. D’altronde, nei documenti sopra citati, ricorrono e trovano coerenza sistemica tutte le proposte che abbiamo commentato in questi ultimi mesi, apparentemente risultati di gruppi di lavoro disparati. L’impressione più che fondata è che la politica da imporre alla scuola a causa dell’emergenza provocata dal Covid-19 fosse già decisa da tempo, e che i gruppi di lavoro nominati abbiano lavorato su indirizzi già stabiliti.

Il rapporto Colao e l’ audizione presso la Commissione Cultura alla Camera di Patrizio Bianchi fugano ogni dubbio.  Dalla loro lettura pare evidente che non si intende approntare un piano di azioni contingenti, ma piuttosto dare forma a quella definitiva riconfigurazione dell’istruzione in chiave autonomistica e localistica inseguita da decenni e mai attuata pienamente. Realizzare insomma un disegno politico di trasformazione della scuola concepito a partire da altre esigenze e con diverse finalità.

Conviene dunque ritornare su alcune questioni di contenuto e di metodo più volte espresse, sia perché gli pseudo riformatori ripetono senza alcun ritegno sempre le stesse affermazioni, garantiti dall’impunità di un sistema comunicativo che non verifica la fondatezza, né pone a confronto quanto da loro sostenuto con le numerose posizioni critiche, sia per immaginare una possibile strategia di resistenza culturale.

Eviteremo però di tornare a discutere l’infondatezza di pseudo concetti la cui illegittimità –almeno se li vogliamo considerare alla stregua di paradigmi scientifici irrinunciabili- è stata già tante volte oggetto di dibattito, in particolare la leva retorica delle competenze, che ritorna ossessivamente sia nel documento Colao che nelle affermazioni di Bianchi.  Né ci soffermeremo sullo strumentale richiamo ai risultati dei test PISA, per i quali la disparità degli esiti territoriali – problema diffuso in tutta l’area OCSE –  non è ascrivibile a sole responsabilità didattiche. Dall’analisi di tali disparità, inoltre, non è mai è scaturita –e non lo è  tanto meno adesso – alcuna pianificazione politica di interventi per quei territori in cui la scuola subisce, non genera, situazioni di effettivo disagio.

1. La centralità dell’Impresa

Andiamo invece alla finalità concreta che viene prevista per la scuola italiana, in parte dissimulata ma evidente per chi è in possesso di un’adeguata capacità di lettura critica, la stessa di cui tali riformatori vorrebbero, per ragioni più che interessate, privare gli studenti delle prossime generazioni.  Il punto fermo del rapporto Colao è la centralità dell’impresa, concepita quale “motore dello sviluppo, rispetto alla quale scuola e università devono costituire il “fattore chiave”, il cardine su cui imperniare un complesso di rapporti e nessi: dal diritto all’istruzione, alla riproduzione sociale, dalla divisione di genere del lavoro, alla precarizzazione, all’idea di scuola come servizio assistenziale sostitutivo di un welfare al collasso.

A partire da quest’assunto, il rapporto disegna una cornice ideologico-culturale ben nota.  Partendo  dal presupposto che non vada “sprecata la crisi”, non mette in discussione quel modello che proprio la crisi ha sottolineato essere distruttivo (a partire dalla gestione sanitaria lombarda e dalla retorica dell’eccellenza)  ma al contrario prosegue lungo la stessa china a testa bassa, fino all’ asfissia definitiva del sistema pubblico.

Si tratta di una retorica non nuova, presente negli ultimi anni in buona parte dei diversi rapporti pubblicati dal ministero: dal Piano scuola digitale ai diversi sillabi dedicati ai vari fronti disciplinari nell’epoca delle competenze.

La strategia perseguita suona sottilmente ricattatoria: ci troviamo di fronte a una crisi economica che rischia di provocare un’enorme devastazione sociale e, se si vuole che le nuove generazioni abbiano possibilità di accesso ad un mercato del lavoro totalmente destrutturato, è necessario che il mondo dell’istruzione si pieghi alle esigenze delle imprese.
Come è facile constatare, si tratta di un’affermazione di principio non giustificata, come si è più volte argomentato in questi anni, fondata su falsi presupposti, spacciati invece per auto evidenti: in particolare il collegamento tra la precaria situazione economica del Paese e l’organizzazione scolastica, che inverte la causa con l’effetto.

Tuttavia, se l’iniziativa del privato era stata sino ad ora realizzata mediante interventi sostanzialmente indiretti o quanto meno governabili dall’impianto scolastico – pensiamo all’alternanza scuola lavoro o alla formazione docenti, alla retorica della “comunità educante” e dell’ampliamento dell’offerta formativa – qui siamo di fronte ad un decisivo salto di qualità. Le iniziative di upskilling previste dal Piano Colao – la “campagna di donazioni “Adotta una classe”; il programma di aggiornamento “Impara dai migliori”, l’organizzazione da parte di aziende e donatori delle “Gare dei talenti” – disegnano un nuovo orizzonte di partenariato pubblico privato.  Si collocano nel solco del dibattito sviluppato in questi mesi da esponenti della nota filantropia capitalistica nostrana. Quella classe dirigente imprenditoriale –  i vari Montezemolo,  Berlusconi, Brugnoli  – autoinvestitasi della sfida sociale di soccorrere il capitale umano, che occupa quotidianamente le testate dei quotidiani nazionali con iniziative come i  Telethon per la scuola, oggi rese  più accettabili dall’uso emergenziale delle piattaforme digitali.

Ma una denuncia del carattere estremisticamente ideologico del rapporto Colao non sarebbe completa se tralasciassimo un ulteriore aspetto che, anche dal punto di vista etico, lo rende a nostro avviso intollerabile: la pretesa di lavorare a favore  dell’eguaglianza di opportunità e di una reale inclusione.

2. Via il gruppo classe e largo ai patti di comunità

È all’interno di questa cornice che vanno ascoltate e inquadrate anche le parole pronunciate dal prof. Bianchi, in audizione alla Commissione Cultura della Camera, il 9 Giugno scorso, in occasione della presentazione delle  “proposte per la scuola con riferimento all’emergenza sanitaria e al miglioramento del sistema di istruzione nazionale[1].

L’intera relazione di Bianchi si comprende appieno proprio alla luce della logica di privatizzazione. Si tratta in fondo delle consuete ricette liberiste, quei mantra manageriali  rimestati oramai da 30 anni e riproposti incredibilmente quale avanguardia di un progetto d’inclusione e di lotta alle disuguaglianze. Tali disuguaglianze non vengono analizzate o riferite a concrete situazione sociali ed economiche, ma motivate soprattutto sulla mancanza di competenze metodologiche da parte dei lavoratori della scuola. Un approccio totalmente diverso, fondato sul digitale, garantirebbe magicamente eguali condizioni d’apprendimento.

Con la consueta retorica che fa appello ai concetti di comunità e di socialità, l’indirizzo che il comitato di esperti suggerisce al governo, in perfetta continuità con lo spirito delle riforme che lo hanno preceduto, è nei fatti la totale delega, da parte dello Stato, della gestione e della regolazione dell’istruzione pubblica. Esattamente come accaduto per la Sanità, per la quale lo Stato ha progressivamente ma sostanzialmente “rinunciato ad esercitare i poteri di cui dispone” limitando di fatto “il proprio ruolo al contenimento della spesa, lasciando gli indirizzi di politica sanitaria[2] ai territori (nel caso specifico, le Regioni), così per l’istruzione siamo giunti all’atto finale di quel processo che da Berlinguer a Renzi ci porteranno alle scuole dei “patti di comunità.

Come un simile scenario possa agire su quelle disuguaglianze che pure si dichiara di voler superare, non è dato sapere. Nessuna traccia, se non pure petizioni di principio, in merito al tema cruciale del divario Nord -Sud o dei divari interni alle varie realtà e zone del paese (centri-periferie, di genere o di provenienza degli studenti, di indirizzi scolastici, etc).

Pare poi addirittura incredibile che in nome dell’immagine di “territorio educante” e del patto locale di comunità debba essere sacrificata proprio la prima comunità in cui si misura e si realizza la crescita culturale di ciascuno studente: il gruppo classe. L’idea distorta di un’ uguaglianza che si attua soltanto attraverso l’individualizzazione dei percorsi e delle proposte educative, già fondamento del documento politico dei dirigenti dell’Associazione Nazionale Presidi di recente pubblicazione, è centrale nella proposta Bianchi:

Il concetto di classe, come definizione amministrativa è superato. La classe è una microcomunità in cui potere sviluppare le diverse capacità dei ragazzi. Gruppi più piccoli permettono all’insegnante di dare supporto personalizzato che oggi è quello che si pretende e che si deve poter dare. Sta nascendo questo concetto di uguaglianza che sembra molto forte, la capacità di permettere ad ognuno di essere diverso, dunque bisogna ascoltare ognuno”.

siamo stati troppo concentrati sull’idea che la media italiana [degli spazi d’aula] era di 45 metri. Abbiamo cominciato a ragionare sugli esterni. Ma ragionare sugli esterni non vuol dire fare all’esterno la stessa cosa che facevi all’interno. Significa cambiare modello didattico [..]

Utilizziamo questa tragedia per riportare la scuola al centro di un dibattito che dica cosa deve essere insegnato ai nostri ragazzi per permettere di star bene a scuola e per avere anche quel volano fondamentale per lo sviluppo[..]” 

In realtà ciò che viene meno è proprio l’idea stessa di comunità, favorita in particolare dall’esperienza del gruppo classe; si propone peraltro una falsa individualizzazione, per il fatto stesso che la trasmissione didattica avverrebbe secondo modalità formalizzanti, ben sintetizzate dall’espressione «percorsi didattici progettati»[3], che chi conosce la logica delle Unità di Apprendimento sa ben decodificare. In realtà ciò che si vuole disgregare è l’autentica dinamica collettiva e cooperativa fondata sul gruppo classe, per impedire al singolo di sottrarsi al processo di condizionamento con cui si intende determinarne la soggettività, per formare personalità subordinate, plasmabili, adatte a integrarsi in un mercato del lavoro iniquo, senza peraltro avere gli strumenti per metterlo in discussione.

3. Soft and collaborative problem solving skills

Venendo alle proposte concrete, ritorna nella relazione Bianchi tutta la retorica delle soft skills, mai- evidentemente – definite in modo rigoroso:

oggi quello che è indispensabile per la scuola è [..] disegnare le nuove competenze per lo sviluppo. Una volta lo sviluppo era dato da competenze lineari, gerarchiche, ripetitive. Oggi le competenze per lo sviluppo del paese sono date dalla creatività, dalla capacità di mettere insieme le persone. Quella che l’OCSE chiama le collaborative problem soving skills, su cui noi siamo [..]sotto la media. Collaborative, problem solving skills, competenze per risolvere i problemi insieme”.

L’emergenza, dunque, va collocata all’interno di una “visione lunga”, che richiederebbe una completa ristrutturazione di sistema, sintetizzabile su 2 piani, reciprocamente connessi: nuovo ruolo e formazione docenti e nuovo ruolo del territorio.

Oggi la logica dell’impresa è tutta basata sulle soft skills, cioè la vera competenza richiesta è mettere insieme persone diverse facendole operare insieme, giocare insieme, suonare insieme, lavorare insieme. Al di là della specifica competenza disciplinare.”

Sulla base di questo assunto, per “tornare ad avere l’orgoglio di essere insegnante” sarà necessario, a parere del comitato di esperti, ridisegnare la figura professionale, in particolare della scuola secondaria di secondo grado. Oltre ad una formazione con “supporto psicologico”, ad un “equipaggiamento per la gestione delle emozioni”, ad una “formazione tecnologica [..] non soltanto sulla desterity [dei nuovi strumenti] ma anche sul judgement”, occorrerà ripensare le attività quotidiane, soprattutto sulla base di due aspetti inizialmente resi necessari dal protrarsi di una situazione di emergenza, ma che a regime potranno diventare strutturali: la  “riarticolazione sul territorio” e la “rimodulazione del tempo delle lezioni”.

Proprio il binomio territorio-autonomia, che ha mostrato in questi anni tutto il suo vuoto retorico e la sua drammatica concretizzazione in disuguaglianze incolmabili, viene ancora e sorprendentemente riproposto come panacea e risposta all’emergenza.

La rimodulazione del tempo delle lezioni si deciderà. Lo deciderà il collegio, gli organi collegiali. Ma il tempo di differenza non deve essere razionalizzazzione, ma ascolto dei singoli studenti, o tempo per essere più fuori, sul territorio. L’offerta didattica deve riuscire a tenere dentro anche le attività che verranno fatte con i patti educativi di comunità. [..]

Le attività di socializzazione non sono sotto-materie. La musica di insieme, lo sviluppo delle attività artistiche, la capacità di usare il computer anche per il gaming, per le attività di educazione civica vissuta nel territorio, la capacità di lavorare sullo sport che vuol dire la propria corporeità. Sono materie che già esistono ma sono materie in cui hai un’ora, due ore. Sono confinate.  Nel dibattito queste diventano invece fondamentali e sono fatte insieme col territorio..”

E ancora:

La scuola deve essere al centro del territorio, il motore del territorio. [..] i patti educativi di comunità [permetteranno]  di coinvolgere il territorio nella gestione ordinaria della vita scolastica, non nelle gite scolastica. Vado nel territorio perché lì ci sono quelle materie che non solo fanno la nuova socialità, ma fanno anche le competenze del vivere in una comunità aperta, oggi troppo conflittuale e che invece deve tornare a vivere coesa.

[..]

La pandemia è come un terremoto. [Bisogna] andare verso semplificazioni formative; valorizzare tutti gli attori formativi: insegnanti, sostegno, educatori, coloro che potranno apportare esperienze, per i grandi le esperienze delle imprese..”

Se ciò che il coordinatore del comitato tecnico dice può apparire destabilizzante, lo è ancor più ciò che non dice. La recente evoluzione normativa in tema di valutazione e le spinte politiche più o meno evidenti che lavorano da decenni in questa direzione, aggiunte alle apparenti necessità di personalizzazione e superamento del concetto di classe di studenti, conducono irrimediabilmente ad una ridefinizione in chiave di certificazioni individuale della valutazione scolastica. Questo voleva l’Europa fin dai tempi del Libro Bianco di Edith Cresson (1996), questo richiamavano prima Moratti (2003) poi Checchi, Ichino e Vittadini (2008) e questo reclamano oggi l’Associazione Nazionale Presidi e le associazioni datoriali.

4. Una unanimità politica desolante

La drammatica panoramica proposta su un processo di accelerazione della distruzione della scuola che però, per i lettori di Roars, non rappresenta certo una novità, rinnova l’indignazione per il credito che trovano teorie così ostili ad un onesto confronto intellettuale.  Ma ciò che più di tutti sorprende, sgomenta, indigna è la reazione unanime di consenso da parte praticamente di tutte le forze politiche, come è evidente dagli interventi registrati proprio alla Commissione Cultura della Camera. Riportiamo qui i più significativi.

Valentina Aprea  (Forza Italia)

Francamente,  spenderemmo un elogio per Valentina Aprea,  il cui pensiero coincide con il nostro quando, dopo aver ascoltato l’audizione di Bianchi dichiara:  “questo rapporto è musica per le mie orecchie”;  per poi rivendicare l’appartenenza di tale modo di intendere la cultura al centro-destra, ammettendo tutto  il carattere reazionario del progetto e invitando a una modalità di azione politica (da lei intesa come “suggerimento metodologico”) indifferente nei confronti della dialettica democratica:

Il mio  timore è che tutto finisca come per il gattopardo. Tutto cambia perché nulla cambi. Questa volta non deve essere così.”

Come una novella Giorgio Sidney Sonnino, la Aprea si richiama allo spirito de Torniamo allo Statuto, dove il politico alla fine del XIX secolo auspicava che l’esecutivo rendesse conto unicamente al sovrano, ignorando il Parlamento. Dice la Aprea:

«Parto da un suggerimento metodologico. Non abbiamo bisogno di norme, ma di regole in protocolli vincolanti. [..]

Stia lontano dal Parlamento! Decidiamo punto per punto, ma non le leggi!

Meglio un provvedimento temporaneo, emergenziale per davvero. Non nuove norme. Abbiamo bisogno presto di protocolli vincolanti per una fase che comincia domani, da sperimentare almeno fino a dicembre. Buttiamo dentro le deroghe della scuola e che siano chiare subito. Questi protocolli vincolanti devono contenere anche i finanziamenti. Subito! Potete essere più coraggiosi. C’è l’interdisciplinarietà. L’area della socializzazione deve essere più estesa. Fare musica è anche fare matematica. Più coraggio!».

Alessandro Fusacchia (Gruppo Misto)

In fondo, più prudente e raffinato, seppur analogo nella sostanza, è il suggerimento del deputato Alessandro Fusacchia, che ricordiamo tra gli autori del rapporto La Buona Scuola, quando afferma:

Siamo pochi gg dopo un decreto sulla scuola e  stiamo presentando degli emendamenti al decreto rilancio, dove ci sono capitoli sulla scuola, ieri è uscito il rapporto Colao. Sta finendo l’anno scolastico […]

Sottoscrivo e sottoscriverei tutto ciò che ho sentito. Alcune cose sono suggestive e nuove, altre sono cose con cui si fa i conti da decenniCome facciamo a fare quello che si sta dicendo?

Lei parla di interventi normativi. Quando e dove? [..] nei veicoli normativi che esistono in questa fase, inseriamo interventi dirimenti.

Nel momento in cui a settembre torniamo alla normalità, è finita [..]

Abbiamo poche settimane per mandare a regime ciò che lei ha presentato e che io sottoscrivo.”

Una prudenza solo apparente, dal momento che anche in questo caso il suggerimento è trasformare la scuola attraverso emendamenti al decreto rilancio, sottratti di fatto al dibattito pubblico e senza alcun confronto con l’opinione della classe docente, da nessuno considerata parte in gioco, ma solo un insieme di amorfi operatori che attende e accetta prescrizioni provenienti dall’alto.

Nicola Fratoianni (LEU)

Ma è ascoltando la replica di Nicola Fratoianni, che rimaniamo allibiti.

Trovo molto interessante il quadro proposto e anche le indicazioni che emergono in questa fase del vostro lavoro. Credo che l’approccio che ci ha presentato ha il merito di fare quello di cui credo in questo momento abbiamo davvero bisogno. Penso che questa drammatica crisi … offra una formidabile occasione: rimettere al centro del dibattito pubblico e dell’iniziativa politica di questo paese la scuola, dopo anni in cui la scuola è finita un poco ai margini delle priorità, del dibattito e dell’elaborazione e delle priorità della politica.   [..] 

Le cose che lei ci ha detto ci parlano di come riorganizzare la didattica, cosa studiare in questo momento. [..]. Io mi auguro che questo impianto ad un certo punto determinerà le scelte politiche. … Mi batterò per questo.”

 A oltre 20 anni dal progetto di autonomia scolastica inaugurato da Berlinguer, il cerchio dunque si chiude: l’idea di istruzione e il modo di intendere la cultura, rivendicati giustamente dal centro destra attraverso le parole di Valentina Aprea, mettono oggi d’accordo proprio tutti. La politica, compresa l’attuale sinistra, sembra incapace di comprendere l’ orizzonte culturale sotteso a una trasformazione così radicale, come quella concretamente prefigurata dalle proposte del comitato Bianchi.  O forse è semplicemente connivente e subalterna alla logica neoliberista dominante. Se, e in che misura, l’indirizzo della task force si tradurrà in azioni concrete a partire da settembre lo capiremo a breve. Potrebbe essere una guerra lampo.

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[1] Le citazioni riportate di seguito sono trascrizioni degli interventi del prof. Bianchi e dei parlamentari partecipanti al dibattito, reperibili al link: https://www.radioradicale.it/scheda/607855/commissione-cultura-scienza-e-istruzione-della-camera-dei-deputati.

[2] M. Villone, “Lo Stato ha rinunciato alla sanità”, Repubblica Napoli, 11 Giugno 2020.

[3] Documento “Iniziative per il rilancio “Italia 2020-2022”, punto 78, pag. 36.

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3 Commenti

  1. “Oggi la logica dell’impresa è tutta basata sulle soft skills, cioè la vera competenza richiesta è mettere insieme persone diverse facendole operare insieme, giocare insieme, suonare insieme, lavorare insieme. Al di là della specifica competenza disciplinare”. No comment.

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