Dal 2009, in cui si raggiunge il suo massimo storico di oltre 62.000 docenti, il sistema universitario italiano ha conosciuto un decremento del 20.0% del proprio organico, pari a circa 12.500 unità di personale strutturato. Si osserva una tendenza che penalizza le aree relative alla ex facoltà di Scienze Matematiche Fisiche a Naturali (in particolare, la 04-geologia, con l’eccezione dell’area 01-matematica) e quelle delle ex facoltà umanistiche (aree 10-11), mentre meno colpite sembrano le aree applicative come la 09-ingegneria, la 07-agroveterinaria, e soprattutto le aree giuridico-economico-sociali (12-13-14). Una significativa eccezione è data dall’area 06-medica, che perde più personale rispetto alla media generale.

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In un recente articolo comparso sulla stampa nazionale veniva lamentato che, in un paese soggetto a dissesto idrogeologico ed a alto rischio sismico, venissero progressivamente a chiudersi i dipartimenti di Scienze Geologiche. Pur riconoscendo che una struttura dipartimentale omogenea possa costituire un importante punto di riferimento, molto più significativa risulta essere la progressiva riduzione del personale strutturato impegnato in una certa area scientifica. Mi sono proposto quindi di vedere l’entità del decremento della docenza universitaria afferente all’area 04 (Scienze della Terra), in relazione alla dinamica complessive delle altre 13 aree scientifiche.

Ho poi analizzato le variazioni subite dai singoli settori scientifico-disciplinari (SSD) per ciascuna area. In questo articolo mi soffermerà brevemente soltanto sull’area a cui appartengo, ovvero la 05 (Scienze Biologiche), mettendo al termine dell’articolo tutti grafici a disposizione dei colleghi che volessero approfondire l’analisi delle aree di loro competenza.

Ho utilizzato gli elenchi del sito CercaUniversità del Cineca relativi ai docenti universitari a tempo indeterminato (Ordinari, Associati e Ricercatori), sia appartenenti a atenei pubblici che privati, per l’arco temporale che va dal 2009 (dati del 31-12-2008) al 2016 (dati aggiornati al 29-8-2016).

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A partire dall’anno 2009, in cui si raggiunge il suo massimo storico di oltre 62.000 docenti, il sistema universitario italiano ha conosciuto un decremento del 20.0% del proprio organico (peraltro destinato ad accentuarsi con i pensionamenti previsti al 1° novembre 2016), pari a circa 12.500 unità di personale strutturato.

L’area 04, la meno numerosa delle 14 aree scientifiche, riduce il suo peso percentuale rispetto all’organico totale dell’università scendendo dal 2.0% all’1.9%. Si potrebbe ritenere che la ridotta consistenza numerica dei geologi universitari porti ad una minore capacità di resistere alla progressiva erosione delle risorse rispetto ad altre aree più consistenti, ma questa pur plausibile interpretazione sembra smentita dallo speculare incremento di un’altra piccola area, la 14-scienze politiche, penultima in termini di numerosità, che invece sale dal 2.9 al 3.0% sul totale. Del resto le due aree più grandi sono entrambe in deciso calo percentuale, sia la 06-medica e soprattutto la 10-umanistica con il maggiore calo relativo, che nel 2016 si vede scavalcata al secondo posto nel ranking nazionale dalla 09-ingegneria in “crescita” o, per meglio dire, in “minore perdita”. Infatti, tutte le aree perdono personale, da un minimo di -10,5 dell’area 09 a un massimo di -26.4 dell’area 10.

Al fine di evidenziare graficamente le migliori o peggiori performance delle diverse aree, corrispondenti ricordiamo ad una minore o maggiore perdita rispetto ad otto anni fa e mai ad un incremento, ho posto a zero il decremento medio nazionale, pari al 20.0%, cui ho sottratto i risultati relativi (non ponderati) delle varie aree.

Pur con le dovute eccezioni, si osserva una tendenza che penalizza le aree relative alla ex facoltà di Scienze MFN (in particolare, come già osservato, la 04-geologia, con l’eccezione dell’area 01-matematica) e quelle delle ex facoltà umanistiche (aree 10-11), mentre meno colpite sembrano le aree applicative come la 09-ingegneria, la 07-agroveterinaria, e soprattutto le aree giuridico-economico-sociali (12-13-14). Una significativa eccezione è data dall’area 06-medica, che perde più personale rispetto alla media generale.

Una situazione simile sembra verificarsi anche quando si considerano i SSD all’interno di ciascuna area. La fluttuazione infatti non sembra dipendere dalla numerosità relativa iniziale, ma si notano tuttavia alcune tendenze generali che fanno pensare a scelte strategiche, sia pure con diverse eccezioni probabilmente dovute a fenomeni contingenti cui forse altri colleghi sapranno dare una interpretazione migliore di quanto possa fare io. In generale, ben 346 dei 370 SSD (corrispondenti al 94%) risultano perdere personale rispetto al 2009, mentre 5 (1%) restano invariati e 19 (5%), per lo più con pochi docenti afferenti, mostrano un incremento.

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L’area 05 (Scienze biologiche) è piuttosto disomogenea, e solo parzialmente riconducibile alla vecchia facoltà di Scienze, contenendo al suo interno settori tipicamente riferibili alle facoltà di Medicina (dal 12-13 e 16-17, inclusa, ad esempio, l’anatomia umana) o di Farmacia (14-15). Inoltre, mentre alcuni SSD come il 18-genetica e il 19-microbiologia sono distinti dai settori affini di area medica, alcuni SSD come il 09-fisiologia e 10-biochimica non lo sono, e molti afferenti fanno capo ai corsi si laurea in Medicina e Farmacia. Pertanto, la loro performance è solo in parte determinata dalle scelte politiche o didattiche relative alle Scienze Biologiche intese in senso stretto.

Fatte queste premesse, si osserva una tendenza che favorisce i settori di ambito “molecolare”, in particolare l’11-biologia molecolare (che perde solo l’1.8% rispetto al 2009), ma anche il 19-microbiologia e 04-fisiologia vegetale, mentre fa parzialmente eccezione 18-genetica che subisce perdite leggermente superiori alla media di area. Tutto questo a scapito dell’ambito “ambientale-naturalistico” (da 01 a 08, escluso 04) i cui settori hanno performance decisamente peggiori rispetto alla media, fino ad arrivare al vero e proprio crollo del SSD 08-antropologia che perde oltre il 36% dal 2009. Questi dati potrebbero essere dovuti a scelte didattiche coerenti al maggiore accento recentemente posto sugli aspetti molecolari nelle scienze biologiche, ma potrebbero altresì essere una conseguenza del loro maggiore impatto bibilometrico: potendo infatti contare su molte più riviste ad alto impact factor rispetto alle discipline naturalistiche è possibile che siano avvantaggiate nelle scelte politiche accademiche. Mantengono invece le loro posizioni, relativamente al decremento medio dell’area, i SSD con maggiore presenza a Medicina/Farmacia, con la significativa eccezione del settore 15-biologia farmaceutica.

Ecco i grafici per tutte e quindici le aree:

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26 Commenti

  1. Ricerca interessante ma non comprendo lo sconcerto. Avete mai letto Kuhn e Feyerabend? Da che mondo è mondo, le discipline e i paradigmi scientifici si affermano e/o scompaiono per ragioni ben distanti dalla loro qualità intrinseca o dalla loro adeguatezza per comprendere il mondo. Galileo non è stato forse condannato dall’Inquisizione? La capacità di affermarsi sulla scena pubblica, le tecniche retoriche di persuasione, il potere accademico dei singoli e dei raggruppamenti, l’abilità nell’esprimersi e farsi comprendere, le capacità di lobbying sono fattori ben più decisivi. Così è sempre andata e così sempre andrà. Corollario: cari colleghi, uscite dai vostri caldi e rassicuranti studi e imparate a muovervi nel mondo crudele.

    • Non vedo cosa c’entri Galileo e compagnia con gli effetti dei tagli della Legge Gelmini e delle successive geniali trovate dell’accademica italica. IL punto è che tutti i settori sono eguali e alcuni sono più eguali degli altri. Ah, l’avevo già letta questa, dove ?

    • ps: sono d’accordo col corollario che è ben rappresentato dalla figura del post con i lemmings. Cosa altro può descrivere l’accademia italiana se non dei lemmings che si vanno a gettare nel baratro, magari mentre caricano i prodotti in qualche demenziale luogo virtuale ?

    • Non è mai esistita un’età dell’oro in cui i settori crescevano tutti assieme e tutti “egualmente”; così come non esiste alcun articolo della legge Gelmini che prescriva il calo dell’area 10 e l’aumento dell’area 13. Per interpretare i fenomeni descritti dall’articolo (e provare a porvi rimedio) è necessario che alziate gli occhi dalle consuete ossessioni.

    • Nell’articolo non vedo nessuna ossessione, ma solo dei dati raccolti con cura e messi a disposizione di tutti. Solo un ingenuo sosterrebbe che i cali e le crescite siano stati o debbano essere uniformi. Come sempre, ciò che conta è la dimensione della disuniformità. Se dovessi commentare i dati, direi che in diversi casi le disuniformità non sono fenomeni marginali, il che lascia pensare che sia all’opera qualche causa strutturale. Con (apprezzabile) cautela, Francalacci ipotizza qualche spiegazione per l’area 05:
      _______________
      “Questi dati potrebbero essere dovuti a scelte didattiche coerenti al maggiore accento recentemente posto sugli aspetti molecolari nelle scienze biologiche, ma potrebbero altresì essere una conseguenza del loro maggiore impatto bibilometrico: potendo infatti contare su molte più riviste ad alto impact factor rispetto alle discipline naturalistiche è possibile che siano avvantaggiate nelle scelte politiche accademiche.”
      ________________
      Nessuna ossessione, ma raccolta dati e loro visualizzazione. Osservazione di fenomeni di un certo rilievo (-20% su scala nazionale, presenza di disuniformità anche rilevanti tra aree e dentro le aree). Qualche ipotesi sottoposta ai lettori relativamente a quanto osservato in area 05. Se qualcuno ha spiegazioni migliori, non ha che da scriverle (e lo dico con sincero interesse perché io stesso mi domando quali processi siano in atto).

    • L'”ossessione” era riferita alla risposta di Sylos Labini, che evoca la Gelmini come Male Assoluto per spiegare eventi che hanno radici e motivazioni ben più complessi. Paolo_A ha perfettamente colto il discorso.
      E’ del tutto inutile continuare a rievocare i bei tempi andati dei 62.000 docenti e incolpare di tutto il male del mondo il ministro di turno, l’Anvur di turno, l’Asn di turno. Quel 62.000 originava da una situazione totalmente irripetibile: il boom economico italiano, il debito pubblico che poteva crescere ad libitum, la legge 382/80 con cui il tanto vituperato Potere ha chiuso i conti con il movimento del Sessantotto, comperandolo e mangiandoselo in pochi bocconi (gli altri bocconi sono stati il finanziamento pubblico a giornali e partiti, le assunzioni negli enti e nelle banche di Stato etc.). Ora che la Guerra fredda è finita, l’Urss non c’è più, il debito pubblico è al 130% del Pil, i Sessantottini stanno andando in pensione con il sistema contributivo e la seconda e terza casa in Liguria e a Capalbio, alla generazione presente rimarranno solo le briciole, ma anche la possibilità di ingegnarsi per spiegare (con le parole giuste) la propria necessità. Punto.

    • Ho scritto “Non vedo cosa c’entri Galileo e compagnia con gli effetti dei tagli della Legge Gelmini e delle successive geniali trovate dell’accademica italica.” L’ossessione è solo dell’anonimo commentatore.

    • leonardo.40: «E’ del tutto inutile continuare a rievocare i bei tempi andati dei 62.000 docenti e incolpare di tutto il male del mondo il ministro di turno, l’Anvur di turno, l’Asn di turno. Quel 62.000 originava da una situazione totalmente irripetibile … »
      _______________________
      Fermo restando che Sylos Labini ha perfettamente ragione, per replicare a leonardo.40 a cui i 62.000 docenti appaiono una condizione irripetibile, frutto del boom, del debito pubblico, dell’onda lunga del ’68 (a proposito di ossessioni …), cito un mio articolo pubblicato il 28 febbraio 2015 (https://www.roars.it/una-lezione-di-aritmetica-e-altro-per-ernesto-galli-della-loggia/):
      _______________________

      Anche in questo caso, svolgiamo un veloce esercizio di fact checking, consultando le statistiche Eurostat del decennio 2001-2011 relative alla spesa per l’università in rapporto al PIL. Del “denaro a fiumi” nessuna traccia, anche se è vero che nel 2001 ci eravamo concessi il lusso – se così si può dire – di essere 22-esimi su 27 nazioni dell’Unione Europea, davanti a Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania e Croazia. Per fortuna, la virtù ha ripreso il sopravvento e nel 2011 risultavamo penultimi davanti alla sola Bulgaria.


      Per completare il quadro, osserviamo che, pur partendo da una situazione in cui l’Italia arrancava in coda nelle classifiche della spesa, tra il 2009 ed il 2013 il Fondo di Finanziamento Ordinario destinato alle università è stato tagliato del 19% in termini reali.



      [—]

      A volte, per non essere approssimativi, basterebbe un po’ di aritmetica. Tra l’altro, nell’era di internet, non è nemmeno difficile consultare le fonti per controllare che 2+2 faccia 4. Basta saper usare un browser ed eseguire semplici interrogazioni su Google. È difficile immaginare di esprimere un parere minimamente competente sulle risorse ed il reclutamento dell’università, senza basarsi – direttamente o indirettamente – sui rapporti OCSE, le statistiche Eurostat e quelle nazionali, che l’ANVUR riporta con dovizia di grafici e tabelle. Tutto materiale liberamente accessibile in rete.

      In particolare, le fonti e i dati mostrano che

        […]

      • La spesa per l’università, in rapporto al PIL non si è mai schiodata dagli ultimi posti delle classifiche OCSE e, attualmente, è la più scarsa dell’Unione Europea, con la sola eccezione della Bulgaria. Se si aggiunge il taglio del 19% del Fondo di Finanziamento Ordinario, risulta ancora più chiaro che evocare inesistenti epoche in cui il denaro scorreva a fiumi vuol dire far deragliare la discussione dal piano fattuale verso quegli orizzonti mitologici che hanno caratterizzato buona parte del dibattito recente su università e ricerca.
    • Per Giuseppe De Nicolao: tutto ciò non fa che confermare ciò che ho scritto. La generazione 382/80 si è pappata l’università e il bilancio dello Stato, e oggi (il 2001-2011 è già l’oggi) ai giovani rimangono solo le briciole.

  2. Una curiosita’ in area 11 (scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche): su oltre 30 ssd, gli unici 3 cresciuti sono quelli piu’ affini alle scienze biomediche (psicobiologia, attivita’ sportive e attivita’ motorie).

    • Attività sportive ed attività motorie non esistevano precedentemente, ma sono settori di nuova istituzione, con pochissimi (20) ordinari he li hanno resi territorio di caccia, a turno, delle scienze mediche, pedagogiche e psicologiche o addirittura giuridiche. I settori in questione (M-edf01 e 02) avevano ben 14 affinità, caso unico. Ora è stato fatto un settore apposito, 06/N2 ma, anche qui caso anomalo benchè non unico, M-ef01 e 02 rimangono come settori didattici e non concorsuali, cosa del tutto assurda.

  3. Effettivamente quando si appartiene a settori che vengono dismessi tuo malgrado qualche ossessione ti perseguita. Se poi la dismissione è attuata da stupidi imbevuti di idee cretine viene ancora di più. Se poi ci forniscono materiale video per girare ‘brevi lezioni’ in modo da favorire iscrizioni ‘tipo quelle delle università telematiche’ ti chiedi se questo sia ‘imparare a muoversi nel mondo crudele’.

  4. Articolo molto utile e chiaro, un ringraziamento all’autore. Un solo appunto: nell’abstract si introduce un decremento di 12500 unità di personale strutturato però nelle analisi non vengono presi in considerazione i circa 4500 RTD (di cui circa 1000 tipo B) attualmente strutturati. Forse l’analisi della distribuzione nelle aree e nei settori di questi ultimi potrebbe contribuire a formulare ipotesi dei processi in atto.

  5. Interessante studio, grazie.

    Mio modesto parere è che sia lecito domandarsi:

    -se sia davvero un male il calo del 20% (secondo me lo è se si vuole competere in innovazione e conoscenza, ma sono aperto a opinioni ed evidenze contrarie),

    -se ci siano stati motivi politico-strategici dietro la legge che ha provocato tale calo con queste caratteristiche di disuguaglianza, oltre a una mera necessità di bilancio

    -se sì alla domanda precedente, quali essi siano

    • C’è chi pensa che il calo non sia un male in virtù di motivi politico-strategici che provo a riassumere tramite qualche immagine:









      E i risultati del disinvestimento si vedono:




  6. 62.000 non è una cifra da bei tempi andati e bisogna smetterla con questa ossessione contabile e anche con una sorta di calvinismo da attribuzione di colpe sessantottine alla generazione post-sessantottina. Le istituzioni vivono se i meritevoli possono lavorarci dentro. I giovani che sono emigrati hanno portato le loro competenze altrove: potevano benissimo stare in Italia se un potere meno imbecille avesse messo a disposizione qualche posto invece di foraggiare l’ANVUR. Come si fa a ritenere un dato positivo la diminuzione della docenza universitaria? Cos’è, una sindrome da autoflagellazione?

  7. …una diminuzione del 20%, in un periodo minore di dieci anni, è un numero da guerra all’Università, punto e basta.
    L’unico dato in più che servirebbe, e che purtroppo, invece, l’interessante articolo non riporta, è quello disaggregato tra Università pubblica e privata (magari con sotto-scissione del dato relativo alle telematiche).
    Si può sperare in un completamento in tal senso?
    Per quanto riguarda i settori all’interno delle aree, nella mia, mi pare che sia stato solo ius 14, diritto dell’unione europea, ad aver avuto un vero e proprio exploit: lo vuole l’europa?
    Da un punto di vista della pianificazione dei settori, invece, mi sembra molto più rilevante la questione dei settori ERC, specie se dovesse andare in porto l’idea, attualmente sotto-traccia, di far diventare gradualmente il vero reclutamento quello delle fantomatiche cattedre Natta, che dovrebbero seguire appunto i settori ERC.
    Però in tale classificazione il diritto diventa praticamente un solo settore, invece che un’area, con un’iper-compressione, mentre, ad es., l’economia rimane un’area. E’ un caso o è che solo il diritto potrebbe porre un freno a questa deriva tecnocratica-economica da zia TINA?
    Tom Bombadill – Tom Bombadillo

  8. Sylos Labini, De Nicolao: grazie del commento, molto chiaro.

    Me ne permetto uno del tutto personale: forse politica nazionale (e non solo?) suddito (in?)consapevole del c.d. pensiero neoliberale…

    Un’analisi simile con i dati dalle Università private -come suggerito da Plantamura- sarebbe molto interessante

    • Molto consapevole direi ! Da Zinagles, a Ichino, da Boeri, a Perotti, dall’ imprenscindibile duo Giavazzi Alesina, da figurine come Checchi e Boldrin, chi altri è il riferimento intellettuale (beh, si fa per dire) della politica (beh) e del mondo imprenditoriale (beh)?Evviva Oscar Giannino, vero interprete dei nostri tempi italici.

  9. Da anonimo anch’io, noto che ciò che caratterizza i vari Paolo, Leonardo etc. è il loro livore. Frustrati? Se la prendono con colleghi meritori (che nauralmente non hanno verità in tasca) di roars unici a combattere per unipubblica..per cortesia da anonimo vi dico smettetela!! Scrivete a infolavoce, perotti e gli altri e troveretr più soddisfazione. Siete solo dei provocatori !!!!

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