La letteratura scientifica in teoria è necessaria per pubblicare nuove ricerche e risultati e per permettere alla comunità scientifica di verificarne la solidità. Tuttavia da vari anni a questa parte c’è un problema che non riguarda solo il fatto che molti articoli scientifici contengono risultati non riproducibili ma che esiste una rilevante parte della letteratura in cui i risultati sono dei falsi: ci sono cioè diverse gradazioni di problemi. Qualche anno l’editore di «The Lancet» Richard Horton scriveva
«la maggior parte della letteratura scientifica, forse la metà, può essere semplicemente falsa»
Da una parte studi basati su campioni di piccole dimensioni, o caratterizzati dalla ricerca di effetti molto piccoli; dall’altra parte analisi non valide e flagranti conflitti d’interesse, insieme con l’ossessione di perseguire le tendenze più alla moda, hanno condotto «la scienza verso il buio». In quell’editoriale Horton denunciava il fatto che gli editori delle riviste scientifiche hanno tollerato e favorito comportamenti peggiori dal punto di vista etico-scientifico.
Anche John Ioannidis, epidemiologo e studioso di statistica dell’Università di Stanford, ha scritto un articolo dal titolo Perché la maggior parte dei risultati di ricerche pubblicati sono falsi che è diventato rapidamente molto popolare ed in cui afferma che
Si teme sempre più che la maggior parte dei risultati delle ricerche attualmente pubblicate siano falsi.
In un articolo più recente, Ioannidis nota che sebbene la scienza sia diventata un’industria globale, con più di 15 milioni di ricercatori che hanno prodotto oltre 25 milioni di lavori scientifici tra il 1996 e il 2011, le vere scoperte sono molto poche. Molte, in effetti, sono false o grossolanamente esagerate, e la trasformazione delle conoscenze della ricerca fondamentale in applicazioni utili è spesso lenta e potenzialmente inefficiente. Sottostante a questi comportamenti c’è la modalità dell’assegnazione dei finanziamenti ela maniera in cui si svolge la carriera accademica.
Molti scienziati, come ad esempio il biologo americano Randy Schekman, che ha vinto il premio Nobel per la fisiologia nel 2013, sono convinti che le principali riviste accademiche distorcano il processo scientifico ed esercitino una «tirannia» che deve essere spezzata. Per questo motivo, poco prima di ritirare il Nobel Schekman ha dichiarato che il suo laboratorio non avrebbe più inviato articoli di ricerca alle riviste di alto livello come «Nature», «Cell» e «Science».
Pochi giorni fa è uscito un editoriale su Nature in si considera il caso del il genetista premio Nobel Gregg Semenza. Diversi articoli scientifici di cui è coautore sono oggetto di indagine da parte degli editori dopo che alcuni investigatori di Internet hanno sollevato dubbi sull’integrità delle immagini contenute nei documenti. Le riviste hanno già ritrattato, corretto o espresso preoccupazioni su 17 articoli dell’ultimo decennio, e altre stanno indagando su problemi di integrità delle immagini e dei dati in ulteriori studi.
Semenza, che lavora alla Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland, ha condiviso il premio Nobel 2019 per la fisiologia o la medicina con altri due scienziati per aver scoperto come le cellule percepiscono e si adattano alla disponibilità di ossigeno nel corpo. Il suo lavoro, premiato con il Nobel, è stato pubblicato negli anni ’90; le ultime preoccupazioni si concentrano sulle ricerche di biologia molecolare pubblicate successivamente.
Negli ultimi anni l’integrità delle immagini nei documenti scientifici è stata sottoposta a un crescente controllo, poiché gli strumenti digitali hanno reso più facile per gli scienziati manipolare i propri risultati. Ci possono essere ragioni legittime per alterare le immagini, ad esempio per rendere più chiari i risultati aumentando il contrasto o il bilanciamento dei colori. Le figure possono anche essere erroneamente etichettate o distorte durante la preparazione del documento. Ma gli strumenti di modifica delle immagini possono anche essere utilizzati per creare risultati fraudolenti.
Elisabeth Bik, un’importante consulente in materia di integrità delle immagini di San Francisco, in California, che è tra coloro che hanno segnalato irregolarità nel lavoro coautore di Semenza, afferma che il numero di correzioni sembra ragionevole per un periodo di 20 anni in un laboratorio di successo e che molte delle preoccupazioni rientrano potenzialmente nel “territorio della scienza sciatta”. Ma “cinque ritrattazioni per articoli con manipolazione di immagini sono molto più di quanto ci si dovrebbe aspettare”, aggiunge.
Semenza non ha risposto alle richieste di commento del team di Nature.
I commentatori del sito PubPeer – dove gli utenti esaminano le ricerche pubblicate, spesso in forma anonima – hanno messo in discussione le immagini di 52 articoli di cui Semenza è coautore, pubblicati tra il 2000 e il 2021. Dal 2011, 17 di questi articoli sono stati ritrattati, corretti o hanno ricevuto un’espressione di preoccupazione. Le note editoriali citano la potenziale alterazione, il riutilizzo o l’etichettatura errata di immagini che mostrano risultati sperimentali. Altri 15 articoli sono attualmente oggetto di indagine da parte delle rispettive riviste, come ha appreso il team di Nature.
Di nuovo ci troviamo di fronte ad un grave caso di integrità scientifica che segnala la presenza di problema assolutamente non banale nel funzionamento della ricerca moderna. La comunità scientifica non sembra abbia adottato delle contromisure per prevenire altri casi del genere, quanto invece è sempre alla ricorsa di una situazione che sembra sfuggire da ogni controllo e contro misura. Questo è un gravissimo sintomo dello stato problematico della ricerca moderna la cui origine è nell’amplificazione di comportamenti scorretti, che probabilmente sono ineludibili, dovuti al carattere estremamente competitivo per l’avanzamento nella carriera e nell’attribuzione dei fondi di ricerca.