«Il 40% della disoccupazione in Italia non dipende dal ciclo economico, ma dalla distanza tra domanda e offerta» scriveva Repubblica poco meno di due mesi fa. «Infermiere e pizzaiolo: il lavoro c’è, nessuno lo vuole» era il titolo di un altro articolo su Repubblica.it, talmente privo di riscontri e bersagliato da critiche da essere prontamente corretto in «Informatico e pizzaiolo: il lavoro c’è, nessuno lo vuole». Un titolo che racchiude bene i due corni della narrativa sullo “skills gap“: una domanda insoddisfatta di lavori manuali, ma anche di competenze specialistiche. Su Roars abbiamo mostrato che l'”emergenza pizzaioli” ha a che fare più con le bufale che con la mozzarella. Per gli informatici, la situazione sembra diversa: nel 2015 la Commissione Europea prevede la carenza di 900.000 lavoratori nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ma da dove viene questo numero? In questo articolo Enrico Nardelli esamina i dati da vicino e scopre che …
Nella conferenza di presentazione della “Grand Coalition for Digital Jobs” il presidente della Commissione Europea José Barroso ha dichiarato che l’Europa nel 2015 avrebbe dovuto fronteggiare la carenza di 900.000 lavoratori nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione [1].
Questo elemento ha ricevuto un enorme risalto dai mezzi di comunicazione di massa, a causa della perdurante situazione di recessione e della pervasività delle tecnologie informatiche. In molti paesi europei si sono intensificate le attività per affrontare questa problematica. Questa valutazione delle disponibilità di lavori nel digitale è documentata, tra l’altro nella relazione dello staff della Commissione Europea “Digital Agenda Scoreboard 2013” [2], basato su report della società di consulenza “Empirica”.
Dalla valutazione per l’intera Europa a 27 ne segue che per l’Italia si configura nel 2015 una carenza di 120.000 lavoratori nel digitale.
Sono andato ad investigare come queste valutazioni erano state costruite, e su quali elementi oggettivi erano state fondate queste previsioni.
Come prima cosa ho scoperto che nel febbraio 2014 era stato prodotto, sempre a cura della società “Empirica”, il rapporto “e-Skills for Jobs in Europe – Measuring Progress and Moving Ahead”. In esso viene effettuata una verifica della situazione che porta a ribassare la stima della necessità di lavoratori nel digitale nel 2015 a 509.000 (una diminuzione del 45%!). In questo caso è disponibile anche uno specifico rapporto sulla situazione Italiana nella quale si riporta che la valutazione della carenza in Italia si abbassa a 61.000 lavoratori nel digitale [4].
Ho cercato di capire come era stato costruito il modello di stima di queste previsioni. Nel rapporto di febbraio 2014 sopra citato, la sezione 4 (e-Skills supply and demand in Europe 2000-2020) descrive i dati che sono stati usati per fare tali previsioni e con quali meccanismi si è arrivati a tale valutazione.
Da quanto ho potuto constatare vi sono ben 6 elementi discutibili nei meccanismi di produzione dei dati contenuti in tali previsioni.
Il dato di partenza è un’indagine del 2012 con i dirigenti responsabili dei sistemi informativi e delle risorse umane di 8 nazioni europee (vedi sotto-sezione 4.4). I dati (non noti) ottenuti in tale indagine, per la quale non viene riportato alcun riferimento, sono stati estrapolati (con un metodo non descritto) ai 27 paesi della UE ed hanno prodotto la stima di 274.000 lavoratori nel digitale mancanti per lo stesso 2012. Già questo è un primo elemento di incertezza.
Questi 274.000 lavoratori mancanti sono classificati per 73.000 come lavoratori con competenze al livello di una laurea magistrale e per 201.000 come lavoratori con competenze al livello di una laurea triennale o di un diploma secondario. Il non distinguere tra laureati triennali e diplomati è un secondo elemento di ambiguità.
Nel resto della sezione 4 del rapporto prima citato, a partire da tali dati per il 2012 si elaborano diversi scenari di previsione per diverse possibili evoluzioni della situazione economica. In tutti questi scenari la stima di 73.000 lavoratori mancanti per il 2012 al livello di laurea magistrale viene proiettata in una stima di almeno 133.000 mancanti per il 2013. Però il rapporto è uscito a febbraio 2014 e sarebbe stato doveroso verificare se tale stima era veritiera o meno, a maggiore ragione considerato il ribasso del 45% della precedente valutazione complessiva presentata ad aprile 2013. Non c’è evidenza di una tale verifica e questo costituisce un terzo elemento problematico.
Ma non basta. Sul fronte dell’offerta di potenziali lavoratori, cioè analizzando ciò che esce dal sistema formativo dei vari paesi (sotto-sezione 4.3), il rapporto analizza la produzione complessiva di laureati (triennali + magistrali) delle 27 nazioni dell’UE nel corso degli anni. Per il 2011, ad esempio, riporta il valore di 113.000 laureati (triennali + magistrali) e ne fornisce la ripartizione per nazione. L’Italia risulta aver prodotto 2.420 laureati (triennali + magistrali). Peccato che i dati sui laureati dell’Ufficio di Statistica del MIUR raccontano una realtà ben diversa. Li ho controllati quando ho preparato con i colleghi di Informatics Europe (l’associazione europea dei docenti universitari di informatica e ingegneria informatica) il recente rapporto “Informatics Education in Europe: Institutions, Degrees, Students, Positions, Salaries — Key Data 2008-2012”. Nel 2011 i corsi di laurea in informatica ed ingegneria informatica hanno prodotto 2.519 laureati magistrali e 8.615 laureati triennali. Sono più di 11.000 in totale: usare il valore di 2.420 – come ha fatto il rapporto di febbraio 2014 – vuol dire sottostimare l’offerta del 78%! Questa sottovalutazione costituisce un quarto elemento di perplessità sulla veridicità del calcolo dei lavoratori nel digitale mancanti nel 2015.
Ed ancora: per valutare correttamente il divario tra domanda e offerta, quest’ultima dev’essere identificata nel modo più completo possibile. Se se ne trascurano alcune componenti, la distanza tra le due assume un valore maggiore del reale. In molti casi si trovano a svolgere un lavoro nel digitale anche persone che si sono laureate in discipline diverse dall’informatica e dall’ingegneria informatica e che, non trovando lavoro nel loro campo, si rivolgono al digitale. Esempi paradigmatici sono i laureati in matematica, in fisica, in ingegneria gestionale. Ma ci sono anche situazioni di altro tipo, ovvero i laureati preparati per lavorare nel digitale da aree universitarie diverse da quelle di scienze e di ingegneria. Per esempio, i laureati in economia che escono dai corsi di laurea nei quali operano i colleghi dell’ItAIS, l’associazione dei docenti universitari di Sistemi Informativi Aziendali. Tale incompletezza è un quinto aspetto che aggiunge scetticismo al giudizio sui numeri forniti.
Infine, non tornano in conti in termini di legge economica della domanda e dell’offerta. Dicevamo sopra che non è chiara la distribuzione del dato di partenza dei lavoratori mancanti nel 2012 tra quelli con un livello di laurea triennale e quelli con il diploma. Assumiamo plausibilmente che siano per un 45% laureati triennali e per un 55% diplomati. Allora nel 2012 sarebbero mancati in Europa 73.000 laureati magistrali, 90.000 laureati triennali e 111.000 diplomati. Ipotizzando un’uguale proporzione valida per l’Italia e leggendo le stime del 2012 riportate nel rapporto specifico per l’Italia sopra citato, vuol dire che i 22.000 lavoratori nel digitale mancanti in Italia per il 2012 sarebbero 5.900 laureati magistrali, 7.300 laureati triennali, 8.900 diplomati. Ma questo non è coerente con quanto si dovrebbe riscontrare in base alla legge della domanda e dell’offerta. Se questo fosse vero, infatti, vorrebbe dire che per ogni laureato magistrale ci sono più di due posti di lavoro che se lo contendono (o per ogni tre laureati triennali ci sono cinque posti di lavoro che se li contendono), ed il tutto dovrebbe risultare in un sensibile aumento dei livelli retributivi. La parola definitiva su questo presunto incremento la pronunciano le indagini annuali di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani. Il valore medio dello stipendio mensile netto di un laureato magistrale in informatica o in ingegneria informatica un anno dopo la sua laurea rimane stabilmente intorno ai circa 1.290 euro dal 2011 al 2013. E questa riflessione è il sesto elemento di dubbio.
Riferimenti
[1] European Commission, Filling the Gaps: e-Skills and Education for Digital Jobs, Launch of the Grand Coalition for Digital Jobs, Conference Report, April 2013. Vedi a pag. 12.
[2] Commission Staff Working Document, Digital Agenda Scoreboard 2013, SWD(2013) 217 final, Brussels 12 jun 2013. Vedi fig. 85 a pg. 85.
[3] Empirica, e-Skills for Jobs in Europe – Measuring Progress and Moving Ahead, Final Report, February 2014.
[4] Empirica, Italy country report, e-Skills in Europe, January2014. Vedi tabella in alto a destra a pag. 10 per i dati sull’Italia e la tabella subito sotto per i dati sull’Europa.
Originariamente pubblicato il 4 aprile 2014 su Il Fatto Quotidiano: Digital jobs? Stiamo dando i numeri!
Caro Enrico,
bell’articolo, complimenti. La situazione dei laureati in discipline informatiche è ben strana: da un lato sento le aziende lamentarsi continuamente che cercano disperatamente personale (solo nelle prime due settimane settembre sono stato contattato da tre aziende a questo scopo), e in effetti non conosco nessun ex-studente che sia a piedi. Ma dall’altro sento molti ex-studenti che si lamentano per gli stipendi bassi (in linea con quello che tu hai indicato) e condizioni contrattuali scadenti, e quindi spesso preferiscono emigrare. Come dici nell’articolo, secondo la legge della domanda e offerta gli stipendi dovrebbero crescere, ma ciò non accade. Perché?
1) Come dici tu, il divario tra domanda e offerta non è così grande come sembra. Però i conti che presenti non mi tornano mica tanto. Da AlmaLaurea, si vede che nel 2011 in Informatica o Ingegneria dell’Informazione ci sono stati 6265 laureati triennali (classi L-8, 9, 26, 31) e 1847 magistrali (LM-18, 32, 23/S). E non 8615 e 2519: è quasi il 30% in meno. Dove sto sbagliando?
Inoltre i laureati triennali e magistrali della sola Informatica sommano a 2450, che è molto simile ai 2420 citati dal rapporto della Commissione UE. Forse tutto sta a mettersi d’accordo sulla definizione di “informatico”… problema ben noto e irrisolto!
2) Inoltre, non possiamo dimenticare l’esistenza di un nutrito sottobosco di “smanettoni” senza titolo, spesso autodidatti (e qualche volta veri e propri cialtroni), disposti a lavorare anche per pochi spiccioli (“Un sito WordPress? per 150 euro è fatto!”), ma che riescono a spacciarsi per veri esperti presso chi non ha i mezzi, o la voglia, per distinguere le vere professionalità (salvo poi pentirsene amaramente in seguito). Queste persone, con le loro ridotte pretese, abbassano sensibilmente il livello degli stipendi che le aziende si aspettano di spendere per assumere un professionista informatico. Purtroppo per contrastare questo fenomeno non vedo altra via che attendere l’incremento della cultura informatica nelle aziende, ma ci vuole un cambio generazionale (e forse non basta).
“Da AlmaLaurea, si vede che nel 2011 in Informatica o Ingegneria dell’Informazione ci sono stati 6265 laureati triennali (classi L-8, 9, 26, 31) e 1847 magistrali (LM-18, 32, 23/S). E non 8615 e 2519: è quasi il 30% in meno. Dove sto sbagliando?”
_____________________
Credo che le statistiche AlmaLaurea si riferiscano alle sole università che aderiscono al consorzio. Se così fosse, sarebbe del tutto naturale che esse rappresentino una sottostima del totale.