Una cronaca chiara di che cosa vuol dire oggi il lavoro di rappresentanza nell’Ateneo di Bologna. Una testimonianza emblematica sulle trasformazioni generali in atto, osservate dall’angolo visuale privilegiato di un rappresentante degli studenti di Link Studenti Indipendenti Bologna.
“Il privilegio dell’assurdità, a cui nessuna creatura vivente è soggetta, tranne l’uomo.”
“Le due virtù cardinali in guerra sono la forza e la frode.”
Thomas Hobbes, Leviathan
Dal 2008 in poi stiamo assistendo ad un processo generale di ristrutturazione dell’Università. La Riforma Gelmini e la piena operatività di ANVUR stanno mettendo a dura prova la sostenibilità di un intero sistema, non aggredendo le rendite di posizione e la cristallizzazione delle élite (che semmai sembrano trarne vantaggio) ma diverse altre componenti i cui problemi si sono aggravati. Parliamo cioè di una galassia di soggetti che soffriva già di una mancanza di riconoscimento politico e di potere decisionale: ricercatrici e ricercatori (soprattutto gli “inattivi”), dottorande e dottorandi, il precariato dell’Università, studentesse e studenti in genere ed una particolare aggressione verso fuori corso e fasce con ridotte possibilità economiche.
Il punto di vista però di studentesse e studenti è aggravato da una marginalità non solo nel dibattito pubblico ma anche e soprattutto nel dibattito accademico, favorendo di fatti non solo un’incisività politica sempre minore nelle sue forme istituzionali (e non si parla solo della riduzione del peso della componente studenti negli organi collegiali) ma anche la negazione sempre più marcata del riconoscimento di esistenza in sé e delle nostre istanze. Chiaramente l’ordine dei problemi è molto più numeroso di così, ma per brevità e per centralità ritengo necessaria un’analisi che si fonda su uno di questi aspetti in particolare e su come questo, impattando sul sistema, stia avendo un’impetuosità distruttiva nei confronti delle studentesse e degli studenti: l’ANVUR-sistema e l’ANVUR-pensiero.
Un’ulteriore premessa è necessaria: il dibattito che si è creato attorno all’ANVUR esclude spesso la sua matrice politica fondamentale, ovvero che il sistema ANVUR non ha semplicemente l’obbiettivo della misura, della competitività e dell’efficienza nell’aggressione ai dispositivi tecnici di cui finora le università si sono dotate per ricevere e distribuire i fondi, per misurare la qualità della ricerca e della didattica, per aumentarne la competitività a vantaggio dell’efficienza (come la lezione fordista insegna): ha ambizioni molto più profonde.
Non le innovazioni del fordismo ma un balzo in avanti fino alla quarta rivoluzione industriale (per rimanere in tema): l’obbiettivo è la governance universitaria, l’obbiettivo è la flessibilità organizzativa, l’automatismo delle scelte, la decisionalità autoritaria durante le crisi e le emergenze, la selezione dei soggetti universitari in base agli algoritmi calcolabili dei loro contributi, il just-in-time della vendita della conoscenza.
Chiarito questo punto (pur brevemente), invece di un trattato teorico-politico sugli effetti dell’ANVUR-sistema e ancora di più dell’ANVUR-pensiero trovo più illuminante una cronaca chiara di che cosa vuol dire oggi il lavoro di rappresentanza nell’Ateneo di Bologna come esemplare delle trasformazioni generali partendo dal punto di vista privilegiato che ho potuto adottare grazie a Link Studenti Indipendenti Bologna per il quale svolgo il ruolo di rappresentante degli studenti.
Lavoro nei dipartimenti: AVA e riesame (ciclico e annuale)
Il primo impatto che abbiamo avuto con l’ANVUR è stato esattamente ad una settimana dalla nomina quando siamo stati convocati per i tavoli preparatori al ciclo di riesame. Ci siamo trovati davanti ad una serie di parametri di cui non capivamo l’utilità (il conteggio dei CFU acquisiti complessivamente, le statistiche almalaurea sull’occupabilità e via dicendo) in un quadro normativo di cui non capivamo praticamente nulla. Abbiamo cominciato a studiare AVA 1 e siamo stati inseriti nella Quality Assurance di diversi corsi e faticosamente abbiamo fatto le nostre obiezioni prima di capire in che pantano ci stavamo infilando. Abbiamo dovuto imparare con estrema fatica che le procedure di riesame annuale e riesame ciclico in AVA 1 sono estremamente complicate ma soprattutto estremamente simili per i compiti che ci competono, questo ha portato non poco scoraggiamento quando finito il riesame annuale è cominciato il riesame ciclico e non avevamo la più pallida di quale fosse la differenza, a complicare tutto a metà di riesame ciclico è stata introdotta AVA 2 e nessuno sapeva a che cosa dovessimo attenerci. Riusciamo a elaborare i nostri pareri accusando di fatto i CdS di aver costruito rapporti annuali e rapporti ciclici non solo banalissimi (senza aver colto neanche per sbaglio le vere criticità dei nostri corsi) ma dribblando palesemente sugli strumenti correttivi, o meglio scrivendo sentenze che non volevano dire nulla e che ognuno poteva interpretare come voleva. Come se non bastasse in quei rapporti si cominciava a parlare dei vantaggi del numero programmato, discussione avvenuta solo mesi dopo, e noi cominciavamo a capire qual era la logica dietro tutto questo. Le nostre obiezioni in molti casi sono state cancellate se non ignorate, in altri siamo riusciti a fatica a inserirle nei rapporti, in altre ancora siamo dovuti intervenire sui riesami ciclici di Scuola per riuscire a farci sentire, senza contare che alla nostra proposta di un’assemblea pubblica con le studentesse e gli studenti sui temi del riesame siamo stati accusati di populismo e demagogia (salvo poi riuscire a farla inserire tra le procedure di confronto con gli studenti in sede di Commissione Paritetica).
Abbiamo tentato di aprire un dialogo critico anche con una lettera congiunta di tutti i nostri rappresentanti dei CdS, dei dipartimenti e della Scuola senza sortire alcun effetto se non una plateale assenza di reazioni degna dei migliori giocatori di poker.
Mesi di confronti estenuanti ed un’assemblea pubblica per ottenere qualche riga di obiezione e alcuni allegati, con il solo risultato positivo di aver aperto quel confronto pubblicamente nonostante la palese contrarietà e la generale indifferenza di larga parte dei docenti (per fortuna non in sede di commissione paritetica). Questa attività in ogni caso ha tenuto in scacco gli organi per mesi con risultati piuttosto scarsi.
Numero programmato: al peggio non c’è mai fine
E a confermare che al peggio non c’è mai fine è arrivata la discussione sul numero programmato, operazione che ci è stata giustificata con una serie di motivi tra cui il sacrosanto ANVUR che aveva improvvisamente cambiato il rapporto numerico studenti/docenti (con un successivo riflesso sui regolamenti interni).
Il primo approccio alla questione da parte della governance universitaria è stato tagliarci fuori dalla commissione interna al CdS che doveva discutere del numero chiuso, alle numerose richieste che abbiamo fatto di interlocuzione nell’arco di due mesi si è trovato il tempo di questa discussione solo nella seduta di Commissione Paritetica in cui si sarebbe dovuto approvare. La nostra unica possibilità è stata quella di far saltare il numero legale per ottenere almeno un altro giorno, è seguito un tavolo tecnico di un pomeriggio (in cui hanno continuato a sostenere che era inevitabile e che non c’è stato tempo per la discussione in quei mesi, guarda un po’) e un’altra seduta, con il risultato che è ovviamente passato il numero programmato con la nostra astensione a patto di un tavolo concordato per le modalità di accesso per le lauree triennali e magistrali. Questo tavolo si è rivelato infruttuoso portando per le triennali il sistema TOLC (smontato da anni di prassi in cui è stata evidente la non corrispondenza tra carriera accademica e graduatoria di accesso) mentre per le magistrali ha portato ad una scala di 100 punti in cui ben 30 costituiscono il voto di laurea e i restanti 70 un fantomatico test di cui non ci è stata data notizia (ovviamente contro il nostro parere di far valere solo il test e con l’autonomia che una sede distaccata ha deciso di prendersi tenendo 50 e 50).
Questo mentre in un’altra Scuola, con problemi simili ai nostri in termini di spazio e fondi, veniva rigettata la richiesta del numero programmato di alcuni CdS avanzando di contro un piano per aumentare i fondi e gli spazi (cosa che dalle nostre parti non è stata neanche contemplata).
Conclusioni
Senza parlare del dettaglio tecnico (qui il parere di LINK Coordinamento universitario su AVA 2 ) trovo particolarmente importante condividere la riflessione che abbiamo tratto da queste procedure, lo sgomento che creò del resto la nostra posizione netta sull’ANVUR (sintetizzata dal verbale con un passaggio chiave: “lo studente pensa che il sistema ANVUR sia una follia e vada contrastato”) non lascia spazio ad altre interpretazioni: seppur tutti si lamentino del sistema nessuno è seriamente intenzionato a contrastarlo ma unicamente a trarne beneficio anche se questo vuol dire tagliare ogni discussione seria sulla didattica e la ricerca favorendo rapporti che ci facciano sembrare più efficienti nonostante l’evidente contrasto con la realtà.
Non solo perché i rapporti vengono compilati con automatismo e sono intrisi di formalismo burocratico (favorito dalla montagna di impegni e dal poco tempo a disposizione per compilarli, nonché una mancanza di stabilità delle regole), ma perché si chiedono esplicitamente numeri freddi (ovvero una montagna di informazioni perfettamente inutile che riguardano l’esame ciclico) invece che concentrarsi sui processi di dialogo e di auto-valutazione delle componenti accademiche. Quella che dovrebbe essere la tappa di un percorso (il riesame annuale) di un confronto che si conclude con il riesame ciclico diventa invece una maledizione permanente che non sortisce effetto alcuno sulla qualità della didattica se non un continuo asservimento degli organi collegiali alle logiche dell’ANVUR-pensiero.
Senza addentrarsi nel baratro della discussione sul numero programmato, alcune evidenze rendono chiari i motivi per cui oggi c’è una sostanziale spinta alla riduzione all’accesso ai corsi praticamente in tutta Italia e in tutti i grossi atenei. Da quando è stato introdotto il costo standard per studenti e l’esclusione dal conteggio dei fuori corso la strategia utilizzata dai grandi atenei è stata quella di massimizzare il numero di studenti in corso aumentando contemporaneamente il conto dei CFU complessivi (utile ai fini della VQR), questa operazione è avvenuta di fatti nella maniera più brutale e semplice possibile: selezionando tramite i test di accesso i “più bravi”, diminuendo di fatti la platea e concentrando i ritmi di studio (più facile con classi piccole).
Alcuni dati tratti dal nostro dossier per la legge di iniziativa popolare per il diritto allo studio (al contrario della ministra Madia avverto che questo periodo è interamente tratto da qui): nell’anno accademico 2003/2004 c’erano 336mila immatricolati all’Università mentre nel 2014/15 si è arrivati a 270 mila, ovvero una perdita netta di 463mila studenti e studentesse in 10 anni, accompagnato da un taglio costante dell’FFO (di 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per l’anno 2010, di 316 milioni di euro per l’anno 2011, di 417 milioni di euro per l’anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013).
La naturale contrazione della platea studentesca a seguito dell’innalzamento delle tasse e delle inefficienze e scarsi finanziamenti degli enti regionali per il diritto allo studio è stata accompagnata da una selezione darwiniana che comincia ad essere operata dal liceo e trova un imbuto nei corsi a numero programmato, questa strategia è stata perfettamente codificata e premiata dal sistema ANVUR che nel nome dell’efficienza vorrebbe tagliare i corsi anche quando quelli duplicati diventano necessari (del resto vorrei vedere come con una triennale di 600 persone al primo anno si possa fare a meno dei corsi duplicati).
Quando Michel Foucault introdusse la tecnologia politica di certo non si aspettava che un giorno una Ministra della Repubblica Italiana lo avrebbe preso alla lettera, come leggere altrimenti queste follie burocratiche se non come un tentativo (piuttosto riuscito) di disciplina? Una disciplina rigida che piega la governance universitaria a partire dai suoi livelli più bassi, non c’è alcuna ragione per cui è necessario l’accreditamento per esempio se non per la costruzione di un Panoptikon composto da dati e procedure che finiscono per favorire l’interiorizzazione dei principi dell’ANVUR-pensiero.
Si innesta cioè un meccanismo di auto-controllo e auto-disciplina simile a quello della prigione di Jeremy Bentham in cui il controllo (e la paura del controllo) sono interiorizzati a tal punto da renderlo possibile anche se effettivamente nessun secondino sta guardando.
Giuseppe Ialacqua, rappresentante degli studenti e militante di Link Bologna Studenti Indipendenti e Collettivo Handala
Perchè mi sento così in sintonia con questo studente?
Forse perché sono stata valutatore, presidente del gruppo di valutazione di facoltà, presidente della commissione di riesame, componente di commissione paritetica e ho avuto esattamente le stesse sensazioni: “tutte chiacchere e distintivo..”
Grazie di aver detto che il re ANVUR è nudo.
L’unico interesse dell’ANVUR è procedere ai tagli. Si e’ deciso a tavolino che per arginare un debito pubblico crescente nel compartimento università si doveva risparmiare un tot di miliardi di euro e dopo si è proceduto con precisione chirurgica. Perché è stato così semplice farlo? Perché l’Università è un sistema corporativistico fatto di baronati e sudditi con un sottile piacere nel subire decisioni di qualsivoglia dittatore di turno. E, francamente, la didattica è l’ultima delle priorità dei docenti stessi.
Cos’è un debito per il compartimento università? I soldi che l’Università riceve non li prende mica a prestito. Più che altro: per arginare un debito pubblico crescente (su questo ‘debito pubblico’ ci sarebbe MOLTO da dire, ma è un altro discorso)
si è deciso di tagliare la spesa pubblica nel settore Università/Ricerca. Cioè Istruzione/Università/Ricerca sono stati considerati il ‘superfluo’ che ‘non ci si può permettere’.
Solo che il cosiddetto ‘superfluo’ in una economia moderna e sviluppata è di per se un concetto contraddittorio, visto che è proprio tale ‘superfluo’ che è necessario per rilanciare il PIL…
Una economia moderna produce cose che al 95% NON sono ‘strettamente necessarie’. ‘Strettamente necessario’ è solo il cibo e saper accendere un fuoco (quest’ultima cosa possiamo darla per acquisita..). E’ strettamente necessario avere una automobile? E’ strettamente necessario poter andare a Londra con 20 euro? E’ strettamente necessario l’Iphone ? E’ strettamente necessario il Cinema? I Libri ?