L’uccisione barbara del professore di Storia Samuel Paty, il 16 ottobre, nella regione parigina e l’assassinio di Vincent Loquès, Simone Barreto Silva, Nadine Devillers nella basilica Notre Dame di Nizza il 29 ottobre hanno fatto ripiombare la Francia, già duramente fiaccata dalla crisi del Covid, dalla crisi economica, da una tensione sociale tanto perenne quanto fuori controllo, nell’incubo del terrorismo. Di fronte allo sgomento suscitato da questi eventi, il governo francese sembra tutto concentrato a tacitare ogni tentativo di riflessione collettiva, strumentalizzare l’emozione collettiva e additare il colpevole, o meglio i colpevoli. Secondo il governo i responsabili diretti o indiretti della recrudescenza del terrorismo sarebbero due: all’esterno, le potenze straniere che finanziano moschee e organizzazioni che favoriscono il separatismo delle comunità islamiche – e di conseguenza, com’è logico sul piano perennemente inclinato della propaganda macronista – il terrorismo; all’interno, gli universitari. Questo avviene mentre gli universitari sono impegnati in una lotta senza speranza contro l’approvazione di una legge di programmazione della ricerca che ridefinisce in modo violento le modalità di finanziamento e di gestione dei progetti di ricerca, lo statuto, le prerogative e la libertà degli universitari.
L’uccisione barbara del professore di Storia Samuel Paty, il 16 ottobre, nella regione parigina e l’assassinio di Vincent Loquès, Simone Barreto Silva, Nadine Devillers nella basilica Notre Dame di Nizza il 29 ottobre hanno fatto ripiombare la Francia, già duramente fiaccata dalla crisi del Covid, dalla crisi economica, da una tensione sociale tanto perenne quanto fuori controllo, nell’incubo del terrorismo. Di fronte allo sgomento suscitato da questi eventi, il governo francese, anziché guidare lo sforzo di elaborazione del lutto, sembra tutto concentrato a tacitare ogni tentativo di riflessione collettiva, strumentalizzare l’emozione collettiva e additare il colpevole, o meglio i colpevoli.
Nella narrativa del governo, i responsabili diretti o indiretti della recrudescenza del terrorismo sarebbero due: all’esterno, le potenze straniere che finanziano moschee e organizzazioni che favoriscono il separatismo delle comunità islamiche – e di conseguenza, com’è logico sul piano perennemente inclinato della propaganda macronista – il terrorismo; all’interno, gli universitari.
Non entriamo qui nel merito della relazione che può esistere tra gli attentati di Ottobre e le tensioni franco-turche che si intensificano da mesi. Concentriamoci invece sulla relazione che il governo cerca di trovare tra il ruolo degli universitari e gli attentati.
Si tratta, a nostro avviso, di un’insinuazione indegna e strumentale che mira unicamente a denigrare la categoria degli universitari impegnati in queste ultime settimane in una lotta senza speranza contro l’approvazione di una legge di programmazione della ricerca che ridefinisce in modo violento le modalità di finanziamento e di gestione dei progetti di ricerca, lo statuto, le prerogative e la libertà degli universitari.
“Un professore è morto e si dà la colpa ad altri professori” ha scritto il sociologo Eric Fassin, alludendo ad una lunga serie di attacchi ripetuti contro la comunità universitaria francese, colpevole secondo il presidente Macron e i suoi collaboratori di un’eccessiva indulgenza rispetto a “immigrazione, Islam e integrazione”. “Devo riprendere il controllo di questi argomenti”, ha confidato un anno fa Macron alla rivista di estrema destra Valeurs Actuelles. Qualche mese dopo, nel pieno della lotta planetaria contro il razzismo e le violenze di polizia, Macron, scandalizzato più dal vento di rivolta che non dal razzismo e dalle violenze di polizia, ha spiegato a Le Monde che “ il mondo universitario è stato colpevole. Ha incoraggiato l’etnicizzazione della questione sociale pensando che fosse un buon filone. Ora il risultato non può che essere secessionista”. Il ministro dell’Educazione Nazionale audito nel giugno 2020 dalla commissione d’inchiesta senatoriale sulla radicalizzazione islamista aveva evocato da parte sua “la permeabilità del mondo universitario rispetto a teorie che sono agli antipodi dei valori della Repubblica e della laicità”, citando “le teorie indigeniste”. Qualche giorno dopo l’omicidio di Samuel Paty, in un’intervista a Europe 1, il ministro ha accusato gli universitari di “complicità intellettuale con il terrorismo”, aggiungendo che “l’islamo-gauchisme fa danni all’Università… favorendo un’ideologia che porta al peggio”. Spiegandosi con Le Journal Du Dimanche,il 24 octobre, Blanquer ha reiterato queste accuse, precisando che “ c’è una battaglia da fare contro una matrice intellettuale proveniente dalle università americane e dalle tesi intersezioniste che vogliono essenzializzare le comunità e le identità, agli antipodi del modello repubblicano che, invece, postula l’uguaglianza tra gli esseri umani, indipendentemente dalle loro caratteristiche d’origine, sesso, religione. E’ un terreno propizio alla frammentazione delle società che converge con il modello islamico.”
Queste accuse e queste ingerenze hanno suscitato molte reazioni indignate, tra le quali quella della Conférence des présidents d’université . Eppure niente è bastato. Dopo aver adottato una procedura accelerata che di fatto ha tacitato il dibattito, il Senato ha approvato la legge di programmazione della ricerca.
Per molti aspetti si tratta dell’ennesima ormai banale riforma dell’università in senso neoliberale, o meglio in senso dichiaratamente darwinista: precarizzazione del lavoro degli insegnanti, concentrazione dei finanziamenti su poli, e individui, di eccellenza destinati a farsi portatori della competitività della ricerca francese, promozione della competizione tra individui, istituzioni e paesi, potenziamento della gestione manageriale della ricerca, indebolimento delle strutture nazionali di garanzia e più in generale depotenziamento di ogni organo di auto-governo universitario.
Ma questa legge contiene anche un progetto tanto chiaro quanto sconfortante di ridefinizione dei ruoli rispettivi di scienza e politica. All’articolo della legge attualmente in vigore che definiva in modo efficace ed elegante il senso della libertà accademica:
« Gli insegnanti e i ricercatori godono di una piena indipendenza e d’una totale libertà d’espressione nell’esercizio delle loro funzioni d’insegnamento e delle loro attività di ricerca, nei limiti imposti, conformemente alle tradizioni universitarie e alle disposizioni del presente codice, dai principi di tolleranza e di obiettività”
E’ stato aggiunto un emendamento che ne limita la portata:
« Le libertà accademiche si esercitano nel rispetto dei valori della Repubblica ».
Questa frase che rappresenta già di per sé un oltraggio ai principi di separazione dei poteri e libertà accademica è stata aggiunta con riferimento esplicito agli avvenimenti di questi giorni.
« Il terribile dramma occorso a Conflans-Sainte-Honorine dimostra più che mai la necessità di preservare nell’ambito della Repubblica la libertà d’insegnare liberamente e di formare i cittadini di domani” precisa la relazione esplicativa “Si tratta, con questa disposizione, d’inscrivere nella legge i valori, prima tra tutti la laicità, che costituiscono il fondamento sul quale poggiano le libertà accademiche e il quadro in cui esse si esprimono”
Si piega così in maniera vergognosa l’emozione per l’uccisione di un uomo a servire l’obiettivo antidemocratico di limitare la libertà accademiche e di sottoporle alla sorveglianza, oggi della maggioranza presidenziale di Macron, domani chissà.
L’unica buona notizia è che alcuni dettagli di questa legge, incluso, l’emendamento sui limiti della libertà di ricerca possono ancora essere rivisti dalla commissione paritaria Assemblea e Senato che si terrà il 9 novembre. Il sostegno di individui, organizzazioni, riviste al Solemn appeal for the protecting of academic freedom and the right to study oggi più che mai urgente e necessario.