In questi giorni si sente molto parlare di TFA, il tanto atteso e altrettanto temuto
Tirocinio Formativo Attivo che, come definito nel DM 249/10, consentirà di acquisire l’abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Tanto atteso perché sono da quasi 5 anni sono bloccati. I corsi di abilitazione per l’insegnamento (l’ultimo concorso SISS è stato nell’autunno 2007), e tanto temuto perché accedervi non sarà facile.
Il numero di posti è infatti limitato rispetto alle stime dei numeri di aspiranti: il DM 31/12 ha stabilito che saranno disponibili 4275 posti per la secondaria di primo grado e 15792 per la secondaria di secondo grado, a fronte di un numero di precari della scuola di diverse decine di migliaia [1]. Ma cosa ancor più grave, il costo del TFA potrebbe diventare il fattore limitante all’accesso, visto che per molti precari sarà insostenibile.
Bisogna infatti considerare che il costo non si limita alla tassa di iscrizione universitaria, peraltro elevatissima visto che, dai bandi emanati dalle Università questa sarà compresa tra i 2200 e i 3000 € [2], ma deve comprendere anche il fatto che il tirocinante difficilmente riuscirà a lavorare durante la frequentazione del TFA. Infatti il corso abilitante durerà 1 anno (60 CFU), in cui sono previste 475 ore (19 CFU) di tirocinio diretto e indiretto. Stiamo parlando di tirocinanti adulti, che hanno come minimo tra i 25 e 30 anni, se non di più, spesso con famiglia: com’è possibile pensare che queste persone, la maggior parte attualmente precari della scuola che guadagnano al massimo 1300€ al mese per 10 mesi l’anno, o addirittura disoccupati, possano avere i soldi per pagarsi questo corso abilitante, che tra l’altro garantisce solo l’abilitazione, e non l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento!
Per entrare in queste graduatorie infatti bisognerà superare un altro concorso di cui non si conoscono ad oggi date e modalità di svolgimento. Se tutto va bene quindi a fronte dell’investimento si potrà avere, forse tra 5-10 anni, un posto di ruolo nella scuola secondaria.
Ma consideriamo ora una situazione che interessa numerosi precari, questa volta dell’Università. Chi ha conseguito un Dottorato di Ricerca è a tutti gli effetti abilitato ad insegnare in Università. Per diventare Ricercatore o Professore Universitario dovrà superare un concorso, ma non gli verrà mai chiesto di seguire un ulteriore corso di studi. E’ ritenuto infatti sufficiente ed adeguato il percorso di studi seguito (Laurea + Laurea Magistrale + Dottorato di Ricerca) per l’insegnamento in ambito universitario.
E qui sta l’assurdo: questi stessi Dottori di Ricerca, abilitati ad insegnare in Università, non sono ritenuti adeguati ad insegnare nella scuola secondaria! Per ottenere l’abilitazione dovranno superare il concorso per il TFA, frequentare un anno di studi pagando una somma spropositata di denaro, probabilmente senza poter contemporaneamente lavorare, e poi sperare che prima o poi si apra un nuovo concorso per poter entrare nelle graduatorie. E poi ci si chiede il perché dei Cervelli in fuga: questi Cervelli non stanno fuggendo via dall’Italia, ma sono piuttosto cacciati via da un Paese che non riesce ad offrire proprio nulla a coloro che possiedono il massimo grado di istruzione.
[1] è difficile stimare il numero di aspiranti tirocinanti. Una prima stima potrebbe essere fatta considerando i docenti iscritti nelle graduatorie di terza fascia, cioè coloro che non hanno l’abilitazione, ma possono venire chiamati direttamente dalla scuola per le supplenze brevi. Purtroppo non esistono stime ufficiali di questi numeri. Basti pensare però che il numero di docenti abilitati iscritti nelle graduatorie ad esaurimento è pari a circa 250000 unità (http://www.voglioilruolo.it/). Quindi è facilmente prevedibile che il numero di coloro che non hanno l’abilitazione sia molto maggiore. Inoltre a questi precari della scuola vanno aggiunti i neolaureati, i precari dell’Università, ecc.
[2] http://diventareinsegnanti.orizzontescuola.it/2012/05/03/bandi-tfa/
Grazie mille per l’utile articolo. C’è un punto che però non mi è molto chiaro quando
si dice che il TFA non darebbe l’inserimento in graduatoria. Mi spiego: a quanto ne so (non molto
in realtà), al momento esistono 3 graduatorie denominate di I, II e III fascia.
La I e la II sono per chi è già in possesso dell’abilitazione, e da queste
si pescano quelli da immettere in ruolo (ma forse solo dalla I) ed anche
le supplenze annuali, mentre in III fascia ci sono i non abilitati, che
possono fare solo supplenze brevi (o annuali se non c’è nessuno nelle altre
due fasce…) Nell’articolo di si dice che il TFA darebbe l’abilitazione, ma non si verrebbe inseriti
in graduatoria, però non si specifica quale. Il tutto mi sembra un po’ assurdo:
se il TFA dà l’abilitazione all’insegnamento, mi aspetterei che, pure
se non si viene immessi direttamente in ruolo (come credo fosse il progetto originario),
si sia inseriti in I fascia, o almeno in II. Altrimenti che senso avrebbe? C’è qualche
riferimento chiaro?
Il TFA è un percorso formativo abilitante, ma non garantisce l’accesso alle graduatorie ad esaurimento. Come spiegato bene nel punto 6 di queste FAQ: http://diventareinsegnanti.orizzontescuola.it/2012/04/16/faq-sul-tfa-tirocinio-formativo-attivo/, l’abilitazione conseguita permetterà di accedere alle graduatorie di istituo di II fascia, ai concorsi, al reclutamento nelle scuole paritarie. Dalle graduatorie di istituto però non è prevista in nessun modo l’immissione in ruolo.
Grazie per aver toccato su Roars questo argomento, ma l’articolo contiene delle inesattezze macroscopiche.
Prima di tutto tace il fatto che praticamente in tutti i sistemi di scolastici in Europa è prevista una formazione iniziale degli insegnanti. Quindi nessuna anomalia italiana, ma semplicemente un doveroso percorso di preparazione per chi è chiamato a svolgere un ruolo culturale e civile essenziale. Forse qualcuno preferisce tornare ai vecchi concorsoni abilitanti gestiti dai sindacati e dai funzionari dei provveditorati?
In secondo luogo va chiarito che il TFA è il secondo gradino di un percorso che prevede una laurea magistrale per l’insegnamento a numero chiuso. Queste LLMM non sono ancora attivate, ma a regime fungeranno da filtro per l’inserimento nella professione: il cui percorso formativo iniziale prenderà dunque il via a 22 anni (un po’ come in tutto il mondo) e non a 25 o 30.
Altra questione pessimamente trattata è quella del costo. Innanzitutto il costo è stato fissato dal Ministero, su una ragionevole forbice che avvicina il TFA a qualsiasi master o corso post-laurea (italiano, non internazionale). Poi non è vero che questi “tirocinanti… che hanno minimo tra i 25 e i 30 anni… spesso con famiglia” non potranno insegnare. Chi l’ha detto? Come nelle Siss si cercherà di fare in modo che chi ha un incarico non solo possa seguire i corsi (magari pomeridiani) ma si veda riconosciuto l’insegnamento come tirocinio.
La cosa che stupisce di più dell’articolo, e che dimostra come l’articolista non conosca alcuni fatti elementari della didattica e della scuola, è tuttavia l’equiparazione tra insegnamento nella scuola secondaria/insegnamento univeristario da una parte e la capacità di un dottore di ricerca di insegnare nella scuola secondaria solo perché ha questo titolo.
Gentile Cristina Sissa, chieda a chi vuole, visto che non deve avere esperienza a riguardo: è dieci volte più semplice fare un corso universitario con la preparazione di un PhD a 350 studenti in un’aula universitaria che riuscire a parlare per un’ora a una classe di 20 pre-adolescenti non dico di una periferia , ma di qualsiasi Parioli italiano… Per questo è assolutamente indispensabile formare ad alcune nozioni di base di pedagogia e di didattica disciplinare chi insegna le equazioni di I grado mentre non è indispensabile (anche se fortemente auspicabile, anche se sempre più sara necessario) formare alla didattica un docente di analisi matematica all’università.
Strano ma prevedibile connubio anti-TFA tra mondo della sinistra e Lega: (vedi http://rassegna.uniud.it/media/files-rassegna/05-05-2012/MESVENUDINEX_Docenti_false_illusioni_n.pdf).
Il vero problema è che non si è voluto mettere mano assieme alla normativa sulla formazione e a quella sul reclutamento, creando l’attuale, totale, caos (complicato dalle decisioni del governo). Ma da qua a buttare la croce sulle università….
Caro Zannini, inizio a rispondere dal secondo punto (lascio in fondo il commento al primo punto): questo articolo si riferisce al TFA che partirà quest’anno, che per forza si rivolge ai Laureati Magistrali che non hanno seguito il percorso “ad hoc” per l’insegnamento, visto che ancora non è attivo. Quindi gli aspiranti saranno necessariamente persone con età maggiore di 24 anni. Riguardo alla questione del “non poter insegnare”, sottolineo che le esatte parole dell’articolo sono “difficilmente potrà lavorare”. Quindi non si esclude del tutto la possibilità di lavorare, ma di certo conciliare lavoro e frequentazione del tirocino non sarà facile. Dobbiamo infatti considerare che molti tirocinanti sono iscritti nelle graduatorie di istituto di una provincia diversa rispetto alla sede di svolgimento del TFA, e ciò rende chiaramente complicato lavorare e seguire il TFA. Tra l’altro le graduatuorie di istituto sono state aggiornate nell’estate 2011, e rimarranno in vigore per 3 anni: non sarà dunque possibile cambiare provincia fino al 2014. Sul fatto che venga riconosciuto l’insegnamento come tirocinio ho delle perplessità: di sicuro si potrà svolgere il tirocinio nella scuola dove si ha l’incarico, ma questa è una cosa diversa. Anzi su questo punto alcuni colleghi (della scuola) hanno sollevato diversi dubbi: sarebbe infatti molto difficile conciliare il ruolo di docente e di tirocinante mantenendo la credibilità davanti agli stessi studenti.
Veniamo ora al terzo punto: ho insegnato nella scuola secondaria di primo grado per diversi mesi, quindi, nonostante l’esperienza non sia moltissima, ho sperimentato personalmente cosa significa insegnare le equazioni di primo grado a pre-adolescenti. E’ vero, è innegabilmente diverso rispetto ad insegnare la quantomeccanica a studenti universaritari (è diverso, non più difficile). La cosa che però mi ha aiutato di più è stato il confronto con insegnanti esperti e il “tutoraggio” che ho ricevuto da loro (un tutoraggio auto-organizzato dalla scuola, che per il periodo iniziale ha previsto anche ora di compresenza in classe). Sottolineo però che, sia per gli studenti che per i colleghi, io ero un professore a tutti gli effetti, cosa ben diversa rispetto a quello che accadrà ai tirocinanti del TFA.
Concordo con lei che si dovrebbe mettere mano seriamente alla normativa sulla formazione iniziale dei docenti e al reclutamento. Sinceramente però, tornando al primo punto, e questa è un’opinione del tutto personale, io sarei molto più favorevole a un concorso abilitante SERIO, che magari preveda una successiva formazione, principalmente da svolgersi “sul campo”, e che non comporti oneri gravosi per il neo-insegnante.
Gentile Zannini,
mi permetta di risponderle perché, invece, è più che necessario buttare la croce sulle università.
1. Non sono esistiti nel nuovo ordinamento corsi di laurea che presentassero al loro interno tutti i crediti necessari per accedere ai corsi abilitanti all’insegnamento. Al giovane sprovveduto veniva comunicato SUCCESSIVAMENTE, spesso una volta laureato, che doveva recuperare dei crediti (tra l’altro pagando ALTRO DENARO) per poter accedere alle SSIS o a quant’altro.
2. Questi corsi singoli costavano e costano un occhio della testa. Una volta recuperati i crediti, spendendo, ci si può iscrivere all’esame per il TFA – che costa altri soldi – e in seguito, se lo si supera, frequentare l’anno di tirocinio spendendo ulteriormente una cifra folle.
Ora, non sono affatto d’accordo che chi possiede un titolo d’istruzione superiore come un dottorato non sia in grado di insegnare in una scuola superiore. Io sono dottorata in lingua inglese e le assicuro che non c’è nulla di facile nel tenere un corso di lingua per trecento persone. Ci provi lei a parlare per due ore e passa in inglese con trecento cristiani come pubblico. Inoltre, è possibile che a chi ha conseguito un dottorato manchino nozioni di pedagogia, lacune che sono colmabilissime DURANTE il TFA; quello che contesto è che a coloro che posseggono un dottorato – per esempio in letteratura e lingua inglese come me – vengano non solo imputate le suddette mancanze pedagogiche ma ANCHE la carenza di crediti formativi universitari stabiliti aprioristicamente e senza alcun senso. Nella pratica, io ho un dottorato in letteratura e lingua inglese, conosco perfettamente la mia materia, ma mi viene COMUNQUE chiesto di tornare all’Università per colmare dei crediti di letteratura inglese, poiché i crediti richiesti sono di più di quelli che io ho accumulato. Inoltre, facendo esami di moli identiche, poiché ogni facoltà ha potuto scegliere il numero di crediti da assegnare ai vari insegnamenti, IO magari risulto carente di quei crediti, e un altro che si è laureato – magari – in un’altra università che i crediti li calcola diversamente è perfettamente in regola. E i programmi sono i medesimi. Qui sta la follia.
Non so lei, ma io sarei perfettamente in grado di insegnare in una scuola superiore, colmando magari col tirocinio le lacune di pedagogia che lei ritiene di tale e tanta importanza (cosa di cui francamente continuo a dubitare); ma che mi si dica che devo “tornare a scuola” no, non lo accetto.
Il numero di docenti in terza fascia e’ circa 30-40000 come stimato da ADIDA (Associazione Docenti Invisibili da Abilitare); si veda ad es. http://diventareinsegnanti.orizzontescuola.it/2011/11/18/interrogazione-pdidv-su-questione-docenti-precari-di-iii-fascia/
Non certo piu’ di 250000…..
Anche qui una macroscopica inesattezza…
vorrei precisare che quel numero (30-40000) si riferisce ai “docenti precari non abilitati di terza fascia che da anni insegnano nelle scuole italiane”, come dice lo stesso articolo. Non include cioè tutti gli altri (quelli con meno esperienza). Il dato ufficiale del Ministero, sempre sui docenti con servizio superiore ai 360 giorni, è ben più alto (circa 129000, anche se ci sono polemiche riguardo a come è stato calcolato questo numero), come si legge in fondo allo stesso articolo. Comunque ribadisco che non ho trovato stime ufficiali sul numero TOTALE dei docenti iscritti in terza fascia (se qualcuno ne ha, sarei molto curiosa di vederlo). Il numero riportato voleva quindi dare un’idea sul numero di docenti abilitati (e precari) per avere un termine di confronto.
Ulteriore commento.
Avendo svolto la SISS, avendo un dottorato e svolgendo ricerca come professione, posso ben dire che una persona con dottorato, pur (potenzialmente) bravo nell’insegnare in un’aula universitaria, NON HA LE COMPETENZE per insegnare in un’aula scolastica. Certo ci possono essere e ci sono eccezioni. Ma tali restano.
Nella maggior parte dei casi produrrebbero maggior danno a se stessi a agli studenti.
…
Quindi la frase:
“E qui sta l’assurdo: questi stessi Dottori di Ricerca, abilitati ad insegnare in Università, non sono ritenuti adeguati ad insegnare nella scuola secondaria! ”
E’ non solo palesemente falsa, ma soprattutto PERICOLOSA se passasse cosi’ come e’ stata inserita.
Buongiorno, ringrazio Roars per aver riportato la questione anche all’interno dell’ambito accademico. Non entro nel merito delle precisazioni fatte nei commenti precedenti, che comunque mi vedono d’accordo sulla sostanziale necessità di creare un percorso formativo per preparare gli insegnanti.
Personalmente sono stata invitata da varie persone, professori amici e colleghi, a partecipare al concorso di accesso al TFA. Tutti in buonissima fede mi hanno esortato, vedendo nel Tirocinio un utile sbocco lavorativo, anche se non a breve termine. Da precaria della ricerca e da docente a contratto in varie università italiane, sono invece perplessa nell’intraprendere questo percorso. Tralasciamo la questione delle effettive possibilità di entrare a fare il TFA, i posti sono pochissimi e gli aspiranti molti (oltre ai docenti in terza fascia, si deve tener conto dei neo-laureati e di molte altre categorie di persone, i numeri di partecipazione ai concorsi pubblici sono esponenzialmente aumentati: 16mila persone per 43 posti da bibliotecario al Comune di Roma, per intendersi) e tralasciamo anche la questione dei costi, inevitabili a mio avviso – ma le aziende per il diritto allo studio dovrebbero in qualche modo aiutare chi non si può permettere tale spesa. Mi sembra però ancora molto vaga l’organizzazione di questo anno, comunque fra il tirocinio nelle scuole, i corsi e le lezioni frontali sarà molto difficile poter tenere altri lavori.
Viene dato per scontato in uno dei commenti che le persone che faranno il TFA sostanzialmente lavorino già nelle scuole per fare supplenze e basta. Io conosco però un realtà diversa in cui si fanno vari lavori “della conoscenza”: dalla collaborazione con archivi e biblioteche, all’organizzazione di seminari o visite guidate, all’impaginazione e alla correzione di bozze e quando capita anche qualche breve supplenza. Sara
Non voglio entrare in questa accesa discussione. Però voglio segnalare un dettaglio che mi ha colpito nel commento di saramori: “tralasciamo anche la questione dei costi, inevitabili a mio avviso”. Ecco, è questa *ineluttabile inevitabilità dei costi* che mi preoccupa.
Costi inevitabili perchè? Abbiamo bisogno di insegnanti e quindi è nostro (nostro come stato e come cittadini di questo stato) dovere, è nostro onore ed onere formare questi insegnanti e preoccuparci di farlo al meglio. Chi altri se non la collettività deve accollarsi questi costi?
Questo vale, tal quale, per i costi dell’istruzione che deve, lo dice la nostra costituzione, essere garantita a tutti.
Mi si dirà che sono pazza che certo non si può: nossignori. Sapete a quanto ammontano le tasse universitarie per gli studenti svedesi? Zero, nada (e solo recentemente hanno istituito tasse universitarie per gli studenti non svedesi). Sapete quanto costa la scuola in Svezia, incluso il servizio mensa? Zero, nada.
Quindi SI PUO’ se si vuole (la crisi non è una scusa, la crisi esiste anche per la Svezia, che è uno stato europeo e non sta mica sulla luna).
Dove si prendono i soldi? Ebbene esiste un bilancio dello stato, nel quale si decide come distribuire le risorse. Si è deciso *ma è una precisa decisione POLITICA non un’iNELUTTABILE legge di natura* che i costi dell’istruzione devono ricadere sugli studenti. Si è deciso che la formazione all’insegnamento va pagata cara dai futuri possibili insegnanti e con poche garanzie. Si poteva, SI PUO’ decidere di fare diversamente, tagliando certo altre spese (abbastanza banale il suggerimento di tagliare le spese militari, i famosi cacciabombardieri, ad esempio). Ma non è mio compito nè è questa la sede per suggerire le scelte di politica economica.
Voglio solo far cadere il velo fasullo dell’inevitabilità: SE SI VUOLE SI PUO’: non è inevitabile far ricadere i costi della formazione sulle spalle degli studenti. E’ possibile pensare ad una società che, sapendo di aver bisogno di insegnanti, medici, infermeri, ingegneri, musicisti… decide che è giusto e buono farsi carico della loro formazione. Pensiamoci, si può.
Salve,
una precisazione: i costi sono inevitabili per le ragioni espresse anche nei grafici del post di oggi di Francesco Coniglione dove si vede la drastica diminuizione delle risorse statali per l’università. Proprio per salvaguardare forti discriminazioni è per questo che spero che le università si muovano per garantire il diritto allo studio.
Questa è la realtà dei fatti, come possiamo e vogliamo cambiarla è un altro discorso, che farei ben volentieri anche con Anna Painelli.