«Umanoide, non umano – Un mondo variegato in cui si resta perplessi per gli investimenti su progetti incerti»: è il Sole 24 Ore che dà questa definizione della “robotica umanoide”, fiore all’occhiello della ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia, il cui robot-bambino iCub viene spesso esibito come emblema dei successi dell’istituto genovese. Ed è proprio iCub che ha in mente Alberto Rovetta, professore emerito del Politecnico di Milano, quando scrive che «Di fronte a un investimento di decine di milioni di euro tra passato, presente e futuro, come quello per i robot promessi dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) […] Chi è del campo resta perplesso di fronte a investimenti pluridecennali su un progetto incerto, di cui non si comprende lo scopo, fermo alla ricerca del millennio scorso, senza mercato né all’estero né in Italia.» Se guardiamo invece ai settori della robotica che hanno un mercato e i cui utilizzi sono in crescita in tutto il mondo, i punti di eccellenza sono altri: le università, i politecnici e anche le industrie italiane «prime al mondo nell’integrazione dei robot nelle fabbriche e nelle applicazioni». La conclusione di Rovetta suona come una vera e propria sfida rivolta al governo: «Si metta a bando, aperto a tutti, ogni fondo pubblico destinato alla ricerca e alla applicazione della robotica. Vediamo chi ha le idee migliori.»
L’articolo Umanoide, non umano di Alberto Rovetta (Sole 24 Ore, 7 agosto 2016)
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Alberto Rovetta, in un articolo sul Sole 24 Ore di domenica 7 agosto, descrive brevemente la storia e i variegati impieghi della robotica industriale, di quella chirurgica e di quella non industriale, impiegata per uso domestico nella vita di tutti i giorni.
Questa robotica il cui mercato e i cui utilizzi sono in crescita in tutto il mondo e per cui l’Italia occupa un posto di prim’ordine viene contrapposta a quella con forme umanoidi il cui mercato è inesistente a causa di problemi etici, legali e di sicurezza che non hanno ancora trovato soluzione.
Un capitolo diverso è la robotica con forme umanoidi, o somiglianti a esseri viventi anche non umani. Il mercato di questi robot è inesistente perché i problemi legali e giuridici, di assicurazione e di sicurezza sono immensi e non hanno trovato ancora giustificazioni per una soluzione razionale. La sicurezza è il dogma necessario per non rompere il rapporto magico tra queste macchine e l’uomo. Il panico causato a due anziani giapponesi da un robot giocattolo che si è attivato in piena notte, ha prodotto diversi articoli accademici. […]
Chi è del campo sa che la robotica umanoide è piena di grandi annunci e promesse, accompagnati da silenziose sparizioni. Il progetto del robot cagnolino della Sony, programmato (e annunciato) per conquistare l’affetto di milioni di padroni umani, ha chiuso in silenzio.
Al lettore dell’articolo del Sole non può, a questo punto, non venire in mente una immagine che tante volte ha visto propagandata su giornali e riviste negli ultimi mesi e di cui abbiamo già scritto su questo blog.
Il robot che costerà come uno scooter ma che è la piattaforma per la rinascita dell’Italia
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E infatti anche Rovetta ha in mente la stessa immagine: quella del robot bambino di IIT chiamato iCub,
Di fronte a un investimento di decine di milioni di euro tra passato, presente e futuro, come quello per i robot promessi dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), c’è da chiedersi chi e con quali valutazioni abbia autorizzato continuativamente tale spesa, utilizzando fondi pubblici nazionali. iCub di IIT è stato preso a modello di comunicazione “fuorviante” sulla natura dei robot umanoidi dal noto neuroscienziato e divulgatore David Eagleman, che a pag. 188 del suo libro The Brain (Pantheon Books, 2015) spiega perché è sbagliato credere (o far credere) che quel manufatto sia intelligente, facendosi «ingannare» da segnali etologici che abbagliano l’osservatore, come gli occhi grandi, i tratti infantili, la voce gentile, etc. Non c’è «nessuna mente dietro i programmi» e la macchina esegue solo un “set di istruzioni”. L’intelligenza umana, sappiamo, è qualcosa di ben diverso.
Chi è del campo resta perplesso di fronte a investimenti pluridecennali su un progetto incerto, di cui non si comprende lo scopo, fermo alla ricerca del millennio scorso, senza mercato né all’estero né in Italia. Intanto, la robotica italiana cresce altrove e ha esportato ed esporta in tutto il mondo.
Il robot-bambino iCub (dalla home page dell’Istituto Italiano di Tecnologia)
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A questa robotica ad effetto, senza impiego e senza mercato, viene contrapposta la robotica italiana, in crescita, quella che nasce e si sviluppa nelle Università e nei Politecnici e quella che viene applicata nelle industrie italiane con ottimi risultati e di cui si può dire, a ragione, che è un punto di eccellenza.
I punti eccellenti di sviluppo sono le Università, come quella di Parma che ha vinto in questi anni il Progetto DARPA (dell’Agenzia della Difesa degli Stati Uniti) per un percorso con un automezzo senza guidatore ed ha bissato il successo con un viaggio su strada da Italia a Pechino con un camion senza guidatore, ma anche i molti dipartimenti del Politecnico di Milano e del Politecnico di Torino, dove crescono solidi progetti di robotica industriale e non industriale.
Anche la robotica delle industrie italiane va guardata con rispetto. Sono le prime al mondo nell’integrazione dei robot nelle fabbriche e nelle applicazioni, distinguendosi per le caratteristiche di qualità, sicurezza, affidabilità. Il loro elenco è interminabile. I loro risultati la più chiara testimonianza. […]Trovandoci nella patria di Galileo e Leonardo da Vinci si ha il diritto di esigere dal governo chiarezza e una riflessione attenta su come si investono i nostri soldi in ragioni di interessi comuni.
Si metta a bando, aperto a tutti, ogni fondo pubblico destinato alla ricerca e alla applicazione della robotica. Vediamo chi ha le idee migliori.
Quindi americani (a incominciare da Darpa e Nasa), giapponesi, sudcoreani stanno tutti buttando i loro soldi?
Chi legge l’articolo di Rovetta vede che DARPA viene citata proprio a riprova che ci sono altri tipi di progetti di ricerca nella robotica (con maggiori ricadute di mercato) svolti più che validamente nelle università:
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“I punti eccellenti di sviluppo sono le Università, come quella di Parma che ha vinto in questi anni il Progetto DARPA (dell’Agenzia della Difesa degli Stati Uniti) per un percorso con un automezzo senza guidatore ed ha bissato il successo con un viaggio su strada da Italia a Pechino con un camion senza guidatore, ma anche i molti dipartimenti del Politecnico di Milano e del Politecnico di Torino, dove crescono solidi progetti di robotica industriale e non industriale.”
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Ci mancherebbe che non sia lecito fare ricerca sulla robotica umanoide. Quello che non convince è iniettare milioni di Euro senza bandi competitivi in un tipo particolare di ricerca, mentre latitano gli investimenti a favore di ricerche con pretese non solo meno fumose ma anche più rispondenti al tessuto produttivo nazionale. E se qualcuno avesse da ridire sull’aggettivo “fumose”, non ha che da leggere il pezzo che avevamo pubblicato lo scorso luglio:
https://www.roars.it/il-robot-che-costera-come-uno-scooter-ma-che-e-la-piattaforma-per-la-rinascita-dellitalia/
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Infine, le riserve espresse da Rovetta diventano ancora più comprensibili, se si ricorda che l’Istituto Italiano di Tecnologia è stato fondato con (Legge 326/2003) con “lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del paese e l’alta formazione tecnologica, favorendo così lo sviluppo del sistema produttivo nazionale”.
Devo pensare che l’IIT abbia una fascinazione sui politici senza eguali in Italia. Perchè mentre stiamo assistendo in questi anni ad un boom di applicazioni sull’intelligenza artificiale che fino a qualche anno fa non potevamo sviluppare, buttiamo soldi dalla finestra per creare robot umanoidi con tutti i problemi etici e legislativi sollevati dall’articolo. Praticamente invece di investire in un settore che ha un potenziale enorme ancora inesplorato e rivoluzionario buttiamo i soldi dove neanche Google è interessata (vedi il caso della vendita di Boston Dynamics).
Il problema è l’assenza della politica, non la sua presenza. Anzi, è proprio in presenza dell’assenza che tutto diventa possibile.
Mah… che tristezza. Sti articoli mi portano a qualche riflessione: 1) Confindustria sta mollando Governo, Miur, Anvur, IIT ecc..? 2) Mentre l’Università pubblica viene sommersa e intasata da junk-burocrazia, loro hanno finanziamenti senza bandi, senza call, senza concorrenza per assemblare il Cretinetti del nuovo millennio. 3) A proposito di questo, mentre altri paesi spendono i soldi italiani stanziati per H2020, formando personale amministrativo per competere sempre meglio nelle call, la nostra macchina amministrativa è impegnata in processi di pseudovalutazione che non lascia spazio per nessun altra attività. 4) Infine, qualcosa che con l’articolo c’entra solo limitatamente: avete notato che i tre cardini su cui la prima ASN traduceva la volontà punitiva della politica nei confronti dei docenti univgersitari sono stati spazzati via, con l’aiuto determinante della magistratura. Mi riferisco alla necessità di rivolgersi a docenti stranieri per valutare i docenti italiani, alla necessità di ottenere 4 giudizi positivi su cinque e alla necessità di “valere” più della media dei docenti della fascia successiva. Me li ricordo quei parlamentari, soprattutto quelli di AN: i loro commenti, le dichiarazioni sui baroni. Dove sono adesso sti galantuomini? Spazzati via dalla storia.
Ma provare a rispondere alle domande poste nell’articolo è troppo complicato? “Di fronte a un investimento di decine di milioni di euro tra passato, presente e futuro, come quello per i robot promessi dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), c’è da chiedersi chi e con quali valutazioni abbia autorizzato continuativamente tale spesa, utilizzando fondi pubblici nazionali”. Cerchiamo una risposta lineare senza chiedersi chi sia il mandante di una domanda ovvia? Domanda che poi una comunità scientifica e accademica degna di questo nome avrebbe dovuto fare 10 anni fa?
Resta il fatto che il foglio di Confindustria è stata la grancassa del disegno di distruzione dell’Università pubblica sistematicamente e minutamente perseguito negli ultimi 10 anni, l’unica delle grandi “riforme” andata a buon (?)fine. Pur ammettendo tutta la buona fede del mondo in chi ha scritto lo specifico articolo, direi che da quel pulpito di prediche non dovrebbero proprio accettarsene.
L’articolo è scritto da un professore emerito del Politecnico di Milano. La redazione del Sole si è limitata a pubblicarlo (e non è nemmeno detto che l’abbia sollecitato). Rimane comunque significativo che il quotidiano di Confindustria abbia pubblicato l’articolo (la settimana prima di Ferragosto, peraltro). Proprio alla luce della linea tenuta dal quotidiano nel corso degli anni e di come la nascita di IIT si inserisce in quella narrativa, viene da pensare che qualche dubbio sull’istituto genovese cominci a circolare anche da quelle parti. Tra poche persone, forse, ma capaci di far filtrare un discreto siluro.
Cerchi pure le risposte, Labini! Io mi sono stancato. La storia degli ultimi 5 anni ha detto che la risposta è una sola: ricorso sistematico alla magistratura. Per le abilitazioni, per la valutazione delle strutture, per i finanziamenti della ricerca, per la distribuzione dei punti organico. Insomma per ogni decisione presa da incompetenti (se non peggio). Per lo meno finchè non cambierà qualcosa. Io personalmente credo che in Italia ci sia un’ultima possibilità. Credo sia giusto dare fiducia ai nuovi. Per quanto mi riguarda, per l’ultima volta. Speriamo sia ben riposta.
la risposta è dentro di te, ma è … sbagliata :-)
ET (letto all’inglese IIT): “a casa … a casa” (letto all’italiana: andate tutti a casa).
“mentre altri paesi spendono i NOSTRI soldi italiani stanziati per H2020, formando personale amministrativo per competere sempre meglio nelle call… ” appunto come dicevo da qualche parte: è tutto sbagliato è tutto da rifare — ma è mai possibile che per un progetto di ricerca ci voglia una schiera di burocrati che ci sguazzano ?