«Per me, la corazzata VQR è una c…a pazzesca!» No, non si è espresso così il rettore Paolo Comanducci, ma poco ci è mancato. Anche se la scena si svolge a Genova, la patria di Paolo Villaggio, il Magnifico, ha evitato i commenti scatologici nel corso del convegno organizzato il 21 marzo a Genova nell’ambito delle iniziative nazionali per la “Primavera dell’università” lanciata dalla CRUI.  Ma il suo giudizio rimane severo: «la valutazione della qualità della ricerca è proprio una schifezza». Come praticamente tutti i rettori, Comanducci si è adoperato per convincere i colleghi a partecipare alla VQR, ma non può certo dirsi un suo sostenitore. Una situazione resa ancora più paradossale dal fatto che i suoi timori coincidono con quelli che hanno motivato l’adesione alla protesta #stopVQR di molti colleghi. In particolare, ha ricordato che, senza un massiccio intervento governativo, «tra quattro-cinque anni saremo costretti a tagliare interi corsi di laurea e si creerà un netto divario tra poche eccellenti università del Nord, come Torino, Milano, padova e Bologna, e tutte le altre, compresi grandi atenei come La Sapienza». Comanducci ha anche bocciato senza appello le cosiddette “cattedre del merito” definite, senza mezzi termini, «una bufala». Secondo quanto riportato dal Secolo XIX, “Non servono soluzioni estemporanee come le cattedre d’eccellenza create a ottobre dalla legge di stabilità: 50 milioni nel2016 e 75 dal ’17 per 500 nuove cattedre destinate a studiosi italiani  stranieri. Il Governo l’ha presentata come una mossa meritocratica. Il rettore Comanducci, lo ha detto ieri, la considera «una bufala».

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15 Commenti

    • «Guidobaldo Maria Riccardelli fu costretto per due giorni e due notti consecutive a visionare ininterrottamente a rotazione “Giovannona coscia lunga.”, “Esorciccio” e “La polizia si incazza”.»
      Due film su tre esistono veramente, il terzo è un titolo di fantasia. Qualcuno dovrebbe essere costretto per due giorni e due notti consecutive a visionare ininterrottamente il bando VQR, i regolamenti di AVA e i criteri di accreditamento dei dottorati. Inginocchiato sui ceci, naturalmente. Il problema è che in questo caso sono tutte e tre punizioni reali e non ci sono titoli di fantasia.

    • Chiunque abbia esercitato il potere in modo antidemocratico e odioso ha fatto una brutta fine. Ce lo insegna la storia, anche quella recente. Tutti i dittatori alla fine della loro parabola di potere sono finiti come topi accerchiati: morti suicidi (Hitler), fucilati e oltraggiati (Mussolini), linciati dalla folla (Gheddafi).

  1. Nei film di Fantozzi si fa carriera facendo “il leccaculo e la spia dei potenti” (visconte Cobram) e temo che questo sia il perfetto identikit del professore universitario ai tempi di VQR e ANVUR. Il punto è che il governo vuole trasformare il potere un po’ autoreferenziale dei così detti “baroni universitari” (capacidi intrattenere rapporti con il potere politico, mantenendosi però autonomi), con delle marionette eterodirette dipendenti in tutto e per tutto dalla politica (sul modello dei primari e dei dirigenti ASL).

    • Vignetta di Altan: Io non guardo in faccia a nessuno: sono un leccaculi a 360 gradi

  2. «E quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezzi uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) piglianculo e i quaquaraqua. Pochissimi gli uomini; i mezzi uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezzi uomini. E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più in giù: i piglianculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione delle anatre».

    • Pensando a scatti perduti e altro, non si può che confermare la presenza di un esercito di esemplari della quarta categoria anche tra i docenti universitari.

    • Liberi servi, verrebbe da dire con Zagrebelsky.

      “Dostoevskij tornò da un viaggio a Londra profondamente turbato: invece di cogliervi il brivido luminoso del progresso – erano i giorni della prima Esposizione universale – aveva scoperto che in quella città regnava l’irrimediabile solitudine e la rassegnata disperazione di un’umanità sottomessa. Aveva sperimentato il trauma immedicabile della profezia: affacciatosi sul futuro, aveva passeggiato nel cantiere del mondo d’oggi per ritrarsene spaventato. Questa illuminazione mediante le tenebre avrebbe trovato felice compimento nel capitolo dei Fratelli Karamazov dedicato al Grande Inquisitore. In esso Dostoevskij affronta temi cruciali che riguardano la filosofia morale, la politica, la filosofia della storia e della religione: pagine taglienti di grande letteratura, in grado di scavare nell’animo umano senza schermi o mediazioni. Con lucida passione, questo libro coglie ogni aspetto del celebre testo, inquadrandolo dapprima all’interno dell’opera e della poetica dello scrittore russo, per metterlo poi in relazione con il pensiero politico della modernità, approfondendo infine le tante riflessioni che da esso scaturiscono. All’autore interessano soprattutto gli aspetti legati alla teoria del potere; e nel monologare dell’Inquisitore di fronte al Cristo silenzioso – fino all’enigmatico bacio finale – ritrova numerosi e sbalorditivi agganci con il nostro tempo presente, che per molti aspetti sembra dare compimento al cinico nichilismo dell’Inquisitore: su tutti, la tendenza degli uomini ad accettare di vedersi sottrarre la vera libertà scambiandola per quella misera e obbediente di un apatico conformismo.

      ***

      «Nel punto in cui, con l’annuncio di propositi suicidi, culmina il disgusto di Ivàn Karamazov per il male assurdo e ingiustificato del mondo, illustrato con brevi e sconvolgenti quadri della malvagità umana tratti non dalla fantasia ma dall’osservazione, Dostoevskij introduce l’atto d’accusa contro il Cristo, responsabile di tanta afflizione. L’Inquisitore propone l’inquisizione come rimedio, come medicina efficace per estirpare la causa del male che affligge l’umanità. La causa è la libertà. “Sei venuto a portare nel mondo la libertà. Ma la libertà, per le tue creature, è solo impazienza e sofferenza. È un dono, ma avvelenato”. Si può restare indifferenti di fronte a una tale sentenza? No, non si può. Essa contiene, sí, una condanna del Cristo ma la condanna presuppone una concezione della natura umana. L’Inquisitore e, con lui, gli inquisitori di ogni tempo e di ogni specie dicono di noi che, per la nostra costituzione psichica, siamo refrattari alla libertà e cosí giustificano – per il nostro bene – l’inquisizione. Per l’Inquisitore, questa è una constatazione. Per noi che leggiamo le sue parole, è una provocazione all’acquiescenza o alla resistenza. Per questo siamo messi di fronte a una scelta che presuppone un’opera di autocoscienza».”

    • E’ un’atmosfera decisamente Orwelliana. Alla rivoluzione della legge 382/80 è seguita la controrivoluzione dell’ANVUR. Scelgo come colonna sonora Animals dei Pink Floyd.

  3. Più leggo quelle due frasi dell’articolo (eliminando il logoro acronimo) “ha fatto di tutto per convincere i suoi colleghi a partecipar[vi] … ma non per questo [ne] è un sostenitore”, meno ci credo. O è il giornalista che si sbaglia, o il nostro stato mentale è profondamente alterato, oppure siamo entrati in un mondo dove tutte le logiche sono equivalenti. Cioè, si convincono con tutte le forze gli altri a fare ciò che è visto come necessario e utile, ma che personalmente e pubblicamente e successivamente si disprezza e si condanna. Traduciamolo con una analogia più pregnante. Io sono un comandante di un esercito di centinaia o migliaia di persone, di tutte le età e generi (che mi hanno eletto); le incito ad andare avanti a combattere (anche se molte non ne hanno voglia), perché altrimenti (a mio modo di vedere che non è unanimemente accolto) ci rimettiamo tutti. Un volta conclusa la battaglia (ma non la guerra), mi metto su una altura e dichiaro al mio esercito e ad altri che tutto ciò fa schifo. Punto. E allora, come la mettiamo con la guerra, con le successive battaglie?
    Ad onor del vero questo è solo uno dei 60 o giù di lì scenari accademici, raccontato con la trita allegoria bellica. Altrove si procede diversamente, anche se di pochi si conoscono i precisi dettagli: proclama la necessità di strategie condivise, di obiettivi comuni (comuni a chi precisamente? vi includiamo anche Miur e Anvur?), si elogia la Crui che si muove (senza però dire mai perché si è finalmente mossa e quanto si muove). A patto però di ‘conferire prodotti’ perché non si sa mai. Donde la dichiarata soddisfazione dell’Anvur che sicuramente procederà con i suoi algortimi astrusi. Donde il silenzio totale del ministro, se non per comparire da Parigi (Tour Eiffel illuminata nel sottofondo) rapidamente e scollacciata a Porta a porta all’indomani di un evento tragico. Insieme col Presidente della Crui e con studenti della Luiss. Per rassicurare giustamente famiglie e studenti sull’Erasmus, ma per il resto era di dubbio gusto, alias vetrina (http://www.portaaporta.rai.it/puntate/perche-la-strage-delle-studentesse-salvini-rottama-centrodestra-sala-fossi-sindaco-farei/: leggere il secondo commento, del medico). Anche questo fa parte integrante del contesto della discussione in atto sulla vqr.
    Buona Pasqua!

  4. “Pensando a scatti perduti e altro, non si può che confermare la presenza di un esercito di esemplari della quarta categoria anche tra i docenti universitari. ” …della quinta, della quinta, magari della quarta … della quarta è ormai pieno il mondo, ma della quinta solo alcune eccellenze ,e ahimè questi sono vicino a noi e ci disturbano con il loro anatrare e starnazzare.

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