«[…] la sentenza del Consiglio di Stato […] ha stabilito che le procedure ex art.24 c.6, l. n.240/2010devono essere “valutative di tipo comparativo” e aperte “a tutti i ricercatori di ruolo in possesso della prescritta abilitazione scientifica nazionale” appartenenti all’università e non possono quindi essere ristrette ai soli abilitati del Dipartimento che le attiva. Sullo stesso tema la sentenza del TAR Abruzzo […] ha affermato il principio secondo il quale devono essere ammessi alla procedura tutti gli abilitati in tutti i settori concorsuali ricompresi nello stesso macrosettore concorsuale comprendente il settore concorsuale della procedura stessa.» Segnaliamo un documento CUN in materia di immissione in ruolo dei professori di prima e seconda fascia, con il quale il CUN sollecita gli Atenei a recepire nei loro regolamenti i più recenti principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, all’indomani di una sentenza di cui ROARS ha già parlato.
La sentenza del Consiglio di Stato ha finalmente chiarito una questione che si trascinava da tempo e in diversi atenei ha creato forti disparità. La sentenza del TAR di Abruzzo mi pare frutto di poca famigliarità con l’università. Le dimensioni delle MacroAree sono disomogenee e non sono un buon metro. In matematica esiste un unica macroarea MAT, per cui, con quella sentenza del TAR di Abruzzo, su un posto di fisica matematica o di analisi numerica concorrerebbe un abilitato di logica o di algebra, con un inutile ingolfamento della procedura e problemi di inquadramento su settori in cui uno potrebbe non essere abilitato. Credo che essendoci i settori concorsuali, siano quelli il corretto confine per l’accesso dei candidati alla procedura.
Sarebbe opportuno cominciare a pensare che l’art. 24 dovrebbe essere aperto a tutti i Ricercatori e Professori associati abilitati anche di altre sedi, che in caso di chiamata dovrebbero portare in dote il loro valore in punti organico.
La mobilità bloccata ingessa il sistema e impedisce il riequilibrio, anche nel senso “virtuoso” inteso dal Miur, ma soprattutto nel senso del riequilibrio a livello nazionale, che altrimenti rischia il collasso in intere aree del paese.
l’idea di gennaro è geniale. ma nessuno ci ha pensato prima?
Anche a me sembra che l’idea della Collega Gennaro sia ottima. L’unica controindicazione potrebbe essere rappresentata (similmente a quanto accadeva ai tempi dei concorsi nazionali) dagli eventuali “flussi migratori” dalle sedi universitarie più periferiche a quelle più centrali (e blasonate). Una sorta di “rientro dei cervelli” a livello nazionale, con ciò provocando non pochi problemi nei requisiti minimi di docenza per le sedi “cedenti”. Potrebbe essere opportuno, conseguentemente, subordinare la presa di servizio nella nuova sede (con spostamento del punto organico) alla permanenza, nella vecchia sede, dei requisiti Anvur per continuare a erogare la didattica (o, in alternativa, al rilascio di un nulla-osta del Senato accademico).
Gli atenei virtuosi che hanno ricevuto una pioggia di risorse, dovranno darsi da fare parecchio per attivare e portare a termine un turbinio di procedure di arruolamento.
Il massiccio incremento di personale accademico avrà ovviamente una conseguenza riguardo al requisito dell’80%.
Gli atenei più poveri dovranno per forza concentrarsi sull’ottimizzazione delle risorse interne, quindi le progressioni di carriera sia di Ricercatori che di Professori associati abilitati, saranno fondamentali per mantenere l’offerta didattica.
Magari succederà che proprio megli atenei più poveri affluiranno i più giovani, mentre negli atenei blasonati sgomiteranno i migliori in forza di una carriera carriera pregressa più blasonata, ma anche più lunga.
Infine, ricordo che l’ope legis risale al 1980, dunque poiché il requisito era tre anni di attività, oggi quei ricercatori che si fossero laureati a 25 anni, compiono i 65 anni del termine di servizio entro il 2020 e saranno “persi” per il sistema universitario, mentre avrebbero ancora altri cinque anni al servizio della comunità accademica. Inoltre andando in pensione da Ricercatore lasciano solo uno 0,5 punti organico al turn over di ateneo, mentre da associati lascerebbero uno 0,7, con vantaggio anche per i giovani precari.
Non si può dimenticare che oltre alla ultradecennale attività didattica, più di metà di loro è stato giudicato metitevole di abilitazione, esattamente come i più giovani Ricercatori a tempo determinato, che hanno invece il passaggio dovuto a Professore associato.
È fondamentale superare questa logica dell’uno contro tutti. Nella scienza funziona la cooperazione, non la competizione selvaggia mors tua vita mea. Meglio “uno per tutti, tutti per uno”, ciascuno nel suo ruolo e secondo le sue capacità, queste sono le squadre vincenti.
Si batte il record una volta. Prima e dopo si è uno tra tutti.