Segnaliamo alcuni importanti provvedimenti adottati dal CUN nell’adunanza del 3-5 aprile scorso.
Dal testo della newsletter CUN:
NUOVA DISCIPLINA DEL FABBISOGNO FINANZIARIO DEGLI ATENEI PUBBLICI
La Legge di Bilancio 2019 ha introdotto modifiche in materia di fabbisogno finanziario degli Atenei pubblici. In merito, il CUN ha approvato una mozione nella quale richiama l’attenzione sul fatto che interventi voluti dal legislatore nelle ultime leggi di bilancio produrranno maggiori uscite, in gran parte automatiche, negli esercizi 2019 e 2020. A fronte di ciò, la nuova disciplina imporrà a un numero crescente di università una restrizione alla parte restante della spesa corrente o la necessità di incrementare le entrate proprie per evitare il superamento del limite ministeriale. La mozione sottolinea inoltre come i meccanismi di scorporo degli investimenti e della ricerca individuati non garantiscano quei margini di elasticità e flessibilità necessari per far fronte alla parte restante della spesa corrente, destinata a crescere in virtù dei fattori richiamati dal documento.
Secondo la Legge di Bilancio 2019, a decorrere dall’anno 2021 tra i criteri di ripartizione delle risorse ordinarie il MIUR inserirà penalizzazioni economiche per le Università statali che non rispetteranno il fabbisogno finanziario programmato nell’esercizio precedente. Tale previsione si aggiunge alla segnalazione al MEF prevista in caso di sforamenti non autorizzati del fabbisogno assegnato. A giudizio del CUN «tutto ciò appare paradossale alla luce del fatto che una larghissima maggioranza degli Atenei pubblici presenta bilanci in equilibrio economico, finanziario e patrimoniale, con buoni indicatori di sostenibilità economico-finanziaria ai sensi del D.lgs. n.49/2012 e, soprattutto, con una rilevante produzione di liquidità in ogni esercizio negli ultimi anni. Sarebbe irragionevole che dopo anni di decurtazioni di finanziamento pubblico, che hanno reso il sistema universitario italiano fra i meno finanziati nei contesti UE e OCSE, in una fase nella quale il legislatore manifesta l’intenzione di rilanciare la ricerca e la formazione superiore, in presenza di una liquidità crescente e di una situazione economico-finanziaria complessivamente sana degli Atenei pubblici, quest’ultimi dovessero essere costretti ad azioni di riduzione della spesa a causa di sforamenti del fabbisogno finanziario».
Da qui la richiesta − rivolta al Ministero, al Governo e al Parlamento − che, pur nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, si realizzi un intervento legislativo teso ad aumentare in misura adeguata il tasso di crescita annuale del fabbisogno finanziario e ad eliminare le previste penalizzazioni economiche per sforamenti.
Il testo della mozione è riportato più in basso.
Sempre nella newsletter CUN del 15 aprile scorso si trova scritto che:
In continuità con analisi e proposte formulate negli ultimi anni, il CUN ha approvato un documento nel quale auspica che venga definitivamente sancita la separazione delle procedure di selezione da quelle di progressione di carriera attraverso la stabilizzazione dell’art. 24, comma 6 e la limitazione del ricorso all’art. 18 per la chiamata di docenti esterni all’ateneo.
Non è stato tuttavia possibile reperire il testo di questo documento.
Carissimi,
sono felice di scoprire che il CUN,
con particolare riferimento all’aspetto del reclutamento indicato nell’articolo, sia arrivato alle mie stesse conclusioni: sarebbe interessante poter leggere il documento originale, se e quando lo reperirete.
L’art. 18,1, infatti, è “ipocrita”.
Sarei curioso di sapere -a parte la questione particolare degli ordinari, in alcune aree, alla Sapienza – quale sia l’incidenza della vittoria di esterni in tali procedure. Immagino, non più del 1%.
Del resto, se un candidato interno “perde” un 18,1, il problema non è solo il suo, ma anche di quelli, di altre materie, che erano “in coda”, dietro alla sua materia, nello stesso dipartimento (una sorta di responsabilità “penale/accademica” per fatti altrui). Insomma, il 18,1 è una norma che non funziona per l’apertura del sistema, non può funzionare e, in una certa misura, paradossalmente, è perfino giusto che non funzioni. Ma costa, tempo e denaro: ti costringe a bandire un posto alla volta, dove ne potresti bandire 3.
Allora -seguendo l’insegnamento della Corte sul limite del 50% per gli interni-molto meglio fare solo 24,6 (50%), 18,4 (20%) e concorsi per ruolo di ingresso (30%), ma sempre riservati a chi non abbia svolto “pre-ruolo” in quella sede (assegnista, professore a contratto, rtda, dottotato, etc.).
Scrivo concorsi per ruolo di ingresso, e non rtdb, perché l’rtdb è il vero mostro della legge Gelmini in tema di reclutamento, e se e quando sarà spazzato via, con ripristino della terza fascia (se si vuole, sempre con TT, ma non con doppia mutazione genetica, non solo da td a ti, ma anche, contemporaneamente, da ricercatore a professore), sarà sempre troppo tardi.
Un caro saluto.
Tom Bombadill – Tom Bombadillo
Mi sembra una logica da supermercato (3 al prezzo di 1). Aboliamo pure i concorsi, lasciamo che tutti possano progredire nel tempo. Poi, però, non ci lamentiamo se i professori universitari sono considerati poco meno che mentecatti. La Legge Gelmini potrebbe, paradossalmente, funzionare solo se a valle delle abilitazioni ci fossero veri concorsi aperti, con commissioni non designate localmente e abolizione di quelli riservati, che, invece, sono la regola. Costa troppo? Forse. Ma ha il pregio di non consentire a chiunque di diventare professore universitario
Quello che dice Vito, e che anche io sostenevo ai tempi dell’APRI (e che tutt’ora sostengo), è la divisione tra progressione e reclutamento. Il reclutamento dovrebbe essere disciplinato a livello nazionale, con commissioni sorteggiate, così come già avvenuto negli ultimi concorsi RTI prima della Gelmini. La progressione di carriera invece dovrebbe essere diversa da un concorso, e sarebbe meglio che fosse “automatica” nel senso che quando il candidato raggiunge determinati obiettivi, allora si valuta il suo avanzamento di carriera, senza creare una finta competizione aperta a tutti.
Poi l’introduzione della terza fascia di docenza a tempo indeterminato, necessaria affinché si determini una piramide ben bilanciata, sarebbe più che auspicabile nel nostro sistema.
sante parole
… veramente, io non ho proposto l’abolizione dei concorsi, sia perché anche quelli interni sono concorsi -essendo aperti a tutti gli abilitati, non solo del dipartimento, ma di tutta l’università-, sia in quanto, al netto delle “ipocrisie”, con la strada da me indicata si reclutano più esterni.
Teoricamente, infatti, oggi hai un 20% di riservati agli esterni e, del rimanente 80%, la metà a 24,6 (solo interni) e l’altra metà a 18,1, dove potrebbero vincere anche gli esterni… TEORICAMENTE.
A cosa serve, però, una norma che teoricamente consente un risultato che tanto, poi, nel 99% dei casi (attenzione: non ho il dato, riferisco solo la mia esperienza: personalmente, non conosco nessun esterno che abbia vinto un 18,1 contro un candidato interno) non si produce? Solo a rendere il reclutamento 3 volte più lento? Io (sarà una logica da supermercato, ma tant’è…), a parita di risultato, preferisco il reclutamento tre volte più veloce.
E allora, abbandonata ogni “ipocrisia”, si facciano solo o 24,6 (50%) o 18,4 (20%). In più, però, nei concorsi per il ruolo di ingresso, dove non si pone il problema della gente “terza e incolpevole” in attesa del ritorno dei po (che, per definizione, non può esserci), si mettano le stesse limitazioni del 18,4 (se si vuole, salendo a 5 anni e, soprattutto esplicitando “professori a contratto”, così chiudiamo il cerchio). Se le tre figure si considerassero unitariamente, e si dividesse 50% (del totale dei po per docenti) a 24,6, 20% a 18,4, e 30% per il ruolo d’ingresso SEMPRE RISERVATO AGLI ESTERNI, si rispetterebbe il criterio dell Corte, si eliminerebbero le “ipocrisie”, si accelererebbe, di molto, il reclutamento, e si otterrebbe una molto maggiore apertura effettiva (e non sulla carta) agli esterni. Perché a chi sta fuori e sa che non potrà mai avere il “suo” concorso (e qui parlo per esperienza personale immediata e diretta) di poter partecipare ad un concorso (dove tanto sa che perderà) non gliene può “frega de meno”: uno, in quella condizione, vuole concorsi dove è consentito vincere, non concorsi a cui è consentito partecipare.
Tom
a me l’espressione “progressione di carriera” suscita orrore. L’indicazione degli obiettivi da raggiungere non mi sembra per nulla risolutiva ed è in linea con l’ideologia dominante, della misurazione quantitativa della qualità. Così, si dirà che un ricercatore diventa associato, se ha scritto almeno n saggi ovvero una monografia dopo la presa di servizio, magari precisando anche il numero delle pagine. E così via, di traguardo in traguardo. Meglio una sana competizione. Non capisco perché le competizioni debbano essere sempre finte, per definizione. Quel che scrive Plantamura, circa l’esito dei concorsi attuali, è vero, ma la soluzione molto semplice sarebbe quella di abolire qualsiasi riserva (interni, esterni, etc.) e prevedere che il vincitore del concorso ha diritto di prendere servizio. Ripeto, con commissione non designata in sede locale. In questo contesto, l’ASN individuerebbe soltanto la soglia della decenza accademica, senza legittimare, come oggi, alcuna pretesa alla cattedra, per chi è già strutturato. Ma questo è ormai improponibile, perché dal 1998 in avanti si è consolidata l’idea che ogni università, e oggi ogni dipartimento, debba poter decidere in autonomia chi deve essere professore, senza intralci esterni. Rex in regno suo imperator…
… sì, Francesco, che poi, se vogliamo, la terza fascia è già lì pronta. Basterebbe eliminare gli rtdb, figura -non se la prenda chi lo è o lo è stato, perché, ovviamente, non ha alcuna responsabilità al riguardo- davvero mostruosa, e spostare la T.T. sugli rtda, con creazione conseguente di un’asn di terza fascia, ma, a quel punto, come scrivevi tu, “semi-autonatica”, o, per meglio dire, con discrezionalità della commissione fortemente vincolata.
Il CUN decide, settore per settore, cosa si deve aver prodotto nei 3 anni per ottenerla, e la commissione, se vuole dare l’abilitazione di terza fascia a chi non ha raggiunto l’asticella, o negarla a chi non l’ha raggiunta, può farlo, ma ha un obbligo di motivazione rafforzata (mentre, per i casi opposti, non c’è bisogno di motivazione ulteriore rispetto a, rispettivamente, supera, oppure non supera, i criteri).
Tom
Perché l’attuale TT sulla seconda fascia è addirittura mostruosa ma una TT su una terza fascia sarebbe OK?
… sì, però, consideriamo anche che, se la Corte consente, al 50%, di fare concorsi riservati agli interni (concorsi, non progressioni automatiche) in tutta la PA, è perché, evidentemente, opera un bilanciamento tra interessi contrapposti. Non c’è ragione, tuttavia, per cui tale bilanciamento non debba valere anche nel nostro comparto.
Tom Bombadillo
(il “brutto” di questo sito è che compare il mio nome, invece che il mio n.n., più simpatico)
… semplice, perché un ricercatore td, con la TT, deve diventare un ricercatore ti, non, contemporaneamente, essere promosso ad associato. Altrimenti, come dissi a suo tempo in Senato, avrebbero dovuto fare un professore associato td che, con la TT, diventava professore associato ti.
Si tratta, brutalmente, di un ruolo a scavalco, visto che si chiama, con una frode delle etichette, ricercatore, quello che, in realtà, è un professore associato: con l’unico fine di poi proibire, per legge, ai ricercatori ti di partecipare ai concorsi da rtdb. Un monstrum giuridico, che non credo abbia uguale nella storia dei pubblici concorsi della Repubblica italiana.
A parte questo, l’opzione più favorevole per i precari è una terza fascia a basso costo, così, a parità di risorse, se ne fanno di più (sarà pure logica da supermercato, ma, ogni tanto, un poco di pragmatismo non guasta).
Tom
“ruolo a scavalco”: efficacissima definizione che coglie bene il “monstrum giuridico”. Una mostruosità che, come in altri casi, ha la sua radice in pluriennali campagne di stampa. A chi partiva dalla convinzione che i ricercatori già in ruolo fossero in grandissima maggioranza beneficiari di favoritismi e vincitori di concorsi truccati, l’idea di abbandonarli su un binario morto sembrava una soluzione sensata. Tanto più che con l’avvento del nuovo sistema meritocratico, sarebbero arrivate forze nuove che, a differenza dei predecessori, meritavano una carriera più spedita. Senza dimenticare che scatenare un po’ di “guerra tra i poveri” poteva aiutare a spianare la strada alla riforma. A distanza di quasi dieci anni, ognuno può tirare le somme. Una generazione è stata disintegrata e una bella fetta di lavoro accademico è stata precarizzata. Missione compiuta.
Plantamura ha, giuridicamente, ragione. Siamo dipendenti in un comparto della PA. La mia è una posizione ideologica di retroguardia (ante 1968): il professore come membro di una aristocrazia del pensiero. Oggi tutto questo fa ridere. Soltanto qualche giornalista e qualche pm può credere che esistano ancora i baroni
Mi sembra ottima la proposta del CUN di distinguere tra procedure di progressione di carriera per interni e procedure selettive per esterni
Leggo che qualcuno auspicherebbe l’introduzione di una terza fascia. Qualcun* potrebbe spiegarmi per favore a cosa servono, oggi, le diverse “fasce” di docenza? Dico proprio dal punto di vista concreto (al di là della riserva di legge dell’esclusiva per gli ordinari nelle commissioni). Apparentemente a tutt* viene richiesto di fare sostanzialmente le stesse cose (anzi, apparentemente ai precari qualcosa in più degli ordinari, per essere esatti). Grazie! PS se non venisse fuori una risposta soddisfacente, sarebbe utile valutare di sostenere tutt* assieme il Ruolo Unico con progressioni su parametri (non competitive) unicamente a scopo economico, per riconoscere l’esperienza e magari, pro tempore, indennità i ruoli di maggiore impegno e responsabilità (elettivi).