Riceviamo da parte di Giorgio Tassinari e volentieri pubblichiamo
Sono tempi difficili. Sono tempi in cui occorre lottare, combattere. Per dirla con Machiavelli, siamo di fronte ad una “battaglia soda” (ringrazio Leonarda Martino per la segnalazione del passo).
Ora, la nostra battaglia per un’Università repubblicana, un’Università che si contrapponga a quella degli oligarchi tecnocratici che hanno concepito e realizzato la legge Gelmini, è indubbiamente una battaglia “soda”. E per condurre una battaglia “soda” occorrono qualità morali non piccole. Non arrivo a dire che occorra la forza d’animo di Giovanni dalle Bande nere, che resse la candela accesa al chirurgo che gli amputò la gamba, ma un poco di forza d’animo serve.
E qui vengo al punto che mi interessa di più. Sempre secondo Machiavelli, servono “virtù” e “fortuna”. E la virtù presuppone un forte codice morale, una deontologia condivisa, metabolizzata, assorbita e riespressa a livello individuale e collettivo. Servirebbe un “Codice Etico”. Ma possiamo affermare che i “codici etici” adottati in molte Università italiane riflettano, in maniera più o meno precisa, il “Codice Etico” astratto a cui ho accennato (che in effetti più che un “Codice Etico” è un codice d’onore)?
Secondo me no. Proprio no. I “codici etici” storici si sovrappongono al diritto penale e a quello amministrativo in quanto “coprono” lo stesso campo, ovvero i comportamenti concreti degli accademici, dei tecnici ed amministrativi, e degli studenti.
E quindi? Perché non basta il diritto ordinario? Si può rispondere che l’alto magistero morale e civile che l’Università dovrebbe esercitare richiede che questa, nel suo insieme, sia altamente credibile. La credibilità sarebbe pertanto una condizione necessaria dell’efficacia e i “codici etici”, ovvero i codici di comportamento dovrebbero contribuire ad assicurare questa condizione.
Ma siamo sicuri che sia proprio così? L’archeologia del nostro recente passato mostra al contrario che l’adozione dei “codici etici” sia stata più o meno simultanea alla campagna d’opinione, condotta principalmente dai circoli bocconiani, che ha costruito nell’opinione pubblica l’immagine dell’Università come “grande meretrice” e organismo sostanzialmente parassitario. Questa offensiva politica ed ideologica ha costituito la base di giustificazione per la legge 240/2010.
E se leggiamo con attenzione questi codici etici troviamo articoli che con la virtù hanno poco a che fare, ma sono invece strumenti repressivi e disciplinari nelle mani delle elites tecnocratiche che dopo la 240 “tengono” l’Università. Per dirla con le parole di Arienzo (Alessandro Arienzo, La governance, Roma, Ediesse, 2013) i codici etici costituiscono un apparato governamentale. Per rimanere al caso dell’Università di Bologna, il problema è così palmare che l’attuale Rettore (non Che Guevara) inserì nel programma con cui si propose al corpo elettorale l’abrogazione di numerosi articoli dell’attuale codice etico.
A Kant è attribuita la frase “la legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me”. Dentro di me, appunto. Non fuori. Fuori non serve a niente. Per quanto possa sembrare paradossale, per la rinascita civile e morale dell’Università italiana occorre abolire gli attuali codici etici.
Giorgio Tassinari – Università di Bologna
Fosse vera questa interpretazione di Kant, potremmo fare a meno del Diritto in toto. Non è così, e il Laissez-faire non ha certamente fatto bene all’Università italiana. Anche i Codici fatti male. Per questo bisogna farli bene.
Bisognerebbe liberarsi di questi bocconiani al potere, che hanno impresso ai processi educativi e di ricerca dinamiche sbagliate, improprie e fuorvianti. Non devono essere molti, ma costituiscono un gruppo di pressione potente: stanno smontando l’università (e la scuola) pezzo per pezzo senza che nessuno glielo abbia chiesto. Nonostante si proclamino paladini della libertà, ci hanno sommerso di burocrazia. Siamo pieni di norme, commissioni, consigli inutili, mentre le risorse sono dirette altrove. La legge 240 è da buttare completamente sin dai principi idioti che la animano.
Per esperienza personale, ritengo che il codice etico sia uno strumento ulteriore ad uso delle amministrazioni per andare oltre (contro?) a quanto stabilisce il diritto, invocandolo o meno alla bisogna.
Può permettere, ad esempio, di NON chiamare il vincitore esterno di un concorso a favore dell’interno…….un éthique laissez-faire.
Da una mail ricevuta da un pro-rettore:
“Si conclude così una lunga fase di progettazione, di cui il nostro Ateneo è stato promotore e facilitatore a livello Italiano, e che ha ricevuto il pieno supporto da tutte le istituzioni italiane coinvolte a partire dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.”
Mi chiedo se questa smaccata propaganda politica non sia una violazione del codice etico…..
o un suonata di violino…..
Di certo più regole non significano miglior diritto, tanto meno moralità più sentita. Chi legge la Gazzetta ufficiale e le fonti omologhe di università, comuni…?
Se c’è bisogno di codici etici vuol dire che è stata smarrita l’etica del nostro lavoro.
Quasi esatto. In realtà in Italia non c’è mai stata.