Lyndon B. Johnson raccontó questa storia per far comprendere ai suoi concittadini la necessità di politiche pubbliche, in primo luogo scolastiche: immaginiamo una gara di velocitá tra due persone che partono sulla stessa linea ma una di esse con dei pesi alle caviglie cosicché dopo pochi metri si troverá in irrimediabile svantaggio, nonostante si impegni con tutte le sue forze. In questo caso il vincitore non avrebbe proprio alcun merito. Perché ci sia una gara onesta ed effettivamente gareggiata occorre rimuovere gli ostacoli e lo si puó fare in tre modi: o si libera la persona impedita a gara cominciata e si fa finta che ci sia giusta competizione (affermazione del privilegio), oppure si dá a chi é oggettivamente impedito un vantaggio a gara cominciata (programmi di aiuto a chi ha bisogno) oppure lo si prepara prima che la gara cominci (politiche di cittadinanza sociale).

Si parla spesso del merito come della soluzione ai problemi della nostra società bloccata da un sistema farraginoso e burocratico e da un perverso abito clientelare che premia chi ha amici potenti non chi ha capacità. Per questo, merito e lavoro appaiono come una coppia inscindibile: il primo come condizione per il secondo. Da un’interessante analisi del voto delle primarie del Pd dell’8 dicembre scorso condotta dall’Osservatorio sulla Comunicazione Politica dell’Università di Torino, risulta che questa sia la tesi vincente e il segno dell’identità ideologica della nuova sinistra centrista. Tra i dati aggregati e interpretati da Luciano Fasano e i suoi collaborati emerge infatti che nel suo complesso il Pd è un partito di centro-sinistra autentico nel quale la componente legata alla sinistra tradizionale è scarsamente rilevante nel suo elettorato e ancora di meno tra gli eletti.  A comprovare questa interpretazione è la collocazione del merito accanto al lavoro e distante dall’eguaglianza nelle proposte dei delegati del gruppo che ha raccolto più consensi.

Non da oggi, il merito gioca un ruolo di primo piano nella riconfigurazione della cultura ideologica della sinistra. Nella primavera del 1982 si tenne a Rimini la prima conferenza programmatica del nuovo PSI. L’evento, animato da Claudio Martelli, era dedicato a “meriti e bisogni” e fu salutato dalla stampa come un segno di innovazione ideologica, perchè teneva fuori la classe (che allora aveva molto più di oggi un ruolo cruciale nel definire gli orizzonti ideologici della sinistra tradizionale) e metteva al centro gli individui (con i loro meriti e bisogni appunto) nella selezione delle priorità delle politiche sociali. Lavoro e merito erano i nuovi valori. Il lavoro come mezzo per la soddisfazione dei bisogni, non semplicemente come condizione sociale che definiva diritti e doveri e, soprattutto, appartenze ideologiche. Il merito come segno della valorizzazione degli individui contro l’egualitarismo delle fasce salariali. La liberazione dai lacci normativi e sindacali sembrava il passaporto verso una società più dinamica e giusta. Nel Pd di oggi (e nel Job Act che si sta mettendo in cantiere) ritornano questi ideali.

Certo, in una società, come la nostra, dove parenti e amici contano sempre molto, più delle vocazioni e delle doti personali, il richiamo al merito è sacrosanto. Tuttavia esso è un fatto di legalità piuttosto che di giustizia sociale (che non si premi il merito in un concorso pubblico prefigura una vera e propria violazione della legge, un atto criminoso). Oltretutto, conformare la società all’”abilitá dimostrata” è alquanto complesso se non impossibile visto che il merito è non solo difficile da misurare ed ascrivere, ma inoltre fortemente condizionato dal capitale sociale e dall’ambiente culturale. Per non essere ingiusta considerazione, il merito richiede molta attenzione alla distribuzione eguale delle condizioni di partenza. Per questa ragione un liberal social-democratico come John Rawls non credeva che dal merito potesse partire una politica di giustizia sociale. Perchè è difficile spiegare con precisione che cosa sia vero merito, prima di tutto in quanto é impossibile stabilire con certezza il dosaggio tra capacitá personali e condizioni sociali. Infatti, qualche volta sembra che il merito sia una qualitá che la persona riconosciuta meritevole possieda naturaliter come per innata disposizione (talenti) e che con fatica e duro lavoro riesce poi a fare emergere (responsabilitá).  Eppure nessuno si sofferma abbastanza sulla dimensione sociale del merito, sul suo dipendere profondamente dal riconoscimento sociale e dalla sintonia che si stabilisce tra chi opera e chi ne riceve i frutti o é influenzato dall’operato.

Il giudizio sul merito di una persona è relativo a un settore di lavoro, a determinati requisiti che definiscono una prestazione, all’utilitáà sociale delle funzioni in un determinato tempo storico e luogo, ovvero al riconoscimento sociale e pubblico. Nel merito entrano in gioco ben più delle qualitá della persona. Per questo nelle questioni di giustizia si dovrebbe diffidare di usarlo come criterio per distribuire risorse.  Non perché non sia giusto che ad essere assunto in un ospedale debba essere un bravo medico, ma perché non si deve scambiare l’effetto con la causa: é l’eguaglianza di condizione, di trattamento e di opportunitá il principio che deve governare la giustizia; il merito é semmai la conseguenza di un ordine sociale giusto. Per non essere pretesa truffaldina di riconoscimento, il merito deve sprigionare da una societá nella quale a tutti dovrebbe essere concessa un’eguale possibilitá di formarsi capacitá e accedere ai beni primari (diritti civili e diritti sociali essenziali) per poter partecipare alla gara della vita.

Il Presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson raccontó questa storia per far comprendere ai suoi concittadini la necessità di politiche pubbliche, in primo luogo scolastiche: immaginiamo una gara di velocitá tra due persone che partono sulla stessa linea ma una di esse con dei pesi alle caviglie cosicché dopo pochi metri si troverá in irrimediabile svantaggio, nonostante si impegni con tutte le sue forze.  Si puó ignorare questa differenza di capacitá nel giudicare del merito del vincitore? Evidentemente no. In questo caso il vincitore non avrebbe proprio alcun merito. Semmai godrebbe di un privilegio. Perché ci sia una gara onesta ed effettivamente gareggiata occorre rimuovere gli ostacoli dell’altro competitore, e lo si puó fare in tre modi: o si libera la persona impedita a gara cominciata e si fa finta che ci sia giusta competizione (affermazione del privilegio), oppure si dá a chi é oggettivamente impedito un vantaggio a gara cominciata (programmi di aiuto a chi ha bisogno) oppure lo si prepara prima che la gara cominci (politiche di cittadinanza sociale).

Non si intende dire con questo che non ci puó essere merito meritato; ma che non ci può essere se alcuni partono avvantaggiati o se non si correggono le diseguaglianze di opportunitá prima di valutare il merito.  Ecco perché senza l’accoppiamento con l’eguaglianza il merito non è un valore di giustizia. A meno che non si controllino tutte le relazioni sociali che presiedono alle nostre scelte individuali (cosa indesiderabile oltre che impossibile da ottenere in una società che vuole restare libera) non si puó onestamente parlare del merito come della soluzione ai problemi di ingiustizia sociale (mentre la sua violazione nei concorsi pubblici può comportare, come si è detto, illegalità). Si deve invece partire dall’eguaglianza di opportunità e delle condizioni di formazione delle capacità, per esempio da scuole pubbliche di buona qualità distribuite su tutto il territorio nazionale affinchè la gara possa essere davvero aperta a tutti e non si sfoltisca in anticipo il numero dei potenziali concorrenti.

(versione estesa di un articolo pubblicato su La Repubblica del 30/12/2013)

 

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5 Commenti

  1. Giustizia e meritocrazia? Ma di che stiamo parlando?
    Con questa ASN i ricercatori a tempo indeterminato nn abilitati(guarda caso i figli degli ordinari sono tutti bravi, poi ci sono i figli adottivi, i parenti, gli amanti etc etc, siamo alle solite cari miei eh eh) sono segati a vita.

    • Mi rendo conto che a qualcuno sembrerà strano, ma per fortuna c’è anche chi non si occupa di ASN in questo sito.

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