Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Cari Lettori di Roars
Permettetemi, innanzitutto, di presentarmi. Svolgo le funzioni di Professore Associato di Chimica Organica presso un’Università dell’Italia del Sud. Nel mio lavoro di Professore e di Ricercatore mi capita talora di fungere da relatore sia di tesi di dottorato di ricerca e sia di comunicazioni a convegni scientifici. Ritengo queste due attività le più importanti tra quelle che dovremmo svolgere come Accademici e vorrei proprio raccontarvi la mia recente esperienza maturata in tali vesti.
Nella mia carriera ho avuto la fortuna di incontrare un brillante studente che ho guidato alla Laurea conseguita tre anni fa. Successivamente questi ha intrapreso, in qualità di dottorando, un percorso di studio e di ricerca sotto la mia supervisione. Dopo circa un anno dall’inizio del dottorato, che prevede lo svolgimento obbligatorio di un periodo di ricerca all’estero, questi é partito dall’Italia per raggiungere un importante laboratorio di ricerca ubicato in Germania dove ha trascorso dieci mesi. Al suo ritorno in Italia mi ha comunicato la volontà di ritornare in quel laboratorio che, constatata la sua valenza scientifica, gli aveva nel frattempo proposto un contratto post-dottorato di due anni. Come non acconsentire? Cosa avrei potuto proporgli io, in alternativa, per convincerlo a restare? Mi sono felicitata con lui ed ho accolto, anche con un certo orgoglio di tipo “maternalistico”, la sua richiesta.
Recentemente mi sono recata negli Stati Uniti per partecipare ad un convegno importante per il settore disciplinare di mia appartenenza. Terminato il convegno il giorno prima della partenza per l’Italia, sono rientrata in camera con qualche minuto di anticipo rispetto alle sere precedenti per poter organizzare al meglio delle mie possibilità la dipartita. Finalmente riesco a sdraiarmi sul giaciglio, la luce ancora accesa, il sonno lontano a venire. Sento le coinquiline (tutte statunitensi), in questo ciclo di congressi i partecipanti alloggiano in appartamenti che nell’anno accademico sono occupati dagli studenti, colloquiare amichevolmente nel soggiorno. Riesco a comprendere veramente poco del discorso. Anche volendo non potrei partecipare molto a quella discussione a causa della difficoltà linguistica. Il tempo passa, le voci non si smorzano. Ho la percezione della mia “estraneità” a quel Paese, a quella Gente. Sono allo specchio con la mia solitudine. La sensazione però non é peggiore di quella che sempre più spesso provo in Italia. In quello che è il mio Paese. C’è qualcosa che non va oppure ho raggiunto la massima depressione?
Stranamente, in America, sono riuscita a riposare meglio di quanto non riesca più a fare a casa. Incubi, risvegli notturni talora accompagnati da tachicardia sono sempre più frequenti e difficili da fronteggiare. Ed ho certezza che siano in gran parte dovuti ad un disagio lavorativo legato alle condizioni ambientali.
Quest’anno sono finalmente riuscita ad instaurare una collaborazione con un’azienda in virtù della quale sarà finanziata una borsa di studio nell’ambito del ciclo di dottorato del prossimo triennio. Purtroppo però devo confessare che nutro un profondo dubbio, questo a partire dal mio ritorno in Italia, sull’opportunità di assumere nuovamente il ruolo di responsabile scientifico di tesi di dottorato. La ragione vi sarà facilmente comprensibile. Non riesco infatti a trovare più la motivazione necessaria a sostenere un lavoro impegnativo, e delicato, quale é quello di supervisore di tesi di dottorato, poiché richiede l’assunzione di responsabilità verso un giovane che impegnerà nell’Università tre anni ulteriori della sua vita. Quale futuro potrei, se non garantirgli almeno prospettargli, se non quello, ancora una volta, di aprirgli un canale preferenziale verso l’estero? In che modo il Paese, che pure investe risorse, anche se risicate, in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando, ne potrebbe trarre vantaggio? Non sarebbe più onesto verso tutti e noi stessi rinunciare in-toto a questa attività? La rabbia e la frustrazione pervadono ormai l’animo soprattutto al ritorno da viaggi all’estero dove la creatività e la cultura italiana continuano ad essere apprezzate considerando l’elevato numero di nostri ex-studenti che ormai lavorano nelle Università straniere.
La mia lettera, gentili lettori, non vuole alimentare sterili polemiche ma é soltanto l’esternazione del disagio avvertito da un Professore italiano che si é dedicato alla Ricerca con dedizione e passione e che guarda, ormai rassegnato, alla decadenza del Paese intero.
Ringraziandovi per il tempo che avete dedicato alla lettura di questa lettera vi porgo i miei più
Cordiali saluti.
Brigida Bochicchio
Università della Basilicata
Sarebbe folle rinunciare al dottorato di ricerca. Andrebbe invece potenziato per renderlo più competitivo a livello europeo/mondiale. Mi rendo conto che è un discorso complesso. Lavorerei per migliorare quello che già abbiamo.
Caro collega,
Grazie per il commento. Sempre che ce lo facciano fare.
“Incubi, risvegli notturni talora accompagnati da tachicardia sono sempre più frequenti e difficili da fronteggiare. Ed ho certezza che siano in gran parte dovuti ad un disagio lavorativo legato alle condizioni ambientali.”
“La rabbia e la frustrazione pervadono ormai l’animo soprattutto al ritorno da viaggi all’estero …”
Cara collega, non sono né medico né psicologa, ma sono profondamente convinta, come lo dico da tempo ad altri, che una condizione di salute come la sua sia diffusa, anche se non apertamente denunciata, come fa lei. Su questa si fonderà l’entusiasmo del futuro.
Cara collega,
Grazie per il commento. Probabilmente il suo é un messaggio di speranza. Speriamo bene.
Troppi dottori di ricerca disoccupati, emarginati, presi a calci nel sedere dal sistema, che non li assorbe né nel settore della ricerca né in quello dei concorsi pubblici, a stento nel settore privato.
Oggi mi sono informato per le nuove imbecilli regole che disciplineranno il concorso nazionale della scuola:
i titoli conteranno, ma soltanto alla fine, per la graduatoria.
Così ad esempio, un premio Nobel per la chimica che volesse partecipare al concorso per insegnare alle scuole secondarie dovrebbe sostenere la preselezione, poi la prova scritta, poi la prova orale, poi forse potrà far valere il Nobel….. e non sarebbe finita qui….
E se alla prova scritta fosse impossibilitato per motivi di saluti, o non rendesse per motivi personali, tipo un lutto in famiglia o altre cose, cosa se ne farebbe del Nobel?
Figuriamoci il titolo di dottore di ricerca…..
Ovviamente io non ho il Nobel, ma ho il titolo di dottore di ric., ho scritto articoli, libri e ho tanto inutile curriculum per il nostro inutile Paese.
Questa è la realtà io la subisco e cerco di andare avanti, ma è una continua umiliazione.
Politici poco illuminati……….
Le Sue preoccupazioni sono fondate, le mie mi distruggono la vita.
Non credo ci sia molto di specifico rispetto ai dortori di ricerca: è difficile (non impossibile) trovare buone opportunità lavorative in italia. Per quanto riguarda i concorsi: sono sempre problematici, specie in una cultura dove i contatti personali contano in misura significativa, rispetto alle regole.
Gentile Dottore,
Grazie per il commento e l’interesse mostrato.
La sua testimonianza rafforza le mie preoccupazioni. Sono altresì d’accordo con il Professor Splendiani sull’analisi del sistema “Italia”. Il dottore di ricerca si inserisce in un sistema problematico per tutti. Ciò non diminuisce l’angoscia.
Personalmente vorrei che ai dottorati venissero ammessi i migliori e non vi fosse una lotta fra docenti per ammettere i propri, che poi seguiranno, aumentando il loro potere ed avendo da spendere il titolo (aver seguito tesi di dottorato) in tutti i vari gradini della carriera.
Il disagio nel mondo del lavoro all’Università dipende in gran parte dal carrierismo di alcuni, incoraggiato e supportato anche finanziariamente dal sistema.
E’ tristissimo ed è necessario un coraggio molto grande per andare avanti e ricordarsi che si è sacrificato tanto e perché.
Cara dott.ssa Mariam,
La sua analisi è del tutto condivisibile. E’ vero che occorre coraggio e determinazione, ma, a me, non piace la parola determinazione poiché si presta a molte declinazioni e non tutte positive.
Grazie a lei per il cortese commento e la condivisione.
Un altro esempio:
anni fa, superai l’esame di avvocato.
Mi rovinai l’estate, dovendo studiare per i tre mesi estivi circa, con il caldo e l’afa, 5 materie orali (dopo aver superato gli scritti), tra le quali diritto costituzionale, diritto civile, procedura civile, diritto internazionale, diritto ecclesiastico e deontologia forense.
Siccome si tratta di esame di STATO, significa che è lo Stato, che, dopo la laurea, con una apposito esame, certifica che (ripeto, dopo laurea) una persona ha superato delle prove aventi ad oggetto materie giuridiche, con prove scritte ed orali.
Se, in un successivo, concorso pubblico, compreso quello per la scuola, dovessero ricapitare quelle materie (e, purtroppo, ricapitano), perché lo Stato non le convaliderebbe.
Nella condizione attuale, dovrei ripreparare tutto, altre estati da buttare.
LO STATO mi ha già esaminato con l’esame “di STATO”.
Per le stesse materie, anni dopo, dovrei rifare tutto.
Ma lo STATO NON HA GIA’ CERTIFICATO, con esame di Stato, le mie conoscenze su quelle stesse materie?
In questo senso, il LEGISLATORE E’ IPOCRITA!
Voi che ne pensate?
Capisco che in molte aree scientifiche si ha la sensazione di formare dei futuri disoccupati, ma in altre non e’ cosi’.
Nella mia area (Acustica Applicata) i dottori di ricerca sono richiestissimi dalle aziende, sia estere che soprattutto italiane, e senza fare grandi distanze da Parma: a Reggio Emilia abbiamo RCF ed ASK che li cercano continuamente, a Bologna c’e’ Marelli Powertrain che pure li cerca attivamente, a Milano c’e’ ST Microelectronics, a Modena la Maserati e la Ferrari, qui Parma ci sono Barilla, Niro Soavi e Sidel, etc…
Queste aziende spesso finanziano loro stesse i percorsi di dottorato, tipicamente tramite assegni di ricerca (giacche’ la borsa di dottorato e’ troppo bassa per trattenere i migliori cervelli).
Ora faro’ un discorso che ad alcuni potrebbe non piacere: non e’ forse che i dottorandi non hanno futuro perche’ noi tutor non insegniamo loro i fondamenti di materie avanzate, in cui fare ricerca e’ utile al mondo? Capisco che un dottorando che si specializza sulla musicologia dei canti gregoriani poi faccia un pelo fatica a farsi assumere…
Secondo me, nelle scuole di dottorato in cui i dottorandi imparano a fare ricerca di base, ma su argomenti attuali ed utili, nessuno resta disoccupato, e non c’e’ bisogno poi di migrare all’estero.
Però tu parti facile. Ingegneria di per sé è una laurea ben spendibile nel mondo del lavoro. Se scegli il dottorato in una ulteriore specialità richiesta il risultato è sicuramente quello.
Il problema sta piú nelle materie meno richieste dal mercato e in cui lo sbocco professionale è spesso lo Stato (sopra si parla di insegnamento) che paradossalmente disconosce il proprio titolo.
Anche in alcuni atenei,
le borse di dottorato di chimica vengono finanziate o co-finanziate dalle società delle acque minerali, giacché le facoltà o dipartimenti di chimica si occupano delle analisi delle acque stesse. Di conseguenza, si può creare la connessione dottorato-lavoro.
Ma questo collegamento per le materie umanistiche non c’è.