Negli Stati Uniti sono ormai numerose le for profit universities. Università a fini di lucro, che offrono didattica tradizionale o a distanza. Con un business pari a 20 miliardi di dollari costituiscono ormai una industry di notevole rilevanza. Negli ultimi mesi sono cresciute le polemiche intorno a questi atenei, accreditati per lo più a livello federale, che spesso attirano gli studenti con la promessa di un rapido miglioramento delle loro condizioni economiche e del loro posizionamento del mondo del lavoro, per poi lasciarli fortemente indebitati e in possesso di titoli completamente squalificati.
Il presidente Obama sembrava volesse porre un freno a questo fenomeno, ma il giro d’affari delle FPU ha a quanto pare consentito loro di svolgere un’efficace opera di lobbying. Un’esperienza che può fare da monito per l’Europa?
Sul tema interviene il New York Times.
Segnaliamo anche: For-Profit Colleges: Undercover Testing Finds Colleges Encouraged Fraud and Engaged in Deceptive and Questionable Marketing Practices. (U.S. Gov. Accountability Office).
Avevo segnalato il fenomeno dell’espansione delle “for profit” universities nel mio articolo:
Indebitarsi per studiare: soluzione o problema?
https://www.roars.it/?p=1819
Negli USA il ricorso sempre più esteso a prestiti con garanzie federali ha contribuito a dare una spinta al mercato dell’istruzione privata. Tuttavia, invece di instaurarsi un circolo virtuoso basato sulla competizione, sembra essersi verificato l’opposto. Chi cresce di più sono gli operatori privati del settore “for profit” che, pur non fornendo titoli di studio apprezzati dal mercato, reclutano studenti con pratiche di marketing aggressive e persino scorrette, come documentato dall’indagine federale dell’U.S. Gov. Accountability Office sopra citata. Il tentativo dell’amministrazione Obama di correggere queste storture si è scontrato con il potere economico di chi possiede le “for profit” universities:
“Once small, local operations, many of the colleges are now multistate networks owned by Wall Street firms looking for big profits.” (New York Times http://www.nytimes.com/2011/12/10/us/politics/for-profit-college-rules-scaled-back-after-lobbying.html?_r=2&nl=todaysheadlines&emc=tha2)
Questa capacità di influire sui grandi media e sul potere politico era stata già denunciata da Malcolm Harris:
“La Washington Post Company possiede la Kaplan higher education, e costringe il Washington Post a pubblicare articoli con imbarazzanti apprezzamenti sulle università a scopo di lucro.”
Malcolm Harris, “Bad Education” http://www.internazionale.it/la-bolla-universitaria/
In Italia c’è chi propone l’innalzamento delle tasse universitarie da pagarsi attraverso il ricorso esteso ai prestiti di onore. Più che le pretese ragioni di equità fiscale (che trascurano il fatto che il conseguimento di un titolo di studio comporta un beneficio non solo individuale, ma con ampie e sostanziali ricadute collettive, come quantificato anche dall’OCSE https://www.roars.it/?p=536 ), la vera ragione sembra quella di aprire un mercato dell’istruzione universitaria appetibile per i privati. L’esperienza statunitense, mostra che gli effetti possono essere paradossali e controproducenti. Il livello delle università “for profit” merita critiche più pesanti di quelle che vengono mosse alle università statali italiane. Tuttavia, il potere economico e le connessioni con i media di chi le possiede consentono di orchestrare estese campagne di stampa in loro difesa capaci di annacquare i provvedimenti di riordino del settore da parte dell’amministrazione Obama.
Per fare un paragone italiano, le università telematiche (vedi “Ma a chi servono le università telematiche?” https://www.roars.it/?p=1974) hanno subito diverse valutazioni negative da parte del CNVSU (1), ma non sono mai state seriamente sanzionate e non si è mai vista una campagna di stampa nei loro confronti anche lontanamente paragonabile agli attacchi nei confronti delle università statali condotti da editorialisti di prestigiose testate nazionali.
1) [Il CUN] “Rileva inoltre, come si evince dal Documento del CNVSU DOC 04/10 Analisi della situazione delle Università Telematiche del gennaio 2010, che nella maggior parte dei casi le università telematiche sono state “accreditate” con Decreto del Ministro, malgrado il parere negativo espresso dal CNVSU e che in tutti i casi in cui sono state predisposte le verifiche ispettive previste dell’art. 7 comma 3 del Decreto Interministeriale 17 aprile 2003 i pareri espressi sono risultati negativi, senza che siano stati per questo assunti provvedimenti conseguenti.”
da “Parere sullo Schema di Decreto “Linee generali d’indirizzo della Programmazione dell’Università per il Triennio 2010-2012” http://www.cun.it/media/106292/pa_2010_12_17_001.pdf