Ma il caso più clamoroso riguarda la Cina. Il 25 settembre scorso, l’agenzia informativa Xinhua (la filogovernativa “Nuova Cina”) ha pubblicato un articolo intitolato “La bolla delle pubblicazioni minaccia il progresso scientifico della Cina”, subito riprodotto integralmente sul sito dell’Accademia Cinese delle Scienze. La produttività scientifica cinese sta crescendo impetuosamente: secondo il database Scopus, dal 1996 al 2010, la Cina è passata dal nono al secondo posto per numero di articoli scientifici. Tuttavia, le citazioni degli articoli cinesi crescono ad un ritmo assai più lento, evidenziando un’inflazione di articoli di scarso impatto, una vera e propria “bolla scientifica”. Se la produzione scientifica venisse depurata dagli articoli di scarso valore, la crescita cinese ne uscirebbe drammaticamente ridimensionata.
L’Accademia Cinese delle Scienze rilancia l’allarme sulla bolla scientifica
I ricercatori cinesi sono ossessionati dalla necessità di pubblicare perché il numero di articoli scientifici è il criterio chiave, se non addirittura l’unico, per progredire nella carriera accademica. L’articolo dell’agenzia Xinhua riprende in buona parte quanto già apparso su Nature nel gennaio 2010, in un articolo che prendeva spunto dal caso di due ricercatori della Jinggangshan University che avevano falsificato i risultati di 70 loro articoli apparsi su Acta Crystallographyca Section E. L’articolo di Nature riportava risultati di studi e di sondaggi che imputano alla valutazione puramente quantitativa della produzione scientifica la dilagante diffusione di pratiche fraudolente come la falsificazione dei risultati, il plagio e la compravendita di lavori scritti su commissione da veri e propri ghost writers della ricerca, il cui giro di affari annuo, secondo l’agenzia Xinhua, sarebbe quintuplicato in tre anni, superando i cento milioni di dollari nel 2010.