L’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha pubblicato il suo rapporto annuale che presenta i dati relativi all’istruzione per i paesi membri dell’organizzazione. Education at a Glance 2008 si rivolge ai policy makers, in particolare ai governi, e ha lo scopo di fornire indicazioni utili per il coordinamento delle politiche che riguardano la scuola e l’università. Un’attenzione specifica è rivolta alla comparazione tra la media dei membri e la performance di ciascun paese. A tale scopo, l’organizzazione rende pubbliche contestualmente anche briefing notes che esaminano i dati nazionali, valutando i risultati ottenuti e suggerendo gli interventi necessari per porre rimedio alle carenze più gravi emerse nel corso dell’indagine.
La briefing note sull’Italia conferma che la situazione dell’istruzione nel nostro paese non è brillante. Cominciamo da quello che appare il dato più preoccupante. L’OCSE ci ricorda che lo sviluppo dell’istruzione terziaria (cioè di livello universitario) è ancora al di sotto della media dei paesi membri. Nella fascia d’età dai 25 ai 34 anni il rapporto è di 17% contro 33%. Anche il numero delle persone che lasciano l’università prima di aver conseguito un diploma rimane di gran lunga inferiore in Italia rispetto a quello degli altri paesi che aderiscono all’organizzazione (45% contro il 69%). Negativo è inoltre il dato per quel che riguarda il livello di spesa. L’Italia è nella media per l’educazione primaria e secondaria ma sotto per quel che riguarda la terziaria. Anche l’impiego di queste scarse risorse sembra non ottimale. La spesa per studente universitario è cresciuta del 27% in termini reali tra il 1995 e il 2005, ma non è riuscita a raggiungere il livello medio OCSE. Non solo: nel periodo dal 2000 al 2005 c’è stata un’inversione di tendenza che ha peggiorato la situazione. Da segnalare anche il dato relativo al costo dell’educazione terziaria per gli studenti che risulta tra i più alti, anche se significativamente più basso di quello degli Stati Uniti, dell’Olanda, dell’Australia o del Regno Unito che però hanno performances di gran lunga superiori alle nostre.
Rispetto alla situazione dell’università, quella della scuola appare meno grave, anche se la briefing note ribadisce che la preparazione degli studenti italiani risulta in alcuni settori – in particolare la matematica – inadeguata. La retribuzione dei docenti è in questo caso la nota dolente che ci mette in una posizione imbarazzante. Ad esempio, tra il 1996 e il 2006 il salario degli insegnanti della scuola primaria è cresciuto in Italia dell’11%, contro la media del 15% dei paesi OCSE che hanno una situazione comparabile alla nostra. La spesa per studente, ciò nonostante, risulta da noi più alta per via del numero inferiore di studenti per classe.
Come si è detto, la sensazione che emerge dalla lettura di questi dati non è certo positiva. Si conferma l’impressione che in Italia c’è un’emergenza educativa da fronteggiare. D’altro canto, appare difficile immaginare che ciò possa avvenire nel giro di pochi mesi o di qualche anno. La briefing note sottolinea che la tendenza di lungo periodo del nostro paese evidenzia uno sforzo per espandere la diffusione dell’educazione terziaria, anche se insufficiente a metterci allo stesso livello di altri paesi. Tra l’altro, vale la pena di sottolineare che l’OCSE attribuisce questo relativo miglioramento della situazione italiana all’inserimento delle lauree triennali, che invece da noi sono state di recente al centro di polemiche piuttosto vivaci perché c’è stato chi ha attribuito all’introduzione di questo nuovo tipo di diploma l’abbassamento del livello complessivo della preparazione degli studenti che escono dalle nostre università. Forse si dovrebbe riflettere meglio su questi giudizi alla luce dei dati internazionali, e domandarsi se la scarsa qualità di alcuni diplomi triennali non sia anche un effetto di un mercato del lavoro poco dinamico, che non premia l’innovazione e la specializzazione. Comunque, che qualcosa non funzioni nelle nostre università è evidente da un altro dato OCSE. La percentuale di studenti stranieri che vengono a frequentare le università italiane. Meno del 2% contro il 20% degli Stati Uniti, l’11% del Regno Unito, il 9% della Germania e l’8 % della Francia. Siamo più o meno allo stesso livello della Spagna (che curiosamente sembra essere anche il paese prediletto dagli studenti italiani per l’Erasmus – un ulteriore dato su cui riflettere). Anche in questo caso ci sarebbe da approfondire l’indagine per capire quali sono i settori nei quali siamo in grado di attirare studenti e – potenzialmente – risorse dall’estero e quali sono invece quelli in cui faremmo bene ad abbandonare il tentativo di competere con chi è più forte di noi. Insomma, l’OCSE non ci boccia, ma ci rimanda a settembre e ci invita a cambiare atteggiamento per non prendere un sette in condotta che vanificherebbe tutti sforzi che abbiamo fatto per avvicinarci alla sufficienza.
Pubblicato su Il Riformista il 10 settembre 2008