«È bella, bionda, studia canto. E prova un piacere speciale quando riesce a disegnare la spiga di grano sul cappuccino che serve nel bar dove lavora». Donna Moderna intervista Erika e altri due giovani di oggi che hanno scelto di non andare all’università perché le facoltà di oggi non preparano al lavoro. Che sia meglio tenersi alla larga dallo studio, lo aveva raccomandato anche il Corriere della Sera: «Andrea (30 anni) dopo le medie ha studiato tre anni … ha un posto fisso da 14 anni, ha un ottimo reddito e vive con la sua donna», a differenza di Luca che, essendosi laureato, «è in cerca di un posto fisso, ha un reddito basso e vive con i suoi genitori». Giorno dopo giorno, una pedagogia pervasiva spiega agli italiani che «il mito della laurea crea disoccupati dove c’è lavoro», che «meno si studia, più si lavora» e, anzi, che «troppa formazione può addirittura essere dannosa». Ma cosa dicono veramente le statistiche? Qualcosa di molto diverso.

Pubblichiamo le Slide  e il video dell’intervento di Giuseppe De Nicolao a Fuori dall’Emergenza, Assemblea Nazionale Università della FLC-CGIL, Roma, 1-2 ottobre 2015.

 

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5 Commenti

  1. E’ urgente creditizzare un corso di cappuccino in collaborazione con imprese, soggetti attivi sul territorio e start up locali in sinergia con giovani intraprendenti, esperti del campo e tecnologie smart che evitino le solite macchinette da caffè.

  2. Interessante messaggio sociologico di Donna Moderna. E quelle/i che non sono belle/i o sono stonate/i che fanno? Gli tocca, poveracce/i andare all’università delle sfigate/i? Suggerisco di smettere di comprare Donna Moderna.

  3. Detto questo la discussione dovrebbe invece concentrarsi sulla contrapposizione dell’università come un percorso che porti a diventare “elite” e non come un luogo di formazione che rilascia alla fine degli studi un titolo che certifica gli studi fatti, incluse le lacune accumulate.
    Mi spiego meglio, l’approccio che fonda il sistema italiano è che una volta iscritto all’università ne esco solo e soltanto quando ho raggiunto un livello elevato uguale per tutti, superiore alla media, non a caso il sistema dei voti prevede un minimo del 60% (18 su 30). Da qui il “provare” e “riprovare” (questo è il gergo degli studenti) gli esami fin quando quel livello non si è raggiunto, non importa in quanto tempo questo sia stato fatto.
    Altri sistemi invece si “accontentano” di verificare quanto fatto dagli studenti in un tempo definito, con un livello di minimo inferiore, es. UK è il 40%, ed a volte permettendo anche deroghe (alcuni corsi non fondamentali si possono fallire) e distinguendo gli studenti non solo con il voto finale, ma anche con titoli di valore diverso.
    In sostanza, secondo questo approccio lo studente segue il corso ed alla fine sostiene un esame prende un voto e va avanti. Se non raggiunge il minimo, può ripetere l’esame a settembre se fallisce ripete l’anno. Attenzione, il minimo è 40% (ovvero 12 su 30) quindi superare è più facile e se il corso non è propedeutico o fondamentale lo studente potrebbe andare avanti e non ripetere l’anno senza aver superato quel corso. In questo modo i ripetenti sono di fatto pochi (meno che in Italia).
    Secondo me tra i due non esiste il modo “giusto”, esiste solo una scelta da fare e poi seguirla fino in fondo.
    Le aziende preferiscono il secondo approccio, dato che il mondo produttivo moderno impone tempi definiti e spesso contingentati e va quindi fatto il meglio possibile nel tempo a disposizione, cosa che chi ha seguito il primo approccio non sempre è in grado di fare perchè non educato a farlo.
    E da qui i “rimproveri” e gli articoli di giornale.
    Volendo essere propositivo, l’ideale sarebbe cogliere l’occasione, in parte mancata, del 3+2, infatti si potrebbe adottare con più convinzione il metodo anglosassone nel 3, mentre dovrebbe restare più legato alla tradizione italiana il percorso del 2.
    Ovviamente non va preso tutto alla lettera, ci sono corsi e professioni che hanno bisogno di un percorso di 5 anni (o 6 nel caso di medicina). Andrebbero quindi anche ripristinati i percorsi “lunghi” (4 o 5 anni) senza inutile discussione di 3 minuti e titolo intermedio che molti non usano. In questo caso adotterei un approccio misto dove si richiede sia di rispettare i tempi sia una qualità maggiore (es. Medicina).

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