Noi di Roars avevamo espresso le nostre
perplessità sulla opportunità di indire una consultazione on-line su una materia esoterica come la valutazione dei titoli di studio, specie in presenza di una consistente e autorevole letteratura che fornisce elementi per dirimere la questione, e avevamo anche promosso una discussione nel nostro sito (a questo link v’è l’elenco di tutti gli interventi). Alla notizia dell’avvio della consultazione online abbiamo nutrito un cauto ma reale interesse: poteva essere un’occasione per sondare le viscere della nazione, anche se non eravamo (e non siam) convinti) che su temi come questo sia appropriato svolgere l’indagine attraverso un sondaggio che assomiglia più a un’indagine di mercato che alla fase preliminare di un processo deliberativo.
Ma visto che c’era la volontà politica di indire comunque una consultazione, anche per venire incontro alle sollecitazioni provenienti da una parte della stampa, era auspicabile che essa almeno fosse preparata con cura, in modo da permettere una rappresentazione per quanto possibile fedele delle opinioni ponderate del pubblico.
Non ci sembra che ciò stia avvenendo. Anche a non tener conto delle procedure previste per i “deliberative polling” – che richiedono tempo – si poteva almeno usare il buon senso che, se non sostituisce il rigore metodologico, poteva evitare certe forzature dipendenti dalla struttura del questionario.
In una consultazione a risposta multipla, le domande devono essere strutturate per far sì che il modo in cui si risponde a un item predetermini le risposte successive, nel senso di escludere quegli ulteriori item la cui risposta diventi superflua. Questo è il primo evidente difetto di questa consultazione online: al quesito 11 che chiede un giudizio sulla differenziazione qualitativa dei titoli equivalenti sono possibili due risposte, positiva e negativa (e quella di riserva “altro”). Se si risponde negativamente, non ha senso chiedere (come accade con i successivi quesiti 12, 13 e 14) le finalità per cui tale differenziazione andrebbe attuata, le modalità e il tipo di valutazione che si dovrebbe prendere in considerazione. Un quesito ben strutturato dovrebbe in automatico far saltare le risposte a queste domande o – in alternativa ma meno efficacemente – avvertire che in caso di risposta negativa bisogna saltare le successive domande. Questi due accorgimenti mancano; v’è solo nelle istruzioni generali l’avvertenza circa la possibilità di non rispondere a qualche domanda. Ma chi non legga le istruzioni, o lo faccia con disattenzione, potrebbe essere portato a rispondere comunque a tali domande, col risultato che poi alla fine risulterà che ci saranno un certo numero di persone che avranno espresso una opinione su come valutare i titoli equivalenti, con ciò avallando di fatto la praticabilità di questa opzione (che è stata suggerita ad es. da Andrea Ichino).
In altri casi troviamo le domande strutturate in modo da non essere coerenti al loro interno. Ad es. il quesito 6 è formulato in modo squilibrato: la domanda pone l’accento sulla necessità di un voto elevato per partecipare ai concorsi; nelle risposte il concetto di partecipazione passa sullo sfondo e sembra che il voto elevato sia necessario per esercitare tout court certe funzioni. In effetti si dimentica sovente che il possesso dei requisiti necessari per esercitare certe funzioni non è assicurato dal voto né dalla laurea, ma dalla prova concorsuale, che accerta i meriti. Il voto è a questo fine solo un elemento indicativo. E la laurea costituisce un requisito minimo per accedere alla valutazione, non il discrimine per esercitarla. Per cui sono senza fondamento le affermazioni fatte da un “esperto di innovazione” su Repubblica TV.
Un altro elemento di confusione e indeterminatezza del questionario sta nel largo uso della risposta “altro”. Affinché tali risposte abbiano una reale incidenza sulla consultazione sarebbe necessario che poi su di esse venga operata una accurata selezione e accorpamento tematico. Sarà fatto? Con quali criteri? Oppure le risposte che andranno in tale vasta categoria verranno rubricate come semplicemente “altre risposte” e quindi diventeranno statisticamente invisibili? Inoltre, in molti casi si richiede di dare degli esempi o dei casi a cui ci si riferisce quando si risponde altro. Ma in assenza di una assistenza online che enumeri i diversi casi attualmente possibili rientranti nella fattispecie, diventa arduo per chicchessia ricordare a mente le tipologie da imputare: la risposta diventa meramente causale, in dipendenza da ciò che viene in mente prima.
Tenendo conto di questi gravi difetti non sorprende che già sulla rete siano state avanzate diverse riserve, e c’è chi denunzia il carattere truffaldino della consultazione online e ne chiede il ritiro: si è pronunciato in tal senso l’Unione degli Universitari, che ritiene tale consultazione “faziosa e strumentale”; ha protestato anche il Coordinamento universitario sul suo sito Link, il sindacato ANDU e la rete 29 aprile, che parla di “profumo di imbroglio”; e non è che la prima giornata.
Siamo ancora una volta in presenza di una mera operazione di facciata o v’è una reale volontà di dialogo? Nel secondo caso, sarebbe forse opportuno fermare per un momento la macchina e magari riformulare e calibrare meglio i quesiti in modo da dissipare qualunque sospetto di esito preconfezionato.
In una questione così rilevante è necessario il massimo rigore: speriamo che il ministero si renda conto di quanto sia importante evitare di affrontarla con leggerezza e in un addensarsi di brusii ed equivoci.
Sul problema di valutare i titoli c.d. “equivalenti”: sia da un punto di vista giuridico sia dal mio punto di vista personale, ciò è senz’altro possibile, ma non è detto che sia utile farlo – cioè infognarsi in una tale valutazione non è detto sia sensato agli effetti della selezione concorsuale, per cui si hanno a disposizione altre prove e altri titoli professionali alla bisogna.
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