Segnaliamo dal sito http://unibec.temilavoro.it/ dieci proposte per l’università pubblica. Chi desidera sottoscriverle può firmare alla fine del documento.
Gli italiani vogliono un’università pubblica. Questo ci hanno detto le mobilitazioni contro la legge Gelmini nel 2010, questo ci dice anche l’esito concorde e inequivocabile di due sondaggi indipendenti effettuati nel 2012: la consultazione ufficiale organizzata dal ministro Profumo (sui 31mila registrati oltre il 73 per cento ha votato per il mantenimento del valore legale del titolo di studio) e il controsondaggio promosso dall’Assemblea Università Bene Comune. L’orientamento prevalente della cittadinanza è quello di chiedere che il sistema di istruzione della Repubblica mantenga e rafforzi le caratteristiche di inclusività e di promozione sociale che la Costituzione del 1948 indica come stelle polari.
Il decalogo seguente è frutto dell’elaborazione di studenti, dottorandi, professori e ricercatori, sia precari che strutturati, che in questi anni hanno difeso con determinazione l’università pubblica. Suggerisce provvedimenti e sottolinea istanze necessarie a rafforzare la vocazione pubblica dell’università, anche allo scopo di migliorare la qualità della ricerca e garantire la piena libertà di coloro che della comunità universitaria fanno parte.
(prosegui per firmare)
1. Non si può fare cassa sull’università come accaduto sino ad oggi: dal 2009 al 2013 il taglio complessivo del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) sarà pari al 20 per cento. I finanziamenti al sistema della formazione e della ricerca devono essere adeguati alla media dei Paesi OCSE. Le risorse liberate dal turn-over devono essere interamente reimpiegate per il ricambio generazionale. Deve essere adeguato il rapporto studenti/docenti, portandolo in linea con quello dei Paesi europei.
2. Occorre istituire un ruolo unico della docenza, diviso in fasce stipendiali, al fine di demolire il sistema feudale delle gerarchie accademiche. Ne consegue che i docenti – ricercatori e professori, indipendentemente dalla fascia di appartenenza – devono poter partecipare con parità di diritti ad ogni incarico in ambito accademico, ivi comprese le commissioni di valutazione comparativa.
3. Il diritto di partecipare a tutti i bandi per finanziamenti ministeriali in qualità di coordinatore deve essere consentito a tutti i ricercatori e professori, abolendo le differenziazioni tra precari e strutturati. I progetti di ricerca di interesse nazionale devono essere giudicati da commissioni nazionali, senza alcuna forma di “preselezione” a livello locale.
4. L’università è pubblica e deve essere gestita da chi vi lavora e vi studia con il supporto dei cittadini e delle cittadine che ne compongono la collettività. Gli organi di governo delle università devono, dunque, essere costituiti in maggioranza da queste categorie. Per le stesse ragioni, le fondazioni universitarie non possono prendere in carico didattica e ricerca (funzioni istituzionali delle università) ma solo attività specifiche e complementari rispetto a queste ultime.
5. In relazione alla contribuzione studentesca, per il gettito totale (fuoricorso inclusi) deve essere ripristinato il limite del 20 per cento sul FFO. Le tasse devono essere improntate alla progressività e senza aggravi per i fuoricorso. Tutti coloro che possiedono i titoli richiesti devono poter usufruire di borse di studio (ovvero deve essere rimossa l’ignominia dell’“idoneo non vincitore”). Va invertita la tendenza al dilagare del numero chiuso: le risorse destinate all’università vanno adeguate al numero di aspiranti studenti e non viceversa.
6. La valutazione deve essere affidata a un’autorità indipendente e non deve essere identificata con una strategia di differenziazione competitiva delle università e con l’introduzione di criteri (arbitrari) in grado di gerarchizzare l’assegnazione dei pochi fondi statali in progressivo prosciugamento. Il processo valutativo non può risolversi in una “competizione a premi”, ma deve consentire di individuare, in modo analitico e condiviso, punti di forza e debolezze della complessa stratificazione della geografia accademica italiana.
La valutazione deve riguardare non solo i “prodotti” della ricerca ma l’interezza dei servizi – dalle biblioteche alle banche dati alla presenza di alloggi per studenti – offerti da ogni singolo ateneo. È dunque necessario scomporre nel dettaglio le condizioni di partenza di ciascun ateneo, sottoponendo analisi e criteri di valutazione al vaglio rigoroso e condiviso da parte della comunità scientifica degli studiosi e delle studiose, degli studenti e del personale TA.
7. Per consentire alle università di sviluppare capacità attrattiva nei confronti di studenti e ricercatori provenienti dall’estero (e in modo particolare da altri paesi dell’Europa e del Mediterraneo) occorre garantire adeguato sostegno economico agli studenti Erasmus in ingresso e in uscita, semplificare le procedure burocratiche relative agli studenti stranieri (visti, servizi di accoglienza multilingue, etc.), prevedere un uso intelligente di esami in lingua straniera all’interno dei corsi di laurea.
8. Scuola e università non sono lo strumento attivo di educazione alle priorità del mercato e non possono essere ridimensionate al perimetro di un’agenzia di collocamento; non devono tuttavia sottrarsi allo sforzo di interpretare il mondo esterno e incidere su di esso.
La conseguente applicazione di questo principio deve prevedere che l’ideazione e la progettazione dei corsi di laurea universitari siano l’esito di una consultazione il più possibile ampia, aperta e articolata del mondo studentesco, dell’insieme del corpo docente, della collettività lavorativa e intellettuale esterna all’accademia. A tal fine vanno dunque individuate e incentivate modalità di coinvolgimento e di partecipazione attiva ad ogni decisione inerente alla strutturazione della comunità universitaria.
9. I dottorati senza borsa devono essere eliminati: ogni lavoro di ricerca deve prevedere adeguata retribuzione.
10. La modalità principe per il reclutamento e l’ingresso in ruolo nell’università è quella contenure track. Si deve però definire un chiaro percorso post-dottorato, non superiore a 4 anni, che recepisca quanto stabilito dalla Carta Europea dei Ricercatori: un contratto unico pre-ruolo, con retribuzione, tutele e diritti di rappresentanza conformi a quelle dei lavoratori a tempo determinato. Nel 2011 i precari nelle università italiane erano oltre 100mila, a fronte di poco più di 50mila strutturati: è urgente un piano di reclutamento straordinario che non disperda questo immenso patrimonio di intelligenze e competenze. Ad esso deve seguire un processo di reclutamento ordinario e ciclico, in ragione dell’ampliamento delle esigenze scientifiche e didattiche del sistema universitario.
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Lo trovo piuttosto superficiale. Pieno di proposte demagogiche (ruolo unico, tutti possono coordinare progetti di ricerca, …). Le ragioni per riservare certe funzioni a chi ricopre un ruolo apicale sono invece condivisibili. L’anomalia dell’accademia italiana è che manca invece la certezza di poter accedere a tali posizioni se si lavora bene. In molti altri paesi (p.e. gli Stati Uniti presi spesso ad esempio a sproposito) dopo alcuni anni trascorsi in una “fascia”, il proprio lavoro viene giudicato e se è buono si passa alla fascia superiore. E infatti in un tipico dipartimento più di metà della faculty è composta da full professors. I rimanenti sono giovani (sotto i 40), oppure persone che hanno deciso di dedicarsi a altro. Se si fa così i “difetti di democrazia” scompaiono. Dare potere decisionale a chi è ricattabile sulla carriera non è mai una buona idea. L’effetto è quello di aggiungere un anello alla catena di comando di scollare il potere dalla responsabilità.
Anche la proposta di abolire i dottorati senza borsa è una cattiva idea se così formulata. Condivisibile l’intento, ma dimentica che ci sono almeno due categorie di dottorandi che pur essendo senza borsa non sono sfruttati. I dipendenti pubblici in congedo con stipendio per fare il dottorato e quelli che nel frattempo lavorano e non vogliono abbandonare il proprio lavoro (p.e. imprenditori). A causa dei limiti per la durata del dottorato, questi spesso finiscono per massacrarsi e fare un lavoro meno buono di quello che avrebbero voluto.
Capisco la frustrazione di chi non riesce a passare di grado, ma la proposta del ruolo unico docenza darebbe il colpo di grazia alla già traballante meritocrazia del sistema.
Tra l’altro, non è chiaro perché, a totale parità di funzioni, dovrebbe collegarsi un diverso trattamento economico (si tratterebbe di una norma persino incostituzionale, per violazione dell’art. 36 Cost.) e come potrebbero ricercatori e associati partecipare a tutte le valutazioni comparative (dovrebbero forse giudicare anche sè stessi?). E infine, chi svolgerebbe le funzioni di dattica integrativa, se tutti fossero professori parigrado?
I concorsi universitari vanno sicuramente resi più giusti ed efficaci, e le progressioni debbono essere rese concretamente possibili, tramite idonei finanziamenti. Tuttavia, piaccia o meno, nelle università è pieno di (più o meno) vecchi ricercatori ed associati che semplicemente non meritano di andare avanti perché hanno dimostrato ampiamente di non valere. Francamente non vedo la ragione perché le già scare risorse dovrebbero essere destinate a loro invece che, semmai, ai non strutturati promettenti.
Caro marco, se il principio è quello della non ricattabilità sai meglio di me che tutti sono ricattabili: anche un rettore può voler diventare ministro! Se il punto è questo, allora lasciamo perdere ogni discorso e torniamo dritto alle monarchie assolute
Per il dottorato: sai benissimo anche tu che i senza borsa non sono dipendenti pubblici in aspettativa, ma normalissimi neolaureati senza altri redditi.. e sai anche che chi fa il dottorato lavora, e chi lavora deve essere pagato. Se poi consideri che le borse di dottorato sono esenti da tasse vedi subito che eliminare i senza borsa costa pochi spiccioli. Sulla demagogia: il ruolo unico è un provvedimento praticamente a costo zero, cosi come allargare a tutti la possibilità di essere coordinatori. Questi provvedenti inoltre non provocherebbero di certo tragedie epocali… insomma, non vedo proprio dove stia la demagogia!
per rispondere a Teo: scusami, ma non riesco a capire. Nella situazione attuale, a totale parità di funzioni non solo c’è un diverso trattamento economico ma anche un diverso trattamento giuridico!!! Sinceramente non capisco perchè sia così assurdo sanare la questione giuridica. Non capisco neppure perchè mai darebbe un colpo fatale alla “meritocrazia”, parola peraltro totalmente vuora se prima non si definisce con precisione cosa diamine è questo merito… per passare di classe stipendiale ci sono delle verifiche. Sulla didattica integrativa: mi sembra che la possano fare proprio tutti quanti, professori inclusi, a meno che tu non pensi che la divisioni in ruoli sia simile a quella di vassalli, valvassori e valvassini.. ma allora diciamocelo tranquillamente che ad alcuni l’università feudale piace. Sulla genericità dell’accusa secondo cui i “vecchi” sono delle scarpe mi pare che ignori totalmente le dinamiche delle promozioni universitarie: ad esempio, non sai che in alcuni settori non ci sono concorsi da decine di anni? Fare di tutta l’erba un fascio, quello sì che è contro la “meritocrazia”! ;-)
Personalmente non sono favorevole al ruolo unico. Credo però che chi lo propone abbia in mente il modello della magistratura.
Alessandro,
per capirci, contestavo la possibilità di rendere davvero eguali le funzioni: ad oggi (a differenza di come sembri dire tu) non lo sono, visto che i ricercatori sono chiamati alla sola didattica integrativa, e molti (ma non certo tutti) ricevono per affidamento un corso. Incarico che deve essere loro rinnovato ogni anno.
Gli associati hanno indubbiamente uno status più simile a quello degli ordinari, ma, ad es., sono esclusi dala scelte più importanti di reclutamento e dalla cariche accademiche più rilevanti. Il ruolo unico, come inteso in questa proposta, sembra propedeutico a (ed anzi sostanziarsi ne) l’omologazione delle funzioni ma non (non mi è chiaro perché, a questo punto) del trattamento economico. Ebbene, di tutto ha bisogno l’università, credo, meno che di vedere anche simbolicamente ulteriormente mortificato il merito. Ci vuole un reclutamento efficace che consenta a chi vale di crescere. Ma chi non cresce, scusate l’opinione radicale, dovrebbe essere addirittura espulso dal sistema universitario (ad es. mandato ad insegnare nelle scuole), ben lungi che essere promosso ex lege. Solo così ci sarà posto per i giovani bravi che premono per entrare. Non sono solo discorsi teorici: io ho avuto la fortuna di diventare di prima fascia certamente giovane per gli standards italiani perché vincevo al primo colpo i concorsi e la mia università al tempo aveva soldi per chiamarmi. Ma se non ci fosse stata questa relativa abbondanza, sarei ancora ricercatore allo stesso livello di certi personaggi che hanno scritto il loro ultimo lavoro 20 anni fa, ma se non fossi adesso ordinario, mi guarderebbero ancora con sufficienza perché loro sono lì da 30 anni e quindi si sentono superiori a chi è arrivato dopo (e non importa che in sistema uiversitario serio sarebbero stati espulsi da 25 anni; in Italia c’è il ruolo…).
Dunque miglioriamo il reclutamento, ma non sostituiamolo con la promozione ex lege, che renderebbe l’università ancora peggiore (e chiusa ai giovani).
Non capisco dove sia la demagogia, e neppure le ragioni per riservare certe funzioni a chi, pari ad altri, solo per situazioni contingenti ha raggiunto un ruolo apicale da cui la maggior parte è esclusa per definizione pur facendo lo stesso lavoro, avendo la stessa esperienza.E poi, cosa intendi per lavorare bene? Insomma,come valuti chi lavora bene? Intendi forse lavorare dentro gli schemi riconosciuti? Non credi che questo sia imbrigliare la ricerca in modo inaccettabile? Guardiamoci in facica: prova a dividere da una parte i ricercatori, dall’altra gli associati, dall’altra gli ordinari che conosci: vedi davvero delle differenze, a parte un minimo scarto di età media e di genere?
Sono d’accordo con Isopi. L’appello tatticamente comprensibile ( e populista) strategicamente devastante.
Condivido molti punti, ma ritorno alla vecchia questione (e poco presa di petto in ogni sede) del travaso università/scuola. C’è tutto un esercito – direi nascosto – che ha accumulato percorsi, esperienze e titoli (anche prestigiosi) universitari, e che nel mondo della conoscenza propedeutica a quella dell’Università non se li vede riconosciuti (e questo non da ieri, da molto più tempo…). Occorre che il personale non strutturato accademicamente possa assumere incarichi adeguati nella scuola, ad es. in termini di middle menagement. Specie in certi settori disciplinari questo contribuirebbe a sfoltire molti sottoboschi accademici, propugnerebbe una vera meritocrazia – in un contesto di discipline della conoscenza – e diminuirebbe parte del precariato
Concordo con albertoraf.
Una questione importante, risolvibile a costo zero, e del tutto trascurata nel mondo dell’istruzione italiana è quella della permeabilità tra scuola (superiore) ed università.
Non sono aggiornato sui dettagli attuali della normativa, ma molti anni fa, quando mi iscrissi alle ‘liste per le supplenze’ a scuola ricordo ancora la grande perplessità di fronte al fatto che non venisse attribuito alcun punteggio a pubblicazioni scientifiche, titoli post-laurea, attività di didattica supplementare universitaria, e simili. Simmetricamente anche anni di insegnamento liceale non erano valutati in alcuna misura, formale o informale, con riferimento ai concorsi universitari (a partire da quelli di dottorato). Non mi consta che da allora le cose siano cambiate granché. In questa divaricazione non c’è alcuna logica che non sia il desiderio di tenere distinte le due linee di carriera. Ma tale divaricazione ha conseguenze pessime per tutti: da un lato tende a supportare un’immagine ‘impiegatizia’ dell’insegnamento liceale, come del tutto sciolto dalla ricerca e dall’alta cultura. Dall’altro non consente a chi ambisca a posizioni accademiche di provare a farsi le ossa in un’attività didattica complicata come quella liceale. Di un’ideale permeabilità tra i due sistemi se ne gioverebbero anche gli studenti, che avrebbero docenti liceali più aggiornati e meno spenti, e docenti universitari più propensi a rendersi intelligibili.
In Belgio c’e’ un ruolo unico a tempo indeterminato. Ed anche in Germania.
Dipende molto da quanti docenti universitari a tempo indeterminato si vogliono in Italia. Ora sono circa 60 mila.
Opzioni a costi simili:
a) Se si vogliono 20 mila docenti universitari a tempo indeterminato il ruolo unico si puo’ ottenere mettendo ad esaurimento la categoria dei prof. associati.
b) Se si vogliono 40 mila docenti universitari a tempo indeterminato il ruolo unico si puo’ ottenere mettendo ad esaurimento la categoria dei prof. ordinari.
Personalmente sono contrario alla b) perche’ mi da meno prospettive di crescita economica individuale rispetto alla situzione attuale (che pure mira ad avere 40 mila docenti di ruolo a tempo indeterminato ma divisi in due ruoli).
Tra poco il ruolo unico sarà di fatto, visto che i PO si pensionano, non ci saranno progressioni PA–> PO ma solo RU –> PA. Diciamo 10 anni.
in effetti…
Suvvia, un po di ottimismo. Qualche nuovo PO ci sara’. Il mondo non finisce tra 2 anni, spero.
L’idea del ruolo unico non la vedo affatto una proposta demagogica, ma una soluzione utile per la situazione attuale dell’università italiana.
Secondo Gianluca Imbriani e Alessandro Arienzo l’età media dei docenti universitari è di 60, 54 e 46 anni rispettivamente per i PO, PA e RU. (http://www.newsletter.unina.it/?p=211). Questi valori sono destinati ad aumentare: è irreale pensare che ci potranno essere immissioni in ruolo prima di un anno, nella migliore delle ipotesi (procedure di abilitazioni + concorsi locali).
Gli ultimi concorsi universitari per PA/PO sono stati banditi nel 2008. anche se espletati con un notevole ritardo. Anche se quelli dell’ANVUR sono da prendere con la massima cautela, nei dati aggregati si evince che ci sono molti ricercatori che superano le mediane di PA o PO.
Finché i concorsi hanno avuto una certa regolarità, la divisione tra i ruoli aveva effettivamente una corrispondenza con la qualificazione scientifica, ma nella situazione attuale, i confini tra le categorie si stanno sempre più sfumando. I tagli finanziari all’università hanno causato un effetto paradossale: molti docenti che avevano chiaramente la qualifica di PA o PO non sono stati promossi semplicemente perché sono mancate le risorse. Questa condizione è destinata solamente a peggiorare nell’immediato futuro.
La situazione che si è creata potrebbe essere paragonata a quella di un generico corso di Laurea. Fino ad un dato anno, gli studenti trovavano lavoro facilmente dopo la Laurea, che era conseguita al raggiungimento della qualificazione di 180 crediti formativi. A causa di una crisi del mercato del lavoro, I docenti decidono che da un anno accademico in poi, la Laurea (qualificazione scientifica) può essere conseguita solo con non meno di 300 crediti. Quindi, conferire la stessa qualificazione scientifica varia enormemente con gli anni, non perché le conoscenze sono avanzate ma semplicemente perché sono diminuite le risorse/possibilità di impiego!
In una crisi finanziaria, ha senso eseguire dolorosi tagli sugli stipendi, (anche bloccare gli stipendi equivale ad un taglio); non ha invece senso eliminare le promozioni al raggiungimento di una data qualificazione. Questo è una mortificazione assoluta del merito.
Concordo con Antonio Banfi: in un mondo ideale, il ruolo unico non è la soluzione migliore. Tuttavia, nella specifica situazione italiana attuale, potrebbe essere davvero il male minore.
Soprattutto, potrebbe essere una soluzione per smetterla di investire risorse enormi per gli strutturati (L’ANVUR e I concorsi prendono enormi energie ai docenti universitari) e concentrarsi finalmente con una situazione di reale emergenza: l’accesso delle giovani generazioni all’interno dell’università.
A me piacevano i 3 ruoli che c’erano prima.
I soldi per l’Universita’ e per gli Enti di Ricerca se si vuole si trovano.
“Tra poco il ruolo unico sarà di fatto, visto che i PO si pensionano, non ci saranno progressioni PA–> PO, ma solo RU –> PA. Diciamo 10 anni.”
POVERI PA. …. evviva che voglia matta di fare ricerca e attività didattiche che ti viene con questa amara realtà!
” I tagli finanziari all’università hanno causato un effetto paradossale: molti docenti che avevano chiaramente la qualifica di PA o PO non sono stati promossi semplicemente perché sono mancate le risorse. Questa condizione è destinata solamente a peggiorare nell’immediato futuro.” …. Se poi uno pensa a quanti ti hanno sorpassato, solo perchè avevano il mentore giusto, e che ora non supererebbero nemmeno le fantomatiche mediane ANVUR … ti viene sempre più una voglia matta di sproanre i giovani del tuo laboratorio a lavorare duramente per raggiungere gli obiettivi … convocare gli studenti e discutere con loro le ultime novità sull’argomento trattato ieri a lezione etc…che voglia matta ti viene
Teo, le fustrazioni non c’entrano: c’entra semplicemente la correttezza di considerare ciascuno per ciò che sa fare e fa: non capisco le tue perplessità, e neppure cosa intendi per merito: se tu fossi ricercatore invece di ordinario, solo per fortuna e caso per tua stessa ammissione, ti sentiresti diverso da come ti senti ora? Se tu,per caso, non fossi cresciuto in carriera, saresti davvero convinto che sarebbe stato giusto buttarti fuori? Il discorso della didattica integrativa che fai tu, poi,scusami, è solo un retaggio feudale di ordinari che, malgrado spesso abbiano la stessa esperieza ed età (e stanchezza) dei ricercatori, credono giusto, non si sa su quali basi, non fare esercitazioni o ricevimento studenti…sfruttando e denigrando,quando fa comodo, il lavoro di altri meno …fortunati!
Laura, non vorrei apparire supponente, ma in ogni concorso a cui ho partecipato chi non passava era intimamente convinto di essere migliore di chi passava e vittima del sistema (poi se uno si guardava serenamente i titoli dei trombati spesso si chiedeva come mai permanessero nei ruoli accademici, invece che essere mandati ad insegnare in un liceo).
Non credo di essere diventato ordinario solo per fortuna: ho semplicemente scritto di più e più velocemente degli altri (ovviamente non spetta a me giudicare la qualità. Così ho colto l’occasione di progredire finché c’era qualche centesimo da spendere per le chiamate. Chi oggi, di una certa anzianità, si lamenta di essere rimasto indietro dovrebbe farsi anche un serio esame di coscienza sul perché non ha saputo sfruttare il primo decennio del 2000 dove i concorsi erano parecchi e i soldi per le chiamate si trovavano. Non serve oggi lamentarsi e auspicare soluzioni ex lege (che, certo, sono comode, ma distruggono le distinzioni tra chi fa e chi non fa e si lamenta).
Mantenere distinzioni di ruoli nell’università non è solo un retaggio feudale. Corrisponde al sistema esistente nei principali paesi civili e consente di offrire un servizio migliore. La differenza è che, ad es., in USA (dove la distinzione tra ricercatori, associati e ordinari ovviamente c’è) chi non riesce a diventare full professor a un certo punto viene escluso dal sistema, e così si fa spazio per i giovani. Mi sembra un modo più razionale di spendere le poche risorse disponibili, purché a ciò si accompagni un sistema serio e giusto di reclutamento.
teo:”Chi oggi, di una certa anzianità, si lamenta di essere rimasto indietro dovrebbe farsi anche un serio esame di coscienza sul perché non ha saputo sfruttare il primo decennio del 2000 dove i concorsi erano parecchi e i soldi per le chiamate si trovavano.”
Mannaggia non me ne sono accorto.
Thor: che vuoi che ti dica: peggio per te…..Basta che chi non ha passato le decine di concorsi degli ultimi 12 anni non dica che non c’era alcuna possibilità di passare, perché tutti sappiamo che non è vero.
Caro teo, io un passaggio l’ho fatto nel decennio passato la mia battuta sulla tua affermazione andava ben oltre.
Thor, magari potevi farne un secondo (e non ex lege…..)
@Teo, Luca e Paolo,
Vorrei tanto avere 20 anni di meno e tornare nei mitici anni ‘90, guardo alla situazione attuale e futura dell’università, non a quella che sarebbe tornando indietro.
Personalmente preferisco vivere nel presente e non nel passato.
1) Permettetemi di dubitare che qualsiasi sia il prossimo governo, decida di stanziare ingenti risorse finanziarie per l’università, soprattutto che veda come una priorità gli avanzamenti di carriera.
2) La mancanza di risorse, a guardare un po’ più in avanti, è addirittura un aspetto secondario. Avendo in pratica bloccato i concorsi per 5 o più anni, anche nell’ipotesi che il reclutamento Gelmini-ANVUR vada a regime prima possibile, si creeranno comunque e inevitabilmente una serie di ingiustizie.
3) Il problema demotivazione in assenza di prospettive di carriera che evidenzia Paolo è assolutamente importante, e non colpisce solo i docenti ma tutti gli utenti che desiderano un’università di qualità.
Vi ricordo che La legge Gelmini ha abolito la ricostruzione di carriera e trasformato gli scatti di anzianità da biennali in triennali. I 3000 ricercatori che ottenuta l’idoneità ANVUR vinceranno i concorsi locali avranno quel giorno una amara sorpresa: in media, (età media RU 46 o più anni) un danno economico!
Quello che dice Teo, estromettere dal sistema chi non produce (“licenziare i fannulloni”) è un’ipotesi affascinante e condivisibile ma in pratica irrealizzabile. Qualcuno mi ricorda quanti “fannulloni” sono stati estromessi dalla pubblica amministrazione negli ultimi anni?
Nella situazione attuale, non sarebbe più logico mettere in secondo piano le divisioni RU, PA, PO (ruolo unico), difendere tutti assieme l’università pubblica e concentrarsi nel dare un incentivo economico a chi come Paolo o tanti altri continui a ad impegnarsi nel suo lavoro?
Un docente medio, diciamo un PA confermato in classe 0, nel 2001 prendeva 1830 euro al mese netti. Senza promozioni, nel 2010 è arrivato a 2871 in classe 5. L’incremento è dovuto a 574 euro di adeguamento ISTAT e 467 di scatti stipendiali. Ora non abbiamo ne ISTAT ne scatti e siamo fermi al 2010 con la certezza di nessun miglioramento fino al 2015. Il turn over è in grado di coprire le dinamiche legate alla progressione mentre l’adeguamento al costo della vita è ciò che più incide sull’incremento del FFO. Tutto si è pericolosamente inceppato come quando un grumo di sangue blocca la circolazione. E’ veramente difficile prevedere una via di uscita sperando che ancora ci sia. E non aiuta certo un’economia tossicodipendente che ci richiama tutti i giorni all’attenzione dei mercati come tanti eroinomani in crisi di astinenza. L’università “felice” comunque la si intenda ha un costo, non si può prescindere da questo.
A me risulta che il blocco degli stipendi e’ fino alla fine del 2013. E POTREBBE essere esteso al 2014, ma solo a seguito di qualche dispositivo attuativo. E’ stato ufficialmente disposta l’estensione anche a tutto il 2014?
Eccesso di pessimismo.
Sembra confermato il blocco degli stipendi per tutto il 2014.
http://www.repubblica.it/economia/2013/02/28/news/stipendi_blocco-53604005/?ref=HREC1-4
e questi sarebbero affari correnti? Questo governo dimissionario è un vero schifo.
Un simpatico assessore regionale toscano suggeriva la figura del ‘docente itinerante’: invece di avere un docente per sede, egli si sarebbe distrubuito su quattro sedi in modo da permettere un bel risparmio agli atenei della sua regione!
Non è col ruolo unico che si arriva da qualche parte, salvo che non si voglia includere tecnici laureati, dottorandi, assegnisti etc. Tutti una grande ammucchiata. Forse pochi si ricordano del ruolo unico degli operatori nei servizi psichiatrici di tanti anni fa. Era l’ammissione che non c’era nessuna reale capacità di discriminare valore e professionalità in un campo scientificamente liquido. Evitiamo ideologie, chiaro che tutti i ricercatori preferiscano il ruolo unico, suppongo, senza offesa, quelli che non hanno capacità e/o prospettive in particolare. Andremo in tale prospettiva a fare una semplice operazione matematica. Definito l’importo totale degli stipendi lo si divide per il numero dei professori unici e poi tutti ugugliati verso il basso… insomma smettiamola. Chiediamo meno riforme e più investimenti, le prime se le tengano i secondi diffusi su qualsiasi criterio ragionevole allocati per merito
Credo che ci sia molta confusione sull’intendere una qualche forma di ruolo unico sia da parte di chi lo propone che da parte di chi lo rifiuta. Così come è difficile estrarre una qualche forma di progressione distinta dal reclutamento nella nostra realtà. Oggi poi c’è una forte tendenza a volere introdurre disincentivi legati all’età. Perchè non partire da una visione bidimensionale dove lungo una direzione abbiamo la fascia (al momento III-like, II,I) e lungo la direzione perpendicolare la classe di merito (non è più anzianità, la si deve guadagnare). Chiedetevi dove sono, in questa mappa, le porte di comunicazione e provate a ragionare se non è il caso di introdurre qualche miglioramento.
Grazie Marco, come dici tu “Il problema demotivazione in assenza di prospettive di carriera … non colpisce solo i docenti ma tutti gli utenti che desiderano un’università di qualità”. QUESTO è uno dei PUNTI CENTRALI che chiunque tiene a cuore il futuro dell’università si dovrebbe porre!
I ragionamenti di Teo sono emetici. Sono peggio dei ragionamenti sugli sfigati di Martoniana memoria. Come si fa a sostenere che chi non è passato in questi anni è per colpa sua …Se fosse così forse non avremmo avuto le mediane ANVURIANE. Per es. in un settore c’erano due vecchi ordinari ora in pensione, uno ha lasciato quattro ordinari come suoi allievi, l’altro solo un PA. Il PA ha più fondi, più dottorandi e più pubblicazioni di tre dei quattro PO. IL PA supera tutte e tre le mediane mentre tre dei PO non ne superano nemmeno una. ….Il PA è stato segato nell’ultimo concorso, mentre sono passati altri che adesso non superano le mediane … Si, il PA è proprio sfigato, ma non nel senso che intende Teo. E’ capitato nel gruppo sbagliato nel momento storico sbagliato.
Teo mi ricorda quelli che da RU invidiano i PO e quando arrivano a fare il PO vogliono umiliare gli RU …. tipico dell persone più grette di questa terra! Non ho detto che teo sia così. Ho detto solo che mi ricorda quelli così.
Se l’ANVUR con i dati che possiede facesse un’analisi ex-post di quelle tornate concorsuali troverebbe qualcosa da dire. Ci potrebbero essere molte zero mediane in giro passate con le triple e doppie idoneità (soprattutto anni 1999-2002).
Supponiamo che in un dato SSD dal 1999 al 2002 su diciamo 38 idonei, 15 oggi superano 3 mediane, 8 due mediane, 3 una mediana e 12 zero mediane. Che conclusione potremmo trarre? Qualcuno direbbe “nessuna, sono mediane è ovvio che un buon numero debba stare sotto”, qualcun altro direbbe “si però una bella fetta di quelli sono diventati PO 10 anni fa e non hanno oggi i requisiti che si chiedono ai candidati!”.
Quando analizzeremo gli indicatori fra 10 anni come ci aspettiamo che saranno gli idonei di oggi? E quali indicatori useremo? Il numero di coautori? Forse.
Paolo-Thor
di nuovo capisco umanamente la vostra frustrazione, che emerge limpidamentespecie specie dalla prosa risentita di Paolo. Ma la realtà che verrebbe fuori da un’analisi serena dei dati dei concorsi post legge Berlinguer è che semmai è passata troppa gente negli ultimi anni: alcuni, certo, non meritevoli; ma (e qui sta il punto) i meritevoli sono mediamente passati tutti, purché (ma questo è ovvio e vale in tutti i campi della vita) si siano fatti valere partecipando con tempismo ai concorsi (ossia facendosi trovare pronti al momento giusto) e facendosi conoscere in convegni, seminari, dottorati ecc.
Se voi non lo avete fatto (mancavate dei requisiti di merito, oppure eravate troppo pigri per partecipare ai concorsi con tempismo), scusate la franchezza, peggio per voi. Non potete adesso pretendere la promozione ex lege. Semmai lottate per un reclutamento efficace ed effettivo, che vi consenta di vincere (se ne avrete i titoli) futuri concorsi nel rispetto del principio costituzionale di accesso ai pubblici impieghi tramite procedure aperte a tutti (art. 97, ult. co., Cost.: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.)
La promozione ex lege non è accettabile non solo perché l’università diventerebbe ancora più disorganizzata, anarchica ed improduttiva (se tutti sono comunque eguali, saltano quasi completamente gli incentivi a fare bene), ma anche perché i giovani promettenti non strutturati verrebbero espulsi per generazioni. Un prezzo troppo alto da pagare, mi pare, per soddisfare il pur intenso desiderio di tanti ricercatori ed associati a sentirsi anche loro, per qualche tempo, dei (piccoli) baroni, prima del pensionamento.
Ci sono ottimi argomenti contro ogni promozione indiscriminata. Ma l’idea che chi non è passato di ruolo negli ultimi dieci anni lo abbia fatto per proprio demerito non è tra queste. Invero, un’arrogante sciocchezza del genere, se si è in buona fede, può essere solo frutto di una generalizzazione induttiva di estensione indeterminata sulla base dell’informazione presente nel proprio circoscritto intorno di esperienze. Cioè, raffinatezze epistemologiche a parte, una ca…ta gratuita a proprio beneficio.
Tra l’altro, trovo interessante come tra i meriti scientifici fondamentali venga collocato il ‘farsi conoscere ai convegni’. Mi pare sia una perfetta esemplificazione di un paese dove l’infrastruttura fondamentale per fare carriera (non solo accademica) è sempre più Power-Point. Fuffologia applicata.
Fantastica la frase:
“generalizzazione induttiva di estensione indeterminata sulla base dell’informazione presente nel proprio circoscritto intorno di esperienze”.
Che traducendo in italiano significa:
“generalizzazione impropria basata su pochi fatti”.
Zhok: la pochezza di chi replica in modo (direbbe la cassazione) incontinente si commenta da sola e non fa che confermare quanto l’idea di una promozione indiscrimata sulla base di pretese ingiustizie subite in passato (quando tutti sanno che l’università ha assunto parecchio negli ultimi anni) rappresenti null’altro che l’espressione massima dei desiderata di chi antepone il proprio personale interesse e le proprie frustrate ambizioni all’interesse al buon funzionamento generale del sistema.
Anche l’idea che essere relatori ai convegni non conti nulla è, d’altra parte, rivelatrice di una certa visione autoreferenziale (dagli esisti di solito pessimi sulla progressione) dell’impegno accademico: come credi che avvenga la cooptazione accademica negli altri paesi? occorre scrivere e far conoscere, anche oralmente (io non uso le slides, ma non c’è niente di male a farlo), le proprie idee.
@ teo
Io conosco giovani studiosi eccellenti che negli ultimi dieci anni non hanno avuto nessuna occasione di promozione e hanno talvolta mollato il colpo passando ad altre attività extra-accademiche o andando all’estero. Se tu non ne conosci nessuno, questo è un problema legato alla ristrettezza delle tue conoscenze e farne reiteratamente una tesi generale è un atto di arroganza (in senso tecnico, senza offesa).
Quanto a come vengono assunte le persone in altri paesi, beh, io lo so, tu sembra di no: in un gran numero di casi che potrei enumerarti con nome e cognome le persone in ultima istanza scelte erano note sì per la loro produzione scientifica, ma non avevano mai incontrato di persona (né in convegni, né al bar) i membri del gruppo deputato alla selezione.
Zhok: certo infatti all’estero non si fanno convegni; è un provincialismo solo italiano….mi pare che sei tu che generalizzi sulla base della tua ristretta cerchia di conoscenze e, forse, della tua materia. Del resto, io stavo semplicemente dicendo che è opportuno fare conoscere le proprie idee anche oralmente. Chi contesta una simile ovvietà si commenta da solo.
Quanto ai pretesi studiosi eccellenti, sei sicuro che essi abbiamo avuto il coraggio di farsi valere nei concorsi? sai, anche io quando sono diventato associato mi sono confrontato (inutile dire: fuori sede) con il figlio di un noto cattedratico della mia materia che riteneva il posto già suo e (da quanto mi dicono) ha fatto di tutto per farmi ritirare. Però io ho tenuto duro e alla fine il figlio non si è nemmeno presentato alla lezione perché sapeva che io avevo molti più titoli di lui. Se avessi dato retta a vari saggi consiglieri oggi sarei ancora ricercatore o al massimo associato, lamentandomi di essere vittima del sistema….Del resto, vogliamo parlare del numero medio di concorrenti che c’erano nelle valutazioni comparative locali? come mai chi oggi si lamenta non ha presentato la domanda a concorsi in cui spesso c’erano al massimo 5 concorrenti, talvolta di basso livello? Siamo proprio sicuri che non avevano alcuna chances di vincere? La mia esperienza, e quella di tanti altri che hanno osato farsi strada giovani senza aspettare il proprio “turno”, dimostra in realtà che i concorsi, pur con i loro difetti, offrivano più chances di quanto certi luoghi comuni vorrebbero far credere.
Sono d’accordo sul fatto che la codardia sia una delle ragioni dello status attuale della nostra università, ma non è l’unica. Concorsi più partecipati avrebbero sicuramente indotto dei rinnovamenti sulla mentalità di come condurli. Io ho partecipato a tanti concorsi, ho fatto un upgrade ma ho anche visto tanti colleghi derubati letteralmente di una giusta idoneità. Giudizi ottimi ma poi si fa come a miss Italia, si usano le palette, non c’erano voti. Non penso ci sia un’esperienza personale che meriti di essere riportata ad esempio, ne la tua ne la mia. Il problema è probabilmente molto più complesso.
@Teo. Discusiione sterile! NOn ho mai parlato di ope legis o cose simili, ma ho solo condiviso pienamente l’affermazione di Marco: “Il problema demotivazione in assenza di prospettive di carriera … non colpisce solo i docenti ma tutti gli utenti che desiderano un’università di qualità”.
Non sono vecchio, ho 4 anni in meno dell’età media dei PA, ma lo sono sufficientemente per aver partecipato a diverse selezioni e potrei farti nome e cognome di chi ho visto fare idoneo e potresti controllarne il CV e confrontarlo con il mio e altri 5 o 6 colleghi con un CV pari o superiore al mio cghe sono stati segati.
Invece di indignarsi per queste cose si sostiene che chi lavora ONESTAMENTE e SESIAMENTE e un c. che non si è fatto conoscere ai concorsi …. Sono editor di 5 giornali prestigiosi del settore. Reviewer per decine e decine di giornali. Ho fatto da chair a decine e decine di congressi nazionali e internazionali. 3 anni in una delle più prestigiose università degli USA. Ho una h-index di 27. Ho portato al dottorato 4 colleghi, 2 sono ricercatori adesso. … e ti ripeto il mio cv non è il top nel settore… ce ne sono almeno altri 3 o 4 che hanno un CV superiore al mio 2 hanno un h-index superiore a 35 …. ma che c. dici, colpa loro!
Colpa loro che hanno lavorato e non hanno fatto intrallazzi giusti???
Caro Paolo: sono certo che se sei così bravo come dici prima o poi passerai (anche senza ope legis, che adesso dici di non volere). Mi permetto solo di notare che magari anche una maggiore capacità dialettica e di rispetto per le opinioni altrui ti potrà giovare (la scienza, non solo giuridica, è confronto). Poi vedi tu……
Un’ultima considerazione: perchè quando sei stato, dici, così ingiustamente trombato non hai fatto un ricorso o una denuncia? è facile lamentarsi ed insolentire su un blog: bisognerebbe però anche avere il coraggio di essere consequenziali nelle proprie scelte di tutti i giorni, se si vuole che qualcosa cambi.
LB presentava le anomalie di certi concorsi ai convegni. Ora fa l’informatico.
Infatti dietro ad un nick si può celare tutt’altra persona di quella che si presenta. Non hanno infatti senso discussioni sul personale, almeno qui.
Gent.mo Teo,
forse non viviamo nella stessa realtà universitaria.
In un settore affine al mio nel 2008 fu bandito (in agosto, alla chetichella) un solo (dicesi uno) concorso in 10 anni con due idoneità da associato. La prima era già assegnata al rampante candidato locale, la seconda per scelta politica a un esterno al settore stesso. Il giudizio della commissione è sovrano e non si può ricorrere se non ci sono scorrettezze formali.
In questo contesto scaricare colpe sui ricercatori che non hanno fatto carriera mi sembra lievemente irritante.
Indrani: per tua (e di tutti) informazione la tesi per cui l’operato della commissione è sovrano ed insindacabile è semplicemente falso (e, per quel che più importa, oggettivamente funzionale al mantenimento di uno stato quo largamente insoddisfacente e quindi pericoloso): anzi, oserei dire che proprio in tema di concorsi universitari i TAR ed il Consiglio di Stato dimostrano un interventismo sconosciuto in altri campi. Certo occorre avere il coraggio di:
a. partecipare;
b. contestare in sede di approvazione degli atti la irragionevolezza, disparità di trattamento e difetto di motivazione dell’operato della commissione;
c. se comunque non si ottiene (come invece è ben possibile che succeda) riscontro, ricorrere al TAR.
è strano che si sia diffusa questa falsa opinione: vi sono anche casi illustri di docenti (peraltro di per sè anche stimabili e meritevoli) la cui idoneità è stata annullata e di cui si è parlato anche nella stampa (prova ad esempio a cercare su internet della vicenda di Napolitano junior, la cui idoneità ad associato è stata annullata dal Consiglio di Stato, con sentenza 2364/04, perché, secondo i giudici che hanno ribaltato la decisione della commissione, senza sufficienti pubblicazioni, ossia “per essere stati tali giudizi formulati con l’apporto rilevante di lavori scientifici non aventi i requisiti della pubblicazione”). In quanti concorsi, specie prima di questa serie di pronunciamenti, sono passati candidati con provvisoria? quanti giudizi concorsuali avrebbero potuto essere agevolmente annullati per vizi sostanziali?
…con sentenza 2364/04…
e poi come sono andate le cose?
per sua fortuna intanto aveva già vinto il concorso di prima fascia e quindi questo ha sanato la sopravvenuta carenza di idoneità di seconda fascia. Se no gli sarebbe saltato il ruolo.
Ecco come le sezioni unite Cassazione sintetizzano la questione del sindacato giurisdizionale consentito sui concorsi universitari
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-05-2011, n. 10066 Giurisdizione
Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
del ricorso principale ed incidentale.
Svolgimento del processo
Con D.R. 4 ottobre 2004, n. 2279 veniva indetto un bando di concorso per la valutazione comparativa per un posto di professore ordinario per il settore scientifico – disciplinare Med/18 – Chirurgia Generale.
All’esito di detta procedura di valutazione comparativa veniva dichiarato vincitore del concorso il Prof. A. ed idoneo, quale secondo classificato, il Prof. C.A. che precedeva in graduatoria l’altra candidata, Prof.ssa L. B., classificatasi terza.
Avverso il Decreto Rettorale di nomina proponeva però ricorso al Tar Lombardia la B., la quale contestava l’idoneità assegnata al secondo in graduatoria, ossia il C.A., deducendo l’illegittimità del giudizio, a quest’ultimo più favorevole, formulato dalla Commissione in sede di valutazione comparativa tra il docente da ultimo citato e l’originaria ricorrente. Si costituivano in giudizio sia l’Università degli Studi di Milano, sia il vincitore, sia il controinteressato, C. A..
Estromesso dal giudizio l’ A., la causa veniva decisa dal Tar con sentenza n. 2346/2007, con cui il giudice di primo grado annullava solo in parte la procedura di valutazione, per non essere stata effettuata la valutazione comparativa tra i candidati C.A. e B.. Restavano invece confermati sia la nomina del vincitore A., sia le fasi precedenti la valutazione comparativa, con specifico riguardo ai giudizi individuali e collegiali resi sui candidati. Il parziale annullamento della procedura veniva quindi disposte dal Tar al fine di ordinare la ripetizione della sola fase finale della valutazione comparativa tra B. e C.A.. In esecuzione del dispositivo, l’Ateneo indiceva una seconda procedura di valutazione comparativa all’esito della quale la Commissione confermava l’idoneità del candidato C.A. rinviando per le motivazioni alle risultanze dei giudizi collegiali ed individuali e ai criteri selettivi individuati nel bando, con specifico riguardo alla maggiore congruità del profilo del candidato C.A. con il settore scientifico disciplinare in cui era stata bandita la procedura. Avverso tale rinnovata procedura, la B. avviava un nuovo giudizio (il secondo) dinanzi al Tar Lombardia per impugnarne l’esito della seconda valutazione comparativa. Resistevano in giudizio sia l’Università degli Studi di Milano che il controinteressato, il C.A.. Il Tar Lombardia, con sent. n. 1795/2008, accoglieva il ricorso e per l’effetto annullava lo stesso giudizio finale della Commissione, ritenendolo viziato con riferimento all’ordine di priorità assegnato ai criteri selettivi di valutazione; secondo il giudice di prime cure, infatti, la Commissione non aveva conferito “prevalenza al criterio dell’attività scientifica dei candidati (all’apparenza più favorevoli alla B.) rispetto a quello relativo all’attività didattica ed assistenziale”, ciò, sulla base della considerazione che i parametri individuati nel bando di concorso erano quelli fissati dal D.P.R. n. 117 del 2000, art. 4 essendo questi ultimi tutti attinenti al profilo scientifico del candidato.
Sia la prima, che la seconda sentenza del Tar Lombardia venivano impugnate con autonomi appelli innanzi al Consiglio di Stato.
I due giudizi, riuniti, sono stati decisi ad agosto 2009 con le due sentenze Consiglio di Stato, sez. 6^, n. 4957/2009 e n. 4960/2009.
In particolare, con la seconda sentenza d’appello, la n. 4960/2009, il Consiglio di Stato ha confermato la seconda sentenza del Tar rigettando l’appello sul presupposto che:
il vaglio compiuto dei giudici sulle scelte della Commissione rientrasse nell’esercizio del sindacato di legittimità e non di merito;
non vi sarebbe stata violazione del principio del ne bis in idem rispetto al precedente giudizio allorchè nel primo era in contestazione l’assenza del momento di valutazione mentre nel secondo si discute dell’applicazione dei criteri di selezione;
era legittima la scelta del Tar di individuare la prevalenza di un criterio selettivo rispetto ad un altro;
parimenti è legittimo che il Tar faccia assumere una valenza positiva invece che negativa al giudizio sulla settorialità dell’attività della B..
Nelle more, dovendo darsi esecuzione al secondo dispositivo di primo grado che aveva sancito il criterio della prevalenza dell’attività scientifica sugli altri criteri, è stata espletata una terza valutazione comparativa.
All’esito, pur avendo riguardo principalmente all’attività scientifica dei candidati in ottemperanza al giudicato, ritenendo quella della B., seppur ottima, troppo settoriale rispetto alla varietà proposta dal profilo dell’altro candidato, la Commissione riconfermava l’idoneità del C.A., tenendo in specifica considerazione il criterio di apprezzamento dell’attività scientifica dei candidati individuato al D.P.R. n. 117 del 2000, art. 4, comma 2, lett. e).
Ciò posto, la B. proponeva un nuovo ricorso dinanzi al Tar Lombardia e il giudizio veniva definito con sentenza alla stessa sfavorevole n. 5680/2009, già impugnata innanzi al Consiglio di Stato.
Avverso la sentenza n. 4960/2009, il C.A. ricorre, in via principale, per cassazione con due motivi; resistono con controricorso la B. e l’Università di Milano, che a sua volta propone ricorso incidentale con un unico articolato motivo.
Motivi della decisione
Ricorso principale C.A.:
con il primo motivo si deduce: “eccesso di potere giurisdizionale, per violazione dei c.d. limiti esterni della giurisdizione amministrativa, con riferimento all’accoglimento del ricorso di primo grado, in relazione all’art. 111 Cost., comma 8, all’art. 360 c.p.c., n. 1 e all’art. 362 c.p.c. e al R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 48 (si afferma in particolare che le pronunce dei Giudici amministrativi hanno palesemente sovvertito l’esito del concorso)”;
con il secondo motivo si deduce: “eccesso di potere giurisdizionale, per violazione dei c.d. limiti esterni della giurisdizione amministrativa, in relazione all’art. 111 Cost., comma 8, all’art. 360 c.p.c., n. 1 e all’art. 362 c.p.c. e al R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 48 (si afferma in particolare che ancor più evidente e grave è lo sconfinamento del G.a. nel merito delle valutazioni rimesse alla Commissione concorsuale, per quanto riguarda la presunta direzione da parte della B. di “un’unità operativa complessa”).
Ricorso incidentale Università degli Studi:
dopo aver affermato l’ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, alla L. n. 1034 del 1971, art. 36 avverso la decisione del Consiglio di Stato in esame “in quanto affetta da vizio per superamento dei limiti esterni della giurisdizione del Giudice amministrativo, per invasione della sfera di attribuzione della pubblica amministrazione”, si deduce violazione di detti limiti esterni della giurisdizione amministrativa per erronea applicazione del D.P.R. n. 117 del 2000, art. 4, commi 2, 3 e 4.
In particolare si afferma che con la decisione impugnata il Consiglio di Stato “ha compiuto un sindacato di merito in una materia in cui è attribuita giurisdizione al Giudice amministrativo limitatamente al sindacato di legittimità degli atti amministrativi”.
Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Entrambi detti ricorsi sono inammissibili.
Quanto al ricorso principale si osserva: non sussiste il detto superamento dei limiti di giurisdizione del Giudice amministrativo in quanto il Consiglio di Stato, con motivazione logica, sufficiente e rientrante in detti limiti esterni, dopo aver premesso che “le valutazioni della commissione nell’ambito di una procedura concorsuale per posti di professione universitario costituiscono espressione dell’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono volendo utilizzare altra terminologia valutazioni tecniche. A prescindere dalla terminologia prescelta, è oggi pacifico che si tratta di valutazioni pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l’aspetto più strettamente tecnico. Infatti, tramontata l’equazione discrezionalità tecnica, merito insindacabile a partire dalla sentenza n. 601/99 della 4^ sezione del Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ei procedimento applicativo”, ha sostenuto che “tali considerazioni sono idonee a confermare sul punto l’impugnata sentenza, non avendo la Commissione fornito adeguati elementi per giustificare il giudizio di prevalenza del candidato C.A.; nè tale prevalenza può essere fatta derivare dall’elemento richiamato dall’appellante e dalla Commissione dell’assenza di titolarità in capo all’appellata dell’insegnamento di Chirurgia generale, trattandosi di elemento relativo all’attività didattica, in relazione alla quale già era emersa una prevalenza del C.A., risultata non decisiva in ragione della prevalenza nei giudizi collegiali della B. per l’attività di ricerca”.
Tali statuizioni non sono censurabili in quanto risultano in linea con quanto affermato già da questa Corte a Sezioni Unite (n. 14893/2010), secondo cui le valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici dei pubblici concorsi, inserite in un procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla valorizzazione dei criteri predisposti preventivamente dalle medesime commissioni, sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo, denunciabile con il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. E ciò anche, sia con riferimento al travisamento del fatto sia riguardo ad un grave difetto di motivazione, ipotesi entrambe ricorrenti nella fattispecie in esame.
Le argomentazioni svolte in ordine alla insussistenza nel caso di specie della violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa conducono alla declaratoria di inammissibilità anche del ricorso incidentale, con riferimento alla relativa censura.
Si compensano le spese della presente fase tra i ricorrenti in virtù del principio della reciproca soccombenza, con condanna del C.A. alla rifusione delle spese della presente fase in favore della B. che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE preliminarmente riuniti i ricorsi, pronunciando a Sezioni Unite, li dichiara inammissibili e compensa le spese tra i ricorrenti, con condanna del C.A. al pagamento delle spese della presente fase in favore della B. che si liquidano in complessivi Euro 5.400,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre spese generali ed accessorie come per legge.
C’è confusione. Non si stava parlando di un concorso di diritto amministrativo, università del Molise? Quello appunto relativo alla sentenza 2364/04?
Thor: la sentenza delle sezioni unite Cassazione afferma un principio generale sul sindacato sugli atti delle commissioni universitarie (i vizi sostanziali sono ampiamente deducibili e possono ben determinare l’annullamento dell’idoneità) e conferma la linea interventistica seguita dal Consiglio di Stato nella sentenza sul concorso presso l’Università del Molise. Tutto qui.
Non si stava discutendo del decalogo per l’università pubblica?
@Teo: lasciamo perdere! tempo sprecato!
@Teo. Non capisco cosa vuoi dimostrare con questa sentenza da Azzeccagarbugli …. la sostanza è che se si cerca fra i prof di MED/18, una il cui nome e cognome (o viceversa) inizia per L.B. non se ne trovano.
L.B. non è mai stata chiamata. A cosa è servito il ricorso?
Non sono le vere iniziali? … se è una sentenza e come tale pubblica e pubblicata, non capisco perchè non si mettono i nomi… ma lasciamo perdere … lavare la testa … etc…
LB non c’entra nulla!
Paolo, era una risposta a Indrani che asseriva che si possono far valere solo vizi formali contro i giudizi delle commissioni.
Come avrete notato la sentenza dice espressamente che “tali considerazioni sono idonee a confermare sul punto l’impugnata sentenza, non avendo la Commissione fornito adeguati elementi per giustificare il giudizio di prevalenza del candidato C.A.; nè tale prevalenza può essere fatta derivare dall’elemento richiamato dall’appellante e dalla Commissione dell’assenza di titolarità in capo all’appellata dell’insegnamento di Chirurgia generale, trattandosi di elemento relativo all’attività didattica, in relazione alla quale già era emersa una prevalenza del C.A., risultata non decisiva in ragione della prevalenza nei giudizi collegiali della B. per l’attività di ricerca”. Entra cioè nella sostanza del giudizio, travolgendolo.
Mi piace pensare che a qualcuno interessi sapere qual’è lo stato vero della giurisprudenza sul tema del sindacato sui concorsi universitari, senza limitarsi a superficiali luoghi comuni.
Poi se vi sentite meglio a pensare che le patologie dei concorsi universitari degli ultimi dieci anni fossero invincibili fate pure. Vi assicuro che gente che ha ottenuto il posto grazie a ricorsi esiste eccome. Poi ovviamente non è il giudice a dare loro il posto: il giudice annulla il concorso, impone nuovi criteri alla commissione, e così se uno ha più titoli riacquista le chances di vincere. La prossima volta che ti senti defraudato di una sacrosanta vittoria magari pensaci.
Scusate l’off-topic (sarà l’ultimo): molte volte il problema non è candidato scadente contro bravo. Ci sono magari cinque candidati, tutti accettabili e con titoli equivalenti. I commissari si sono accordati in precedenza su due nomi e danno a tutti la possibilità di preparare la lezione su argomenti che conoscono. A quel punto la lezione va bene a tutti e vengono fatti grandi complimenti ai candidati. Si danno buoni giudizi ai non idonei (il contentino) e buonissimi agli idonei.
A qusto punto è difficile trovare gli estremi per un ricorso: come vedete si tratta di un metodo estremamente raffinato, una bocciatura sorridente e cerimoniosa.
@ indrani. Si spesso è cosi. Ma molte volte è capitato anche che il primo, o a volte il secondo, idoneo aveva il proprio mentore in commissione … e come si sa “ogni scarrafone è bell a mamma soia” …
lo so che questi numeri non vogliono dire molto, ma quando le differenze sono larghe … qualcosa dicono e per farla breve … quando lo scarrafone aveva come h-index 19 e gli esclusi 27, 29, o 35 … qualcosa dietro ci stava. Quando il papabile faceva il salto della quaglia e poi adesso che è PO supera solo una delle 3 mediane, mentre gli esclusi le superano largamente tutte e tre … qualcosa dietro ci stava. ….
Ridiamo speranza ai meritevoli, illudendoli che non ci saranno più ingiustizie ….illudendoli …
E’ per questo che per me le mediane sono molto molto importanti.