Davide Clementi (ADI): «l’aut-aut: ok, voi avete nuovi diritti ma un terzo di voi verrà espulso»
Quarto Convegno Roars, Trento 24-24 febbraio 2023
Tavola rotonda: COSA «MERITANO» LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ ITALIANA

Buongiorno a tutte e a tutti e grazie per l’invito.

Innanzitutto, porto i saluti di Rosa Fioravante, Segretaria Nazionale della mia associazione, l’ADI, e agli altri membri della Segreteria nazionale e della Direzione nazionale dell’ADI, che quest’anno compirà i suoi venticinque anni di attività.

Ho a lungo riflettuto rispetto a come impostare questo intervento e cercherò di ricollegarmi alle varie suggestioni che ho avuto modo di ascoltare. Nel corso della discussione di oggi si è fatto molto riferimento a quanto avviene nei mondi, nei sistemi, più prossimi al nostro: nei linguaggi, nei principi, nelle traiettorie si prende quasi sempre a modello ciò che avviene in Europa e nel mondo anglosassione, specie in quello Statunitense.  Forse per deformazione personale, sono un giovane gius-comparatista che si occupa principalmente di diritto cinese, mi piacerebbe un attimo riorientare lo sguardo a quanto avviene lontano da noi, cioè nei paesi dell’estremo Oriente, dove la meritocrazia e la sua implementazione costituiscono parte essenziale dell’arte del governare, della politica e non solo della politica, ma pure dell’amministrazione pubblica, della ricerca scientifica, dell’educazione, dello sviluppo industriale.

Lungo il corso della storia del pensiero cinese, e soprattutto guardando alla genesi di quel pensiero e inserendolo nel contesto storico e sociale di quella che oggi chiamiamo Cina, sicuramente la nostra attenzione volge al pensiero confuciano, al confucianesimo, attraverso il quale e nel quale siamo certi di trovare i connotati essenziali, gli elementi costitutivi, di quei sistemi estremo-orientali che coinvolgono la Repubblica popolare cinese e l’Impero giapponese, la Corea e il Vietnam, di ieri e di oggi.

Una delle prime rilevazioni da compiere è la continuità tra il l’attuale sistema di potere che è cinese, ma che, come dicevo, è anche giapponese o coreano, con quanto avveniva in passato. Potremmo dire cioè vi è una sostanziale linea di continuità tra quello che è, diciamo, il presente e il passato di questi sistemi di potere essenzialmente basati su una selezione, diremmo noi, meritocratica del suo corpo dirigente. Il trasferimento del potere da quello che viene detto il mandarinato, cioè dagli onnipotenti funzionari che gestivano il potere imperiale, a quello che oggi è, ad esempio, il Partito comunista cinese, continua ad avvenire su queste basi di selezione, rigidissima e volta a scegliere i “migliori”.

E come si perpetra questo sistema? Innanzitutto attraverso meccanismi di valutazione che coinvolgono tutta la popolazione, che coinvolge al giorno d’oggi principalmente gli studenti, ma gli stessi membri delle organizzazioni che detengono il potere politico, il potere economico, il capitale culturale. Nel caso della Cina, la selezione coinvolge pure il Partito Comunista cinese, gli stessi iscritti al Partito Comunista cinese. Basti pensare a un dato: l’attuale segretario generale del Partito Comunista cinese, XI Jinping, ha chiesto per ben venti volte di essere ammesso al Partito, e per ben venti volte gli è stato opposto un netto rifiuto di poter accedere al Partito perché non rispettava gli standard che il Partito stesso fissava.

E questo, direte, cosa c’entra rispetto alla discussione odierna? C’entra perché sistemi simili che spesso noi guardiamo anche con occhi a tratti incuriositi, a tratti tremendamente timorosi, sono sistemi che attuano non soltanto nella selezione della classe dirigente quello che, oggi, vediamo nei fatti nei nostri modelli educativi, di sviluppo dei saperi e di sviluppo delle personalità, ma ineriscono alla formazione e alla selezione stessa degli studenti.

È famoso e diffuso in estremo Oriente il modello del cosiddetto “gaokao”, cioè di un periodo dell’anno dedicato esclusivamente all’esaminazione degli studenti che intendono poi proseguire negli studi universitari. Un sistema simile è basato sulla competizione e sul raggiungimento di alcune mediane da parte dei giovanissimi studenti che hanno tra i 18 e 19 anni – parliamo di centinaia di migliaia di studenti – , raggiungimento che determinerà non soltanto l’università di appartenenza, ma anche le discipline che questi dovranno studiare nel corso della loro vita. E sebbene questi sistemi si basino appunto sul presupposto o forse sull’idealizzazione del fatto che i meritevoli e i capaci hanno tutti la possibilità di ottenere posti di potere e posizioni certamente privilegiate all’interno della società, anche in questi sistemi, risalenti nei secoli e radicati in una solida cultura, si sta ridiscutendo l’idea della valutazione. L’idea dell’ onnipresenza della valutazione è degli ultimi anni. La nascita in Cina di un movimento, quello degli “sdraiati”, i tangping, critica l’ossessività della valutazione, critica soprattutto i fini a cui la valutazione è preposta, ovvero il raggiungimento delle posizioni di potere, il raggiungimento di standard qualitativi e quantitativi che vengono imposti da un decisore che forse non è ben individuato. Ed è molto singolare il fatto che i giovani cinesi rifiutino non soltanto il sistema valutativo, ma anche il sistema produttivo degli ultimi decenni, il sistema consumistico che è nato attorno a questo modello, dicendo essenzialmente “preferiamo rimanere sdraiati, preferiamo rimanere a letto, piuttosto che dare la nostra intelligenza, le nostre forze, le nostre capacità all’idea della produzione, all’idea del governo per amore del governo, all’idea della crescita per amore della crescita”.

E dunque, mi ricollego adesso alla realtà italiana, per quanto sia ormai un cliché parlare di “fuga di cervelli”. Oggi vediamo forse una ulteriore evoluzione – o involuzione – del discorso da parte degli organi politici di vertice del Ministero dell’Università e della Ricerca. Io ritengo che sia sconcertante che con estrema leggerezza, a un evento dedicato alla promozione del turismo (e guarda caso, del turismo), un ministro della Repubblica – il ministro della Repubblica che è incaricato di sovrintendere all’Università della Ricerca – affermi con nonchalance che la fuga dei cervelli non vada drenata ma implementata… senza che si ricordi come la fuga di cervelli sia stata già implementata con coraggio e determinazione nel corso degli anni attraverso il  de-fianziamento ordinato e scientifico dell’università della ricerca del nostro paese.

Quindi, non c’è nessuna fuga da implementare, la fuga è già implementata: se un dottore di ricerca su 5 all’anno sceglie di abbandonare nell’anno dopo l’ottenimento del titolo di dottore di ricerca all’Italia per non fare più ritorno nel nostro paese, mi domando: qual è il fine ultimo di questa valutazione? Qual è il fine di questa ossessività alla mediana, alla valutazione, alla pubblicazione ossessiva e bulimica? Alla creazione di progetti e borse di brevissimo respiro, che nulla assicurano alla stabilità futura del giovane ricercatore e della giovane ricercatrice?

Il fine ultimo di questa valutazione di questa ossessività verso la valutazione è l’ottenimento di una posizione che sembra più una chimera, che sembra più miraggio dato la dispersione delle energie, dei talenti, di studenti, studentesse, di dottorandi e dottorande di dottori di ricerca e dottoresse di ricerca del nostro paese. A quanto pare i dati danno l’idea che questa valutazione è compiuta per semplice amore della valutazione stessa, perché se immaginiamo che il 91% dei dottori di ricerca del nostro paese non riesce a stabilizzarsi all’interno del sistema universitario e della ricerca, di base o applicata che sia, e dunque viene disperso nel corso di quella lunga marcia verso la stabilizzazione, mi viene da pensare che l’unico scopo di questa valutazione sia semplicemente perpetrare delle logiche che non rispondono certo a quella centralità della persona, della centralità della persona nella ricerca, che auspichiamo come Associazione dottorandi e dottori di ricerca.

Certamente, da parte nostra, dell’ADI che quest’anno compie i suoi 25 anni, c’è la volontà di riattivare un discorso pubblico non di contronarrazione, ma di costruzione di una diversa idea di università e di ricerca, assieme a tutti questi corpi che cercano di rispondere alle inefficienze di un sistema che sperpera risorse, che non è capace di guardare alle criticità che esistono dentro il nostro mondo accademico ma pure nell’organizzazione produttiva e sociale del Paese.

Veniamo pure da una riforma, da una piccola riforma, una reformette, del pre-ruolo universitario: una riforma che è stata molto contestata e che ha visto una tensione anche all’interno della rappresentanza studentesca, all’interno di chi fa rappresentanza istituzionale come me, di chi fa rappresentanza generale studentesca e chi invece si è affacciato, da pochissimo, alla rappresentanza studentesca. Essenzialmente, per un motivo drammatico, a mio giudizio, il “baratto” che è stato posto rispetto a questa riforma, cioè il mancato finanziamento, assieme ai nuovi e pochi diritti che questa riforma porta nei confronti dei precari della ricerca. Il governo, sia il precedente che l’attuale, hanno sfruttato questa divisione, hanno di fatto utilizzato l’arma del ricatto, cioè l’arma di dire: “Ok, voi avete nuovi diritti, oppure un terzo di voi verrà espulso. Oppure, se questo terzo di voi va espulso, allora non avrete nuovi diritti”. E quindi, quale merito c’è all’interno di un sistema di tal tipo, che costringe il ricercatore a una scelta fra precarietà e vita, all’interno di un sistema che spende risorse sul brevissimo termine senza immaginare un futuro, una pianificazione di queste risorse? Se davvero il discorso che viene fatto è un discorso legato alle eccellenze, che guarda caso si trovano ad essere sfruttate, sottopagate, costrette e non per turismo, come vorrebbe il Ministero dell’università della ricerca, è quello della cooperazione internazionale a dover andare all’estero.

Io personalmente cercherò di immaginare, con tutti voi, un percorso che sia il più ampio possibile delle non più delle piccole riforme. Dobbiamo proporre delle innovazioni. Dobbiamo proporre delle grandi alternative a un sistema che ormai non funziona, è evidente che non funzioni. Certamente qualcuno potrebbe dire che il sistema della valutazione è invincibile. Ma lo era anche il diritto divino dei re.

Print Friendly, PDF & Email

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.