Se è vero, come abbiamo visto nella precedente puntata, che lo status socio-economico condiziona l’accesso agli studi universitari, rimane da capire se e con quale successo lo Stato agisce per colmare questo gap tra ricchi e poveri. Partiamo dal fatto che il sostegno agli studenti tramite aiuti monetari diretti – principalmente sotto forma di borse di studio e prestiti –, e/o indiretti (ad esempio attraverso assegni familiari) ha proprio lo scopo di rimuovere le barriere di tipo economico e in tal modo dare pari opportunità di istruzione a tutti.

Sebbene il supporto finanziario sia presente in tutti i paesi, i sistemi sono diversamente strutturati. In alcuni, tutti possono teoricamente ricevere un aiuto economico a prescindere dal background famigliare essendo lo studente concepito come giovane adulto economicamente indipendente. È  questo il caso dei paesi nordici (Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Olanda e per certi versi Regno Unito). In altri – come Francia, Germania, Italia e Spagna – l’aiuto è concesso esclusivamente agli studenti provenienti da famiglie con condizioni economiche disagiate poiché vige il principio dell’obbligo di mantenimento dei genitori. In altre parole, lo Stato supplisce al mancato supporto delle famiglie in stato di necessità.

La questione cruciale è: queste politiche di sostegno sono efficaci? I dati, citati nella precedente puntata, farebbero propendere per rispondere non abbastanza. D’altra parte si può constatare che là dove il supporto è ampiamente esteso e consistente, ovvero nei paesi del Nord Europa – e con sistemi di istruzione gratuiti in alcuni casi (Finlandia, Norvegia, Svezia, Danimarca) –, i tassi di ingresso all’università sono molto elevati [1], oltre il 60%. Un valore decisamente superiore alla media OCSE, e la sottorappresentazione dei gruppi svantaggiati nella popolazione universitaria è meno evidente.

E’ stato inoltre dimostrato che la borsa di studio incide significativamente sui tassi di passaggio all’università se erogata a studenti svantaggiati sotto il profilo economico. Ad esempio, secondo una ricerca tedesca, il BAföG [2] incrementa il tasso di passaggio del 10% e un aumento di 100 euro al mese del suo importo determinerebbe un ulteriore incremento di circa il 3%.

Occorre anche evidenziare che le chance di conseguire un titolo accademico sono aumentate nel corso del tempo: in media, a livello europeo, possiede la laurea il 15% delle persone di età compresa fra 45 e 54 anni con genitori non diplomati contro il 23% nella fascia di età 25-34 anni. In Italia, tuttavia, vi è una debolissima variazione nelle due diverse classi di età, di uno o due punti percentuali di scostamento, il che testimonierebbe un contesto tendenzialmente stabile.

Infine va ricordato che le opportunità di accesso agli studi universitari sono influenzate da un insieme di fattori: da come è strutturato il percorso scolastico che precede l’università, dall’esistenza di canali formativi alternativi post-diploma di natura più professionalizzante, e non ultimo dall’offerta rappresentata dal mercato del lavoro. Non tutto, dunque, può essere risolvibile con la rimozione o attenuazione delle barriere economiche.

Certo è che la strada da percorrere per eliminare le disparità sociali nell’ingresso all’università è ancora lunga, specie in Italia. Ne è riprova il calo di immatricolazioni (del 5% nell’ultimo anno e del 9% negli ultimi quattro anni) negli atenei italiani, a fronte di un numero di diplomati pressoché stabile. Il che non è di buon auspicio per il futuro.


[1] Il tasso di ingresso è pari alla quota di studenti di età compresa tra i 16 ed i 34 anni che si iscrive per la prima volta all’università in rapporto al totale della popolazione che si colloca nello stesso range di età.
[2] Il BAföG è il tipo di sostegno previsto in Germania erogato per il 50% sotto forma di borsa e per il 50% sotto forma di prestito.

 

(Pubblicato si West)

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