In Australia, uno degli aspetti più controversi dell’ultimo programma nazionale di valutazione della ricerca, il cosiddetto ERA 2010 (Excellence of Research in Australia), era la classificazione delle riviste in quattro fasce di qualità. Il sistema non ha funzionato ed il governo lo ha ammesso pubblicamente. In una audizione del 30 maggio scorso, di fronte ad una commissione del Senato Australiano, il ministro Kim Carr ha motivato la futura abolizione delle fasce di qualità per le riviste, dichiarando che
There is clear and consistent evidence that the rankings were being deployed inappropriately … in ways that could produce harmful outcomes
Per ammissione dello stesso ministro, la classificazione delle riviste era potenzialmente dannosa per la ricerca australiana. Nella nuova edizione dell’ERA australiano, piuttosto che affidarsi a criteri automatici, verrà rafforzato il ruolo dei comitati di valutazione della ricerca che utilizzeranno le competenze specifiche dei loro settori per formulare i loro giudizi.(Giuseppe de Nicolao, I numeri tossici che minacciano la scienza)
(..)
L’Australia è stata il pioniere in queste pratiche; dopo averle modificate più volte negli ultimi dieci anni, ha deciso di rinunciarvi nel prossimo esercizio di valutazione. L’adozione di una classificazione delle riviste condivisa a livello settoriale ha infatti spinto i ricercatori a modificare i loro interessi di ricerca e le strategie di pubblicazione, sguarnendo interi settori di ricerca in precedenza considerati di ottimo livello (alcune aree delle scienze forestali). Un’attenta valutazione di quanto avviene a livello internazionale potrebbe risparmiarci di imboccare sentieri già abbandonati da altri. Da questo punto di vista la costruzione di anagrafe delle pubblicazioni dei ricercatori italiani pubblicamente accessibile dovrebbe essere una priorità del sistema della ricerca nazionale, perché consentirebbe l’uso trasparente e controllabile di molti indicatori bibliometrici. Anche nelle scienze umane.