(..) Proprio per evitare questo pericoli molti (qui per esempio) sostengono che l’ANVUR dovrebbe adottare classifiche delle riviste . Queste classifiche possono essere usate in modo semiautomatico per trasferire l’indicazione di qualità dalla rivista (A, B, C, D etc.; una stella, due stelle etc.) agli articoli che vi sono contenuti. Purtroppo le classifiche non sono semplici da costruire né da utilizzare: chi costruisce la classifica? sulla base di quali criteri? E quali sono gli effetti prevedibilidella loro utilizzazione generalizzata?

Qui ci si limita a due notazioni relative al primo ed al terzo quesito. La costruzione delle liste delle riviste scientifiche e in qualche caso la loro classificazione in fasce è stata attuata da commissioni nominate appositamente dalle agenzie di valutazione che hanno lavorato per periodi di tempo anche molto lunghi. In alcuni casi le commissioni sono state mantenute nell’anonimato fino alla pubblicazione delle liste (Australia), in altri sono state rese immediatamente pubbliche (AERES). In Italia si è proceduto come sempre in modo approssimato e ad esercizio di valutazione ormai iniziato non solo non c’è traccia di classifiche ufficiali, ma neanche di commissioni per la loro stesura. In questo vuoto si sono mosse le società scientifiche che si sono precipitate a costruire le proprie classificazioni. Consideriamo a titolo di esempio due classifiche. La prima è stata prodotta dalla Società Italiana di Storia Contemporanea (SISCO) che ha ragionevolmente diviso le76 riviste italiane di storia contemporanea in 3 fasce: 20% in fascia A; 30% in fascia B; 50% in fascia C. L’Area 12 (scienze giuridiche) ha costruito una classificazione comprendente ben 270 riviste. Il 44% (119) delle riviste è in fascia A; il 26% (69) in fascia B; il 30% (89) in fascia C. Le riviste non presenti nella lista sono in fascia D.  C’è evidentemente qualcosa che non va. Non è solo che per gli storici contemporanei è molto più difficile pubblicare su riviste in fascia A rispetto ai giuristi. Il problema vero è che se queste liste dovessero venire  usate dall’ANVUR si verificherà una distorsione sistematica dei risultati a favore delle strutture (Atenei) con una quota maggiore di docenti di area 12 che avranno molti più prodotti in fascia A. Mutatis mutandis più o meno ciò che è accaduto nel PRIN 2009; e precisamente ciò che è accaduto in Australia, che pur aveva lavorato duramente per la costruzione di liste corrette.

Qualsiasi sia la scelta per la valutazione delle scienze sociali ed umane (revisione dei pari, ranking di riviste, un mix dei due strumenti), l’ANVUR dovrà evitare il rischio che la valutazione sia pilotata opportunamente da gruppi accademici.

 

(…)

 

Per quanto riguarda l’uso delle classifiche delle riviste, un modo possibile per evitare di impantanarsi nelle secche della discussione con le società scientifiche, potrebbe essere l’adozione di una o più classifiche messe a punto da organismi di altri paesi. Per l’Area 13 (scienze economiche e statistiche) l’adozione della lista del CNRS francese, fatta propria dall’AERES, potrebbe essere un punto di riferimento solido; per altre aree si potrebbe fare riferimento alla classificazione CIRC spagnola; per altri ancora alla lista ERIH. Resterebbe il problema di molte riviste italiane non censite in nessuna di queste liste. Esse potrebbero semplicemente essere inserite nella fascia più bassa della classificazione.  Una scelta sicuramente radicale, che probabilmente non porterebbe consenso all’ANVUR. Ma che forse servirebbe a dare un segnale molto chiaro alle molte autoreferenziali comunità disciplinari italiane.

 

 

(L’ANVUR e la valutazione nelle scienze umane e sociali 9 gennaio 2012 Alberto Baccini)

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