La notizia non è certo di quelle che catturano l’attenzione: il Dipartimento della Funzione Pubblica ha dato un parere su un contratto
integrativo sottoscritto tra sindacati del comparto ricerca e INGV. Serve un vocabolario anche solo per capire di cosa si sta parlando.
La Funzione Pubblica è il “guardiano” del pubblico impiego: controlla assunzioni e contratti della miriade di enti pubblici del nostro Paese: relativamente facile. Appena più difficile: l’INGV è l’ente di ricerca che, in Italia, si occupa di terremoti e vulcani; certo, bisognerebbe spiegare perché alcuni suoi ricercatori sono a processo per non aver avvertito dell’imminente terremoto dell’Aquila, perché l’ente pubblico che sorveglia i vulcani e gestisce la rete sismologica deve, da anni, avvalersi di oltre 400 precari, perché degli scienziati debbano avere le stesse regole degli impiegati ministeriali (ammetterete che andare sull’Etna non è come andare dal capo dipartimento), ma non sono sicuro di poter dare delle spiegazioni plausibili.
Saliamo di un livello: la contrattazione nel pubblico impiego. Questa è difficile: perché il legislatore (oramai una ventina di anni or sono) abbia deciso che i dipendenti pubblici debbano contrattare con lo Stato, come se fosse un imprenditore privato, non l’ho mai davvero capito (v. voce di Wikipedia che fornisce le informazioni di base in merito). Soprattutto se penso che da questa regola sono esclusi magistrati, forze armate e professori universitari, ma, appunto, non i ricercatori che si occupano di terremoti (o di epidemie, o dell’andamento dell’economia, o della fisica teorica e applicata, e così via…). Prendiamola come condizione al contorno (così dicono i fisici) non eliminabile, ma mettiamo da parte un’informazione importante: se gli stipendi degli “statali” aumentano attraverso la contrattazione sindacale, il governo Monti ha pensato di risparmiare bloccando la contrattazione almeno fino al 2014. Resta la contrattazione decentrata, quella “aziendale”, diversa in ciascun ente pubblico, che serve per contrattare sui buoni pasto, ma anche sui problemi specifici dell’amministrazione.
Perché, invece, questi benedetti 400 ricercatori non abbiano un contratto a tempo indeterminato (in un Paese come il nostro, non c’è dubbio che svolgano un servizio essenziale) si spiega molto facilmente: non sono previsti dall’organico dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia (l’INGV, appunto) e quindi non possono essere messi a concorso.
Da qui i contratti a tempo determinato, da qui la soluzione (temporanea, ma meglio di niente) di prolungare questi contratti per diversi anni, da qui il conflitto con la legge – del 2001 – che non permette di prolungare i contratti temporanei oltre un certo limite, se non con l’accordo dei sindacati, per mezzo di un accordo “aziendale”.
Siamo quasi arrivati in fondo, manca un ultima informazione: la riforma del mercato del lavoro del Ministro Fornero, ha introdotto recentemente una maggiore “flessibilità in entrata”, cioè maggiore elasticità nello stipulare i contratti a tempo determinato andando proprio a modificare quella legge del 2001 che serviva ai vulcanologi per vedere i propri contratti prolungati ancora una volta. Arrivati alla scadenza dei contratti temporanei, i sindacati (tutti) “di categoria” si accordano velocemente con l’INGV per il prolungamento, come prevista dalla legge del 2001, e tutto sembra poter continuare nell’equilibrio (precario) di prima.
Ma c’è un ma. Abbiamo definito la Funzione Pubblica come il dipartimento “guardiano” delle pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda gli enti di ricerca, che tra l’altro godono di autonomia statutaria, regolamentare, finanziaria e di bilancio, il controllo è limitato alle dotazioni organiche, alle procedure di reclutamento e agli accordi integrativi, esclusi (attenzione!) gli accordi per il prolungamento dei contratti a tempo determinato. Bene, nonostante l’accordo per i contratti INGV non fosse sottoposto a controllo, la Funzione Pubblica ha ritenuto necessario pubblicare (e inviare all’Ente) un parere, che io traduco dal burocratese così: poiché 1) la legge del 2012 voluta dal ministro Fornero, ha introdotto nuove forme di lavoro flessibile e ha previsto – comprensibilmente – che alcuni aspetti di questa maggiore flessibilità siano definiti dalla contrattazione collettiva; 2) la contrattazione è bloccata; 3) l’accordo dell’INGV è nello stesso ambito; allora sarebbe necessario attendere l’avvio delle procedure della nuova tornata di contrattazione collettiva prima di fare un accordo decentrato.
Per gli appassionati di diritto del lavoro pubblico, esistono delle contro-argomentazioni della FLC CGIL sul perché un tale parere in realtà non dovrebbe invalidare l’accordo INGV, che a me paiano documentate e convincenti (e che potete leggere qui). Se sia necessario o meno rivedere tutto l’impianto che riguarda il pubblico impiego, mettendo in discussione la cosiddetta “privatizzazione” del rapporto di lavoro, e di conseguenza la contrattazione collettiva, i rapporti sindacali e quant’altro, lo lascio alle dotte discussioni di giuristi e politici.
Per chi fosse meno avvezzo a decreti legislativi, “novelle” legislative, e contratti “a-casuali”, non mi restano, invece, che poche semplici domande:
– Come potrebbe l’INGV gestire la rete sismica dell’intera nostra penisola senza i 400 e oltre specialisti che da anni la sviluppano e la gestiscono?
– In alternativa: che risparmio ci sarebbe per lo Stato se l’Istituto fosse costretto a bandire centinaia di procedure concorsuali in tutta Italia per ricoprire quelle stesse posizioni (in larga maggioranza dalle stesse persone, data la loro alta specializzazione e esperienza)? e (oltre ai costi) quanti mesi occorrerebbero per un’operazione del genere?
– E infine: che senso ha sottoporre a regole burocratiche pensate per la generalità della pubblica amministrazione proprio l’unico settore pubblico (non se ne vogliano tutti gli onesti statali che non lavorano nell’ambito della ricerca) che sottopone il suo lavoro costantemente alla valutazione (spietata) della comunità internazionale (oltre che quella – seppur barocca e perfettibile – dell’ANVUR)?
basta introdurre il contratto stile inglese, cioè quello a tempo indeterminato con la possibilità di essere licenziato all’istante. Se tuteli tutti fino alla morte (a t. indeterminato), non tuteli gli altri (a t. determinato).
I precarti esistono perchè esistono gli intoccabili, se precarizzi tutti o dai a tutti la possibilità dell’indeterminato ma con licenziamento più facile, sblocchi la situazione.
Se tutti sono precari in questo senso, la banca non può non farti il mutuo, perchè altrimenti non lo farebbe più a nessuno.
In Italia, è il doppio binario che ci frega, soprattutto nella P.A.
Se sei a tempo indeterminato, qualunque cosa tu faccia, lo rimarrai sino alla morte,
Sei sei a tempo determinato puoi anche essere un genio, ma non riuscirai mai ad essere tranquillo.
Non devi stabilizzare, perchè altrimenti il problema è sempre quello,
devi rendere precari tutti, così nessuno tranquillo, tutti tranquilli,
semplice no?
non e’ piu’ semplice pagare di piu’ i precari per legge ? Se sei precario prendi il 20 % in piu’.
Non vedo cosa ci sia di bello i tutti precari.
Guarda, i ricercatori in tutti gli altri paesi del mondo sono precari o licenziabili, peccato che prendono ALMENO il DOPPIO dello stipendio.
Non ho capito perché, oltre a essere sottopagati, a cercarci i finanziamenti per mezzo mondo, lavorare senza limiti né orario, senza straordinario né altro riconoscimento, dobbiamo pure essere precari a vita, senza la possibilità di farsi una vita, una famiglia, una casa…
Semplice, no?
@Paolo Valente, s
sono precarissomo e in scadenza, ma non sono stupido, il sistema del tempo indeterminato fino alla morte e garantititssimo è ottimo e poteva andare bene negli anni 70 e 80, oggi purtroppo no
ovviamente il mio discorso funziona in un contesto dove tutti sono precari, anche il capo, nel senso che nessuno può vivere di rendita. In questo, sistema, si può negoziare lo stipendio, in Italia no, perchè c’è il maledetto contratto cpllettivo nazionale anche per i lavoratori della conoscenza, così tra professori 2 associati, uno può lavorare tantissimo, uno pochissimo, sempre lo stesso prenderanno.
se tutti siamo precari, il precariato è bello! perchè perdo il posto oggi, ma ne ritrovo un altro simile domani (lasciato libero da un altro), un pò come il parcheggio a disco orario
Se stabilizziamo tutti (compreso me precario), ci saranno sempre altri precari a vita, con gli stessi dolori che provo io adesso.
Quindi tu vuoi: si sia tutti “… precari a vita, con gli stessi dolori che provo io adesso.”. Il contratto collettivo serve per evitare che l’amante o la portaborse del capo guadagnino di più. In fin dei conti nel tuo mondo da te auspicato il merito sarà sempre premiato (come gia lo e’) solo che forse verra’ premiato (come ora) un merito diverso da quello da te auspicato.
Non c’è nulla di bello in tutti i precari, ma qualcosa di FAVOLOSO nel rischio di tornare ad essere precario, perchè nel sistema universitario italiano nulla si può fare contro chi non fa il suo lavoro, non c’è licenziamento, né “lettera di richiamo” che abbia degli effetti sostanziali.
Ma vi immaginate cosa succederebbe se avviassero delle procedure di valutazione comparativa per questi 400 precari? Tutto il loro lavoro di anni se ne andrebbe a quel paese e si vedrebbero costretti a subire le logiche accademiche che non dovrebbero esistere per situazioni del genere, e secondo me per nessuna situazione (e qui potremmo aprire tutto un dibattito sul grande capitolo della cooptazione e sulla necessità di una radicale svolta nel sistema di reclutamento in Italia). Ma è possibile che non si voglia capire che molto spesso il ruolo che il precario gioca accanto all’ordinario è quasi sempre frutto di un lavoro decennale, di fatiche condivise, di vittorie nella ricerca, di riflessioni. Se questo vale per la maggior parte dei precari dell’Università italiana (e quando dico precari, dico precari, con pubblicazioni all’attivo, ore di ricerca non pagate, ma fatte per passione, contrattini di insegnamento, etc) e non per i “precarissimi ricercatori” tanto sbandierati negli ultimi tempi, figuriamoci per questi 400!
Il mondo auspicato da me corrisponde al modello UK e US:
1) Se io sono un capo dipartimento e ho bisogno di reclutare una persona con le caratteristiche x, y, z, lo devo verificare io, mani libere e assumo quello che voglio io.
Me ne assumo tutta la responsabilità, valuto il Curriculum e scelgo, ci metto la faccia, giustifico la mia scelta prima e durante l’assunzione. Ho bisogno che òa macchina funzioni, se non ho bisogno di recluare non recluto, me se ho bisogno prendo chi voglio, io, con il rischio reale di essere sputtanato se prendo un imbecille, di non avere più una buona reputazione e di uscire dal giro.
Di conseguenza sono obbligato a prendere il migliore, se no non vinco e se non vinco prima o poi salto in aria anche io, capo dipartimento.
RICORDATE: Il merito non sa in piedi da solo, serve “la paura del fallimento”, altrimenti non sono spinto a prendere i migliori. Siccome nella PA italiana non c’è la paura del fallimento, possono anche prendere cani e porci.
Avete qualcosa da obiettare? Potete confermare quanto ho detto a proposito del funzionamento UK-USA?
GRAZIE!
Dunque, non ci siamo capiti. Questi 400 non sono a tempo determinato perché AL LORO POSTO ci sono altri 400 fannulloni. No. Sono precari perché una burocrazia cieca ha deciso che l’organico dell’INGV non può essere adeguato alle sempre nuove funzioni che un Istituto di servizio, che voglia sorvegliare terremoti e vulcani, deve fare in un Paese con l’assetto geologico dell’Italia e con i ritardi storici dell’Italia.
Poi, trovo affascinante i sistemi UK-US, che lungi dall’essere perfetti, sono interessanti, in ambito accademico per il principio di responsabilità e accountability che sono stati richiamati. Ma mi sembra troppo facile tenere precari quelli che semplicemente sono più deboli per poi NON cambiare affatto il sistema e perpetuare i soliti meccanismi.
Il tutto trascurando l’incomprensibile accanimento con il quale si persegue la precarietà dei ricercatori, pionieri del Brave New World, ma vabbe’.
Altra precisazione: gli universitari NON hanno il contratto collettivo.
Peccato che negli Stati Uniti ed UK esistano i posti “tenuered”. Se fallisco sempre rimango. Mi sai che hai letto troppo favole sul libero mercato efficiente. Il mondo e’ un po’ piu’ complicato di così (anche nel mondo anglosassone).
come già detto, sono precario (assegnista in scadenza tra 2 mesi, con 2 libri, contratti d’insegamento e diversi articoli) con zero prospettive perché gli sttuali RTD sono chiusi ad personam ecc…, dopodichè il nulla…… quindi sono messo malissimo.
Stavo facendo un discorso generale e non applicato ai 400 precari, ai quali (se non altro per situazione comune) sono vicinissimo.
Vorrei solo dare un contributo:
l’art. 97, comma 3, Cost., stabilisce che nella PA si accede per concorso.
Non è semplice cambiare la Costituzione.
Ma nessuna norma di carattere costituzionale mi dice che ci deve essere una commissione e prove scritte ed orali ed il meccanismo che conosciamo (sto parlando della generalità dei concorsi della PA – essendo ora quelli universitari sui titoli e basta).
Di conseguenza, con una legge di rango ordinario, si potrebbe (senza toccare la Costituzone) ricalcare l’esempio di reclutamento stile UK che ho sopra esposto.
Purtroppo, gli universitari hanno il contratto collettivo:
1) gli RU prendono tot. uguale in tutta Italia.
2)gli associati prendono tot. uguale in tutta Italia.
3)gli ordinari prondo tot.uguale in tutta Italia.
Io mi accontenteri anche di 600 euro per un altro anno di assegno di ric., facendo il cameriere la sera, se fosse necessario.
NB: Se vogliamo l’efficienza della PA dobbiamo abbandonare il principio della imparzialità sui concorsi.
Gli stipendi degli universitari sono determinati da un meccanismo di scatti automatici, non dalla contrattazione collettiva, ma va bene, ho capito cosa vuoi dire. Vuoi dire che lo stipendio dovrebbe essere legato al merito, non allo status.
Poiché c’è un’articolazione in tre fasce, mi basterebbe che appunto il reclutamento e i passaggi di carriera fossero legati ESCLUSIVAMENTE al merito. E per fare questo, non serve cambiare né la Costituzione, né le leggi ordinarie, né altro, se non si cambia la moralità e la mentalità.
Tutto questo -ribadito che sono d’accordo con te sui principi della meritocrazia- non mi spiega perché sia bene tenere quei 400 colleghi a tempo determinato, invece che fargli dei bei concorsi (in ossequio al citato art. 97 Cost.) e ancora meno mi spiega -dal momento che i concorsi abbiamo deciso (ha deciso il Governo) che non si possano fare- in cosa ci si guadagni in trasparenza ed efficienza nel non rinnovargli i contratti, per il solo obiettivo di ribadire la primazia della Funzione Pubblica sugli accordi sindacali.
Ma evidentemente sono io che con l’età (e il posto fisso, chissà) mi sono un po’ rimbambito, ci saranno sicuramente degli ottimi motivi…
intendevo dire, stipendi fissi non negoziabili (molte volte negoziare al ribasso è un’opportunità, altrimenti se l’ateneo non arriva a garantirti quella cifra non può essere chimato il concorso).
Allora, che vengano assunti a tempo ind. i 400 precari per sanare la situazione, però poi cambiare le regole rivedendo il funzionamento della PA secondo la ragionevolezza del sistema UK-US.
Lasciare i 400 al meccanismo dei sorteggi per le commissioni nei concorsi di Ricercatore a tempo? lo so che le alternative sono poche, ma anche loro sono tanti e, come indicato, ad ognuno spetterebbe il posto che stanno occupando ormai da tempo…è un loro diritto e sarebbe saggio da parte del sistema accademico. Che poi debbano avere un contratto degno di questo nome e a più lungo termine possibile questo è fuor di dubbio. Per quanto mi riguarda, ci si interrogava sulla opportunità dei meccanismi concorsuali per una ssd delicato come quello dei vulcanologi, tutto qui.
@ anto
E’ difficile discutere con una posizione così generica, ideologica e piena di inesattezze.
Non esiste un sistema UK-US: i due sistemi sono ampiamente divergenti proprio rispetto al ruolo giocato dallo stato ed il modello di cui lei sembra parlare è una caricatura del modello americano.
Dire che i problemi dei vulcanologi di cui sopra o i problemi dell’università italiana dipendono dal non avere un sistema ad alta mobilità come quello americano è totalmente insensato: molti altri paesi, prevalentemente europei, non soffrono affatto di tali problemi ed hanno sistemi a bassissima mobilità (Francia, Germania, ecc.).
La grande dinamicità dei sistemi cui lei fa riferimento è prevalentemente legata alla disponibilità del più grande mercato di academic jobs al mondo: a chi nasce accademicamente nel Commonwealth si apre naturalmente un mercato che va dalla Nuova Zelanda all’Arkansas. Questa dinamicità può essere mimata dagli altri solo nella misura in cui partecipano a QUEL mercato in lingua inglese (provi a concepire un mercato ad alta mobilità tra Slovenia e Portogallo…).
Tra l’altro, come dovrebbe essere noto, ma apparentemente non lo è affatto, i mercati ad alta mobilità sono economicamente efficienti ma anche altamente disfunzionali: mettere su famiglia (e farla funzionare) in un sistema in cui ci si può sradicare e ripiantare più volte è un casino inenarrabile, se si deve pensare a qualcuno di più che a se stesso (ma è evidente che questa prospettiva le è estranea).
Pensare di trapiantare un modello ad alta mobilità, come quello disponibile nel mondo di lingua inglese, in sistemi economici nazionali che non possono giocare con le stesse carte è suicida: non è che trasferendo il modello di reclutamento americano in Italia si trasferiscono automaticamente con ciò 1) le opportunità di lavoro extra-accademico, 2) la mobilità sociale, 3) le dimensioni del mercato, 4) le relazioni territoriali, 5) il rapporto con la propria storia (che è inerzia, ma anche risorsa: v. turismo).
Pensare di rivoluzionare un frammento dell’organizzazione di un paese (il reclutamento e la gestione della ricerca) trasponendo un pezzettino estrapolato da un sistema toto coelo differente è il tipo di astrazione ideologica che ha mietuto più insuccessi di qualunque altra istanza riformatrice nella storia.
P.S.: Se dopo vuol dirmi che, a fronte di certe condizioni di neghittosità da parte di docenti ‘arrivati’ ci dovrebbero essere conseguenze sensibili che rendano quei comportamenti rari o nulli, su ciò ci possiamo trovare d’accordo, ma questa è proprio tutta un’altra cosa.
@Andrea Zhok,
mi fa piacere ricevere risposte, più si dialoga più si cresce,
sto provando a dare un contributo, sforzatevi anche voi, visto che la situazione della PA non è mai stata rosea.
moltissime volte, il sistema di concorso italiano, è, è stato e sarà fonte di CORRUZIONE politica:
ha mai pensato agli enti locali (regione, provincia, comune), a quante volte le prove scritte e orali sono state (avendo SUGGERITO al candidato il titolo del tema prima) usate come merce di scambio (VOTO=POSTO di lavoro).
Pensiamo agli ospedali (competenza delle regioni), ci sono tanti amministarivi inutili ficcati dentro per ordine di partito – e questo vale per le Regioni di sinistra e destra-.
C’è tanto personale amministrativo inutile dentro l’università italiana, messo lì dal rettore, per es., perchè un suo grande elettore lo pretendeva all’interno di un voto di scambio per essere eletto.
La commissione di un concorso pubblico nominata ad hoc o anche onestamente si scioglie dopo un minuto dalla chisura del verbale e basta dire “il tema è fatto bene” (certo l’argomento era stato già suggerito), senza nessuna assunzione di responsabilità rispetto al candidato imbecille scelto.
Ci sono giuristi illustri in Italia (Prof. Pietro Ichino che la pensano esattamente come me, provi ad informarsi)
io sono precario dell’università e purtroppo assisto anche in chiave nazionale a questo scenario, guardando come funziona, e Lei lo vorrebbe negare?
come mi risponde a proposito della situazione dei concorsi negli enti locali sopra menzionati (e relative competenze, tipo sanità)?
Può darsi che io mi sbagli, ma occorre arrivare ad una soluzione? Mi sbaglio anche qui?
Grazie.
@ anto
Guardi, corruzione è per definizione il sostituire una valutazione di contenuto specifico con una valutazione di interesse estrinseco (in termini di potere o denaro). La soluzione mercatista risolve il problema per definizione, perché trasforma d’ufficio tutte le valutazioni di merito in valutazioni in termini economici o di potere. Se faccio pressioni estrinseche su un certo politico commetto qualcosa di riprovevole, se lo ufficializzo american-style e lo chiamo lobbying faccio la stessa cosa, senza poterla più neppure considerare riprovevole. Idealmente (poi la realtà dei sistemi, anche quello USA, è ben più articolata) in un sistema soggetto alla sanzione dei meccanismi di mercato il problema della discrasia tra ‘fare una cosa bene’ e tuttavia ‘non essere riconosciuti’ scompare magicamente, perché che una cosa è fatta bene lo si determina per definizione solo dal fatto che ha ottenuto riconoscimento (i.e. ha avuto successo di mercato, ha ottenuto fondi, ecc.).
NB: quando sistemi di deregolamentazione mercatista sono stati forzati su realtà familistiche, con elevato livello di corruttela endemica, il risultato tipico è stato un devastante peggioramento dell’efficienza del paese: il Sudamerica è stato per decenni laboratorio di queste procedure riformatrici.
Che un problema ci sia e sia ammesso non significa che automaticamente una soluzione rapida sia disponibile. Questo è un atteggiamento soggettivistico, ‘magico’, puro wishful thinking nei confronti della realtà storica. Vuole la soluzione ‘semplice’, soggettivisticamente appagante? Emigri. Vuole la soluzione reale per questo paese? Prima di ogni soluzione istituzionale (e ce ne sono di migliori e di peggiori) si doti di un esigente senso morale (se non ce l’ha già) e lo esiga inderogabilmente dagli altri intorno a sé (senza l’italica propensione agli ammiccamenti nei confronti di quelli furbi). I cambiamenti storici così avvengono e noi di quello abbiamo bisogno: nessun sistema moralmente marcio si mette a funzionare grazie a miracolosi interventi di ingegneria istituzionale. Dopo di che, da questo atteggiamento discendono tante piccole conseguenze, sul piano politico, normativo ed istituzionale. Le commissioni non sono fatalmente corrotte, né lo sono i concorsi pubblici, né le nomine degli enti locali. Ci sono paesi in cui funzionano molto meglio o molto peggio. Ma finché tolleriamo ed abbozziamo con gente che, di fronte a Fiorito che rivendica di non aver fatto nulla di male dicono che, in fondo, è un bravo ragazzo, in fondo, chi non farebbe così, in fondo, erano soldi a disposizione, ecc., finché tolleriamo questa gente e questi ragionamenti non avremo speranze.
PS: lasci perdere Pietro Ichino, che è un esempio della più bell’acqua di accademico impermeabile a tutte le sgradevoli obiezioni provenienti dalla realtà, nel nome di quattro schemini posticci buoni per tutti gli usi.
è bello dialogare con lei,
ma esiste anche la realtà istituzionale, come pure quella legislativa, semplicemente perchè siamo all’interno di un ordinamento giuridico.
Prendiamo, ad esempio, l’elezione diretta del sindaco, cosa impensabile venti cinqe anni fa; certamente ora il sindaco è più responsabiizzato e tende a fare meno sciocchezze di quando non veniva eletto direttamente ma poteva pararsi il sedere dietro decisioni altrui.
prendiamo le cinture di sicurezza e il casco per i motorini: a me sembra di ricordare, ero piccolo, che tanti erano contrari, poi si sono abituati e il casco e le cinture hanno salvato tante vite.
prendiamo il divieto di fumo nei locali e nei treni: qualche anno fa sembrava intollerabile, probizionista, eppure ora ci siamo abituati e ne sentiamo i benefici.
le leggi possono cambiare i comportamenti, tutto è legittimo se è conforme ai valori e ai principi della Costituzione e della corte euroepa dei diritti dell’uomo, se ci sono i criteri ermeneutici della ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza, giustamente cari alle prunuce della nostra Corte costituzionale. Tutto si può fare se a prevalere è il valore-persona, supremo all’interno della gererchia dei valori presenti nel nostro ordinamento giuridico.
Ora lei mi dirà che i miei ragionamenti sono inutili…….
Figuriamoci se le dico che questi sono ragionamenti inutili! Tutt’altro, sono importantissimi. Ma, appunto, lei fa l’esempio del casco in moto. Si chieda perché a Napoli questa norma nazionale non vale (come molte altre). Le norme sono implementate dalle persone.
Peraltro non ci sono dubbi che ci sono sistemi normativi che facilitano l’adozione di comportamenti virtuosi ed altre che non lo fanno.
E’ chiaro che fino a quando in Italia quelli che vengono chiamati in America i ‘white collar crimes’, i crimini ‘per bene’ (dalla diffamazione a mezzo stampa tipo Sallusti all’evasione fiscale totale) vengono trattati come cose, magari riprovevoli, ma non davvero gravi, per cui parlare di carcere è anatema, fino ad allora non è che si mandi un messaggio morale particolarmente chiaro al paese. Gli anglosassoni hanno sì una moralità che il protestantesimo ha scolpito in modo più esigente, ma hanno anche (in effetti, di conseguenza) un sistema normativo che di fronte a certi crimini è assolutamente draconiano. Noi in Italia travestiamo da buonismo quello che in effetti è l’arte di dare addosso ai deboli e trattare con i guanti i forti. E ciò è un vizio morale e si chiama vigliaccheria opportunista.
Quanto a concorsi e commissioni, cominciare con il rendere tecnicamente impossibile lo scambio di favori (con sorteggi veri) e responsabilizzare i giudizi individuali dei membri rendendoli pubblici sarebbe un primo passo, un passo così semplice che non l’hanno mai tentato, preferendo sbambare sui massimi sistemi.
ovviamente il mio ultimo intervento è
@Andrea Zhok
@Andrea Zhok,
concordo,
soprattutto con l’ultima frase,
stiamo diventando amici….al prossimo post.
Se tutti i commissari si mettono d’accordo PRIMA delle prove e quindi i vincitori sono predeterminati (anche quando la commissione era stata cambiata per sorteggio), sicché non serve proprio a niente fare le prove meglio degli altri, mi spiegate come si fa a cambiare tutto questo? Sul verbale le prove migliori risultano sempre quelle del vincitore. Non ci sono riforme che tengano a questa mancanza di etica elementare.
@ indrani etc.
Non troppo difficile. Il punto è capire quali sono le motivazioni a sostenere certi candidati, ed operare in modo da impedire le motivazioni improprie.
Se la commissione è realmente sorteggiata è improbabile che chi è in commissione sia proprio chi ha interesse diretto a sostenere chi è candidato (in molti casi si può congegnare la cosa in modo da escluderlo con certezza). Ciò che accade finora è che ci si può accordare prima, sapendo che poi il favore verrà reso. Ma se si ha la garanzia che anche le commissioni successive saranno realmente sorteggiate (senza preselezioni ad hoc), allora nessuno può garantirsi che il favore ad X verrà reso in futuro da X.
Questo, beninteso, non può eliminare i casi in cui c’è un consenso diffuso tra gli appartenenti ad un settore sull’opportunità di promuovere un certo candidato, ma, invero, questo caso rientra perfettamente in ciò che è legittimo si faccia: se qualcuno è considerato generalmente un buon candidato non c’è nulla di particolarmente sbagliato nel supporre in anticipo che è lui che sarà scelto. Ciò che è importante salti sono gli accordi bilaterali ad hoc, i do ut des che esulano dal consenso generale.
Il lato della cura della commissione, peraltro, è solo uno dei lati su cui bisognerebbe lavorare. Un altro sarebbe sicuramente quello di stimolare buoni reclutamenti con valutazioni ex post della produzione scientifica e dell’attività didattica (seguiti da finanziamenti premiali o non). Questo è in parte già incluso nella legge 240, ma, come sempre, bisogna star a vedere come verrà implementato (e se le valutazioni ex post le fa l’Anvur con le medesime capacità finora dimostrate, stiamo freschi).