Segnaliamo ai lettori la bozza del decreto relativo all’FFO 2014. Da notare che mancano ancora i previsti pareri e che non è ancora stato reso pubblico l’algoritmo relativo al costo standard per studente.

 

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Un ringraziamento a Io Non Faccio Niente (INFN)

 

 

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13 Commenti

    • Dalla pagina 6 si deduce che i costi a regime del consolidamento del piano 2011-2013 sono di 171.748.716 e non 173.000.000 come ho erroneamente scritto sopra (quelli sono i costi a regime del consolidamento dello stanziamento di quest’anno per il piano straordinario); resta però il fatto che nel totale del FFO (7.010.580.532 euro) sono compresi (p. 1) 500.000.000 legati al finanziamento del piano straordinario. Verranno usati per altro?

    • E’ scritto male, ma mi sembra di capire: 500M sono lo stanziamento della legge di stabilita’ 2011 VIRGOLA di cui 173M per il piano straordinario… e i restanti per altro.

  1. Il pezzo forte di questo D.M. è il debutto del temuto “Costo standard unitario di formazione per studente in corso”, che a regime determinerà gran parte dell’assegnazione del FFO e potrebbe radicalmente cambiare l’entità del finanziamento per un ateneo rispetto al modello precedente.

    E’ comunque interessante notare che il D.M. firmato dal Ministro Giannini ESCLUDE l’applicazione di questo nuovo strumento proprio all’ateneo di cui l’attuale Ministro era rettore.

    Nelle premesse del D.M. è infatti scritto:

    “tenendo conto delle specificità delle attività didattiche e di ricerca delle Università, il costo standard unitario di formazione per studente in corso rappresenta un parametro non utilizzabile per le Istituzioni ad ordinamento speciale, per l’Università degli Studi di Roma “Foro Italico” e per le Università per stranieri di Siena e di Perugia”

  2. Sono d’accordo con Beniamino Cappelletti Montano. La vera novità è il debutto del “Costo standard unitario di formazione per studente in corso” che attualmente vale il 20% del finanziamento quota base FFO. Sembra che nel prossimo futuro tale percentuale si incrementerà notevolmente e naturalmente saranno penalizzate le Università con un maggior numero di studente fuori corso. La percentuale degli studenti fuori corso è sicuramente un valore legato al contesto sociale ed economico in cui opera l’Università. Se questo è vero, si conferma la cultura del “reverse Robin Hood”: si penalizzano le aree socialmente, economicamente e culturalmente più depresse per favorire le aree più ricche.

    • Di questo passo, si arriverà alla logica del “tutti promossi”. Studenti tutti laureati in corso e nessuna critica ai docenti (quindi la qualità della didattica misurata con i demagogici questionari si impenna). L’alternativa sarebbe buttare fuori dall’Università chi è fuori corso da oltre X anni, ad esempio X=3 come mi pare sia in Germania.

    • Proiettando il principio del “tutti promossi” sullo sfondo dei criteri di valutazione dell’ANVUR e sulle attuali politiche dei tagli, si direbbe che, nelle intenzioni del governo, l’università italiana dovrebbe diventare un sistema dotato di poche risorse, con un numero ristretto di docenti, bibliometricamente “eccellenti” e mal pagati, adibiti al compito di far laureare masse di studenti “asini”. Però …

    • @hikikomori, pur sforzandomi, davvero non riesco a non essere d’accordo sullo scenario prospettato…;-)
      l’unico dubbio che ho, è relativo al fatto se la cosa sia intenzionale o meno…

  3. Se la tendenza è questa occorre trovare strumenti che evitino la formazione dei fuori corso, ad eccezione del rigore nelle valutazioni.
    Io insegno a Giurisprudenza, in una privata, e ieri avevo 52 iscritti all’esame, se ne sono presentati 23 e l’hanno superato in 14; di questi circa la metà ha avuto tra il 18 e il 21 e la differenza con i respinti era minima. Lo scorso lunedì ero ad assistere ad esami in una statale e la situazione è analoga.
    Molti sono i fuori corso, che frequentano l’Università convinti che l’occupazione degli spazi dia diritto alla promozione, che ripetere un esame tre/quattro volte sia una nota di merito per conquistare almeno un “diciottino”. Cosa fare? Io non cambierò mai il mio standard di valutazione. Semmai si può ragionare sull’organizzazione diversa degli esami, sull’introduzione di prove intermedie e, aspetto per me cruciale, sulla riduzione degli appelli: uno a fine corso e uno per i “ripetenti” come avviene all’estero senza fuori corso!), impedendo l’accesso agli anni successivi senza aver sostenuto gli esami (tutti) degli anni precedenti. Avere 7/8 appelli per anno è controproducente, non costringe alla programmazione e, anzi, agevola la dispersione.

  4. Inevitabilmente si e’ aperta la discussione “fuori corso”, razza di studente universitario molto diffusa praticametne solo in Italia.
    Una proposta seria e’ gia’ stata fatta e bisogna implementarla bene: introdurre lo studente part-time.
    Ad esempio e’ impensabile pensare che uno studente “lavoratore” possa mantenere i ritmi di uno studente “a tempo pieno”.
    Detto questo, concordo perche’ lo ripeto da sempre, 7 appelli/anno sono una esagerazione. Favoriscono il “provare” (odio quando gli studenti usano questo verbo come sinonimo di “sostenere” un esame).
    Il principio e’ semplice: se io assegno un lavoro da fare in 3 anni, se uno lo fa benissimo ma dopo 6 anni che senso ha? Quanto vale un 110 ottenuto in 3 anni rispetto allo stesso voto ottenuto in 10 anni?
    Poi ci meravigliamo che l’Italia e’ il paese dei ritardi, iniziamo ad insegnare ai nostri studenti a rispettare i tempi!
    Per i “full-time” prove intermedie di verifica durante il corso, esame “finale” ed un esame di “riparazione” a settembre. Per i part-time potrebbe essere utile prevedere anche una o due appelli aggiuntivi.

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