Aumento dell’ignoranza – come sostiene Paola Mastrocola su La Stampa – o ritorno alla severità? Difficile dare un’interpretazione affidabile dei risultati della maturità. Un dato numerico che non è accompagnato da una ricostruzione dei fattori che possono spiegarlo non è sufficiente per stabilire che c’è una tendenza in un senso o nell’altro. Le polemiche che hanno seguito la pubblicazione dei risultati del baccalaureato francese di quest’anno sono in tal senso significative: un aumento dei promossi può essere in parte il risultato di una modifica nel modo di aggregare i dati piuttosto che un segnale del livello di preparazione degli studenti. Inoltre, l’aumento dei bocciati nel nostro paese non è tale da far supporre che ci sia stato un cambiamento duraturo negli atteggiamenti dei docenti. Tuttavia, pur con le dovute cautele, qualche osservazione su ciò che sta succedendo nelle nostre scuole possiamo farla, partendo dalle reazioni e dai commenti. Da un lato c’è chi vorrebbe accreditare questi risultati come la conferma dell’effetto benefico degli interventi voluti dal ministro della Pubblica Istruzione. La stessa Maria Stella Gelmini ha salutato l’aumento delle bocciature parlando di “un ritorno del merito”. Dall’altro c’è chi se la prende con i limiti della scuola o con quelli dei metodi di valutazione impiegati agli esami. Si afferma – lo ha fatto Eraldo Affinati su Il Corriere della sera – che per giovani abituati a ragionare in modo “associativo” piuttosto che “deduttivo” il sistema di giudizio adottato non sia adeguato. Forse la realtà sta nel mezzo. Difficile immaginare che gli interventi del ministro Gelmini abbiano provocato in così poco tempo effetti significativi. Anche perché stiamo parlando in molti  casi di provvedimenti soprattutto di carattere simbolico. C’è una certa ingenuità – o forse il desiderio di segnare un punto nella battaglia per i titoli dei giornali – nell’affermazione che docenti demoralizzati e pagati male abbiano improvvisamente un sussulto di orgoglio solo perché il ministro competente annuncia qualche cambiamento nel modo in cui funzionano le scuole in cui essi lavorano. Anche perché molti di questi insegnanti sono abituati alle svolte annunciate e non realizzate e al passaggio dei ministri senza che la situazione della scuola migliori. Solo una fiducia smodata nel potere taumaturgico della leadership di Silvio Berlusconi può far credere che tutto cambi solo perché lo desideriamo. Ciò non vuol dire che abbiano ragione quelli che interpretano i dati come la conseguenza di interventi che stanno peggiorando la scuola. Da questo punto di vista il commento di Paola Mastrocola contiene uno spunto interessante. Non si può escludere, infatti, che ciò a cui stiamo assistendo è la conseguenza di una consapevolezza maturata negli ultimi anni, quando molti insegnanti – e forse anche alcuni genitori – si sono resi conto che la scuola italiana era ormai vicina al punto di non ritorno. Prossima a lasciar andare nel mondo, senza averle formate, persone che ragionano solo per analogia, cioè non ragionano affatto. Fanciulli che hanno un’opinione su tutto, e ne sono soddisfatti, soltanto perché hanno visto un film di cui non ricordano il titolo, o scorso una pagina web. Chi insegna nelle nostre università conosce bene questo fenomeno, che un ingenuo entusiasmo per la tecnologia e per l’attualità ha alimentato oltre ogni limite ragionevole: “l’ho trovato su internet” è la frase che giustifica qualsiasi scemenza detta da aspiranti Peter Pan cui a scuola nessuno ha spiegato che la grande maggioranza delle risorse culturali di qualità disponibili sul web non sono accessibili dal proprio account personale, e spesso comunque non lo sono se non a pagamento. Hitler e Bush, le crociate e il nazismo, tutto si assomiglia e infine si confonde per una generazione cui si è lasciato credere che la velocità è l’unica cosa che conta. Che non c’è mai bisogno di rileggere o di fermarsi a riflettere.

Pubblicato su Il Riformista il 15 luglio 2009

 

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