(articolo originariamente apparso su UniNews24)

È stato pubblicato pochi giorni fa il QS Best Student Cities Ranking, il cui scopo è mettere in fila le 50 migliori città in cui frequentare un’università.

A redigerlo è la Quacquarelli-Symonds (QS), è la stessa agenzia privata che produce ogni anno i World University Ranking, che ambisce a ordinare dal “migliore” al “meno migliore” i 1000 atenei “migliori” al mondo (e da cui di fatto la classifica delle città dipende fortemente, come vedremo a breve). Nella classifica delle città Milano si piazza 24°, mentre Roma non entra tra le classificate per poche posizioni. Parigi è in testa; segue a breve distanza Londra (la città dove ha sede la QS). Prima di rallegrarsi (o disperarsi, a scelta) per questo piazzamento, è opportuno capire com’è stata redatta la classifica.

Com’è fatta la classifica – Innanzitutto, QS applica un filtro alle città da valutare: sono prese in considerazione solo i centri urbani con più di 250.000 abitanti e con almeno due università presenti nella classifica QS World University Rankings, per un totale di 98 città in tutto il mondo. Il punteggio poi è calcolato sulla base della media di 5 categorie, ognuna a sua volta scomponibile in diversi indicatori, ognuno dei quali deriva dal piazzamento della città entro una sotto-classifica.

La prima categoria è interamente basata sul numero e sulla performance degli atenei cittadini nel World University Ranking di QS. Questi perciò appare dunque due volte: la prima in funzione di filtro per le città, la seconda come determinante di un 20% del punteggio. Milano totalizza un magro 55/100 in questa voce, ma è risaputo che le performance degli atenei italiani nel QS World Ranking stanno a galla in virtù di una buona produttività scientifica, mentre sono penalizzate da un livello basso di investimenti se comparati alle loro controparti nei paesi più avanzati.

Interessante il secondo indicatore, di carattere demografico, che prende in considerazione il rapporto studenti/abitanti e (soprattutto) la presenza di studenti stranieri. Milano totalizza qui un dignitoso 67/100, ovviamente svantaggiata rispetto alle città anglofone.

Terza categoria è la qualità della vita, basata interamente sulle posizioni reciproche in due classifiche sulla qualità della vita redatte da altre agenzie, in cui la capitale lombarda totalizza 70 punti.

La categoria in cui spicca è però quella relativa alla valutazione che i datori di lavoro nazionali e (soprattutto) internazionali offrono della preparazione dei laureati. Secondo i sondaggi di QS, i laureati in (almeno una delle università di) Milano sono tra i più desiderabili da assumere: stando a questo dato la città sarebbe, al pari con Hong Kong, seconda solo a Singapore nell’appetibilità.

L’ultimo indicatore vuole fornire una misura della sostenibilità: prende in considerazione il costo delle tasse studentesche ed altre classifiche redatte da terzi che misurano il costo della vita. Milano si piazza quasi a metà, 59/100.

Qualche perplessità – laddove raccoglie direttamente dei dati, QS accenna i criteri che impiega, ma non li descrive nel dettaglio. Non sappiamo per esempio come sia stato calcolato l’indicatore delle tasse studentesche: tiene conto di tutte le università in città o solo delle migliori? Compara l’ammontare delle tasse in valore assoluto (che comunque oscilla al variare del cambio) oppure prende in considerazione, per esempio, fattori come il potere d’acquisto nei diversi Paesi (e città)? Tiene conto della progressività delle tasse e di eventuali servizi di welfare studentesco? E nel calcolare il punteggio della reputazione presso i datori di lavoro, in cui Milano eccelle, chi sono questi datori di lavoro? Riconoscono come eccellenti i laureati di Bicocca alla stessa stregua di quelli della Bocconi oppure sono ex i classici manager bocconiani che si limitano a parlar bene della loro Alma Mater? QS non offre risposte a simili domande.

Per la maggior parte però i punteggi non si basano su dati diretti, ma poggiano su altre classifiche. Ciò significa che la classifica complessiva soffrirà dei bias, delle limitazioni e delle criticità delle classifiche su cui si fonda, perché ogni classifica deve “costringere” la complessità del reale in una scomoda scala monodirezionale secondo giudizi di valore sempre questionabili (per uno studente molto ricco sarà ben poco rilevante il parametro della sostenibilità, mentre per uno in ristrettezze economiche lo è eccome). Vista la perplessità che il mondo accademico ha sovente espresso un argomentato scetticismo verso le classifiche come il QS World University Ranking (si veda per esempio Malata e denigrata. L’università italiana a confronto con l’Europa, a cura di Mario Regini, Donzelli 2009), una “classifica di classifiche” come questa merita di essere interpretata con ancora maggiore cautela: va bene come argomento di conversazione da bar o per riempire le pagine di qualche quotidiano, ma si sconsiglia di prenderla troppo sul serio a chi dovesse decidere dove studiare l’anno venturo.

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1 commento

  1. Cari amici, è tutto bellissimo, ma ormai viviamo di numeri e di statistiche, più o meno astruse e più o meno basate su astruserie incontrollabili e del tutto …soggettive. Il triplo salto mortale all’indietro senza rete: le statistiche ricavate dalle statistiche, oplà.
    Ormai, siamo al conto del pollame consumato da ciascuno di noi.
    E, immancabilmente, scopriremo che a Milano si sta meglio che a Catanzaro o Napoli, ecc. Anzi anche che i laureati di Milano sono più “appetibili” di altri: come del resto anche i panini e il risotto, un po’ meno il clima, ma sul parcheggio stracciano tutti.
    Meraviglioso, ma c’è qualcuno (non dico la Ministra, che ha dimostrato di non averne voglia, ma qualcuno, chiunque) che abbia voglia di parlare di cultura, di scienza, di strutture per…, di per cosa, di burocrazia?
    Mi fermo qui, scusate, se no perdo il treno per l’appetitosa Milano.

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