Quando si parla di informatica, tutti pensano di esserne esperti e poter quindi esprimere giudizi appropriati. Magari animati da ottime intenzioni, come capita a Giovanni Salmeri, professore associato di Storia del Pensiero Teologico, nel settore M-FIL/03 (Filosofia morale), che, con l’obiettivo di spezzare una lancia in favore dell’insegnamento nella scuola dell’informatica («disciplina seria, bella, matura», apprezzamento per cui lo ringrazio), si avventura in valutazioni un po’ arrischiate.  Traspare chiaramente che a lui il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) del MIUR non piace. Andrebbe almeno riconosciuto al PNSD il merito di aver messo in moto un processo di rinnovamento che nella scuola italiana era colpevolmente in ritardo da troppi anni. L’uso nel PNSD del termine ‘pensiero computazionale’, del quale chi scrive è stato uno dei tanti ispiratori, ha uno scopo strumentale. Far capire che si parla di scienza e non di tecnologia né di strumenti. L’obiettivo della nostra comunità di scienziati e ricercatori è che finalmente anche in Italia vi sia nella scuola una formazione adeguata sull’informatica, sulla scia di quanto proposto in UK dalla Royal Society e in Francia dall’Académie des Sciences.

Quando si parla di informatica, sarà perché le tecnologie sono ormai dovunque nella nostra vita, ma è evidente che tutti pensano di esserne esperti e poter quindi esprimere giudizi appropriati.

Magari animati da ottime intenzioni, come capita a Giovanni Salmeri, professore associato di Storia del Pensiero Teologico, nel settore M-FIL/03 (Filosofia morale), che, con l’obiettivo di spezzare una lancia in favore dell’insegnamento nella scuola dell’informatica («disciplina seria, bella, matura», apprezzamento per cui lo ringrazio), si avventura in valutazioni un po’ arrischiate.

Chiarisco subito che ammiro molto i filosofi, per la loro capacità di spaziare in qualunque settore disciplinare, forti dei loro strumenti di analisi. Però ritengo che anche un filosofo, prima di esprimere una posizione su un tema al di fuori del suo settore di studio, dovrebbe capire cosa c’è dietro documenti pubblici e tendenze in atto.

Il prof. Salmeri ha criticato su ROARS il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) del MIUR e l’uso che in esso si fa del termine ‘pensiero computazionale’. Traspare chiaramente che a lui il PNSD non piace. Posizione rispettabilissima, anche se potremmo obiettare che “dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” e, quindi, andrebbe almeno riconosciuto al PNSD il merito di aver messo in moto un processo di rinnovamento che nella scuola italiana era colpevolmente in ritardo da troppi anni.

Comunque, si tratta di un punto di vista personale su un tema generale attinente al sistema scolastico italiano che ritengo corretto uno possa esprimere, se ne è convinto, anche se magari partire da una disamina della situazione precedente potrebbe produrre delle analisi più efficaci.

Ciò su cui l’articolo del prof. Salmeri manca completamente il bersaglio sono le sue riflessioni sull’espressione “pensiero computazionale”. Più o meno alla decima riga dell’introduzione, a proposito del termine compare questa affermazione: «Quella che era annunciata come una possibile svolta epocale dopo appena qualche anno si è esaurita in pochi articoli ripetitivi e a volte francamente imbarazzanti». Non sappiamo dove il prof. Salmeri abbia letto che enunciare il termine ‘pensiero computazionale’ doveva essere una «possibile svolta epocale». Posso abbastanza ragionevolmente assicurare che probabilmente nessuno dei circa 1.600 professori di informatica (INF-01) e ingegneria informatica (ING-INF/05) pensava questo. Sono ingegnere e sono stato presidente del settore INF-01 per cinque anni e quindi una o due cose di quello che pensano i miei colleghi sull’informatica magari la conosco.

Emerge anche nell’articolo un’interpretazione che vede nella sponsorizzazione della multinazionale un tentativo di manipolare la scienza. Io sono un po’ più laico su questo aspetto, perché è un dato di fatto che l’offerta di posti di lavoro in ambito informatico è grande e quindi avvicinare un po’ di studenti ad un’informatica “vera”, non quella degli strumenti e dei videogiochi, non può che far loro del bene. Invece che consumatori passivi potranno essere protagonisti attivi di un società digitale che è già tra noi.

Più avanti nell’articolo si dice «Il problema è invece con la prima espressione: ‘pensiero computazionale’. Di che si tratta? e perché proporlo come alternativa all’informatica?» Chi abbia sostenuto che è un’alternativa all’informatica non è dato saperlo. Certamente questo non è nel PNSD, né è una posizione della comunità informatica italiana. Una ricerca con Google su “pensiero computazionale” e “informatica” evidenzia tra le prime posizioni i miei articoli in cui spiego la relazione tra i due termini, chiarendo che con “pensiero computazionale” intendiamo denotare gli aspetti culturali e scientifici dell’informatica.

Si prosegue affermando «la proposta di Jeannette Wing aveva alcuni punti deboli fatali», che vengono poi identificati nella mancanza di produzione scientifica sul tema: «pochi articoli francamente imbarazzanti». Beh, un minimo di indagine avrebbe evidenziato che del termine se ne parla e se ne discute nei convegni scientifici che, in tutto il mondo, si occupano di formazione informatica nella scuola. La sola Digital Library dell’ACM riporta più di 400 articoli pubblicati su riviste ed atti di convegni. Per carità, concordiamo che in tema ci sono ancora punti di vista differenti, ma è il normale modo di procedere di ogni scienza.

Il prof. Salmeri conclude dicendo che invece nel PNSD «non esiste il minimo accenno all’insegnamento di un linguaggio di programmazione, cioè a quanto in tutte le Università del mondo è oggetto del cosiddetto corso CS/1 (vale a dire il primo in Computer Science)». Penso non ignori che, anche se in tutte le università del mondo al primo anno dei corsi di laurea in matematica si insegna Analisi Matematica 1, i programmi di matematica della scuola sono un po’ più elementari!

Ecco, se io commentassi un documento sulla filosofia, probabilmente incorrerei nelle stesse imprecisioni.

Dovrebbe essere noto a tutti che quando si parla di informatica, soprattutto in Italia, si può intendere sia lo strumento che la tecnologia che la disciplina scientifica. Si tratta di una maledizione che forse solo l’informatica, tra le scienze, ha. È chiarissima a tutti la differenza tra un medico ed un infermiere, tra un ingegnere ed un meccanico, tutti mestieri ugualmente nobili e rispettabili, ma nei quali i diversi termini denotano diverse competenze. Nell’informatica, purtroppo sono informatici sia Dijkstra che Knuth che Cerf che Gates che Zuckerberg che chi gestisce l’aggiornamento del sistema operativo o della configurazione di rete.

Quindi, l’uso nel PNSD del termine ‘pensiero computazionale’, del quale chi scrive è stato uno dei tanti ispiratori, ha uno scopo strumentale. Far capire che si parla di scienza e non di tecnologia né di strumenti. L’obiettivo della nostra comunità di scienziati e ricercatori è che finalmente anche in Italia vi sia nella scuola una formazione adeguata sull’informatica, sulla scia di quanto proposto in UK dalla Royal Society e in Francia dall’Académie des Sciences.

Io personalmente, e certamente molti altri dei miei colleghi, siamo disponibili ed aperti al dialogo interdisciplinare, soprattutto con i filosofi, integrando le reciproche competenze. Tra l’altro, con il prof. Salmeri siamo anche colleghi di Ateneo, ed instaurare un dialogo costruttivo dovrebbe quindi essere più agevole.

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10 Commenti

  1. Illustre Prof. Nardelli, mi spiace, ma non condivido affatto le critiche che ha mosso al Prof. Salmeri. Sono anch’io un docente di Ingegneria, ma, mi scusi, sto interamente dalla parte del docente di filosofia. Il Prof. Salmeri, a mio modestissimo giudizio, non ha parlato di informatica – come il titolo del Suo intervento lascia pensare – ma ha mosso una serie di critiche al PNSD. Anch’io, dopo il Suo intervento, mi sono preso la briga di leggere il PNSD: è un documento superficiale, scritto male, senza contenuti. In una sola parola: INUTILE. E questa mia valutazione, come quella del Prof. Salmeri, ha poco o nulla a che vedere con l’informatica. Quanto poi alla specifica questione relativa al pensiero computazionale, leggo tra i molti giudizi negativi:

    “L’idea che sta alla base dell’educazione al pensiero computazionale è che insegnare a ragionare come fa il computer è cosa buona e giusta. Il bambino che ha imparato avrà strumenti che lo renderanno un adulto migliore, capace di cavarsela nella vita con maggiore tranquillità rispetto a chi di coding è rimasto a digiuno. Tale ipotesi, non solo non ha alcun fondamento scientifico, ma è assolutamente fuorviante.”

    Dunque, il Prof. Salmeri espone delle riserve sul pensiero computazionale che non sono affatto campate in aria. E, a mio avviso, sarebbe stato sufficiente un solo dubbio, una sola riserva, perché il concetto venisse tassativamente escluso da un documento di indirizzo come il PNSD. In un documento come il PNDS – e non potrebbe essere altrimenti – devono convergere principi e concetti maturi, sedimentati, dimostrati. Non si può giocare con la scuola, mi dispiace. Del resto è Lei stesso a riconoscere “Per carità, concordiamo che in tema ci sono ancora punti di vista differenti, ma è il normale modo di procedere di ogni scienza.”. Ebbene se ci sono punti di vista differenti su di un modello di insegnamento, questo non può essere adottato in un PNSD. Solo i concetti maturi e riconosciuti possono avere spazio in un documento come questo. Non si scherza con il fuoco.
    Ma allora, non è per caso (ma sono assolutamente certo che non lo sia) che il suo intervento possa essere annoverato tra quelli (molto italici) che vengono fatti ogni volta che a parere di colui che interviene sia stato invaso il suo orticello disciplinare?

  2. Gentile “andreot”, la ringrazio delle sue osservazioni.

    Osservo che non ho criticato il giudizio negativo di Salmeri sul PNSD, che rispetto. Ho solo osservato che forse poteva essere opportuno confrontare quello che il PNSD ha smosso nella scuola in termini di formazione sulle tecnologie digitali con quello che non è stato fatto in tanti anni precedenti.

    Ho invece criticato alcuni giudizi di Salmeri sul termine pensiero computazionale che mi sembra derivino da una sua non approfondita conoscenza dell’informatica. E per ognuno di essi ho spiegato quali sono gli elementi che sono in contrasto con i giudizi stessi.

    Ho inoltre chiarito il valore strategico e comunicativo dell’uso di questo termine nel PNSD. Anche su quest’uso si può essere in disaccordo, però ritengo sia stata una scelta giusta, dati gli spazi di manovra. D’altro canto, da esperto della materia penso di avere il diritto di decidere la migliore strategia per il suo sviluppo.

    Infine, non so dove abbia letto “L’idea che sta alla base dell’educazione al pensiero computazionale è che insegnare a ragionare come fa il computer è cosa buona e giusta“. È un punto di vista scorretto, che ho criticato qui, ad esempio.

    Per il resto sono aperto al dialogo e disponibilie a collaborare a chiunque voglia sviluppare un’interazione costruttiva.

  3. Il pensiero computazionale richiede la capacità di concepire una formulazione ricorsiva della soluzione a un problema. La presenza di una ricorsione (o di un ciclo iterativo) è determinante per distinguere un procedimento computazionale da una semplice sequenza di passi.
    È una abilità per niente ovvia e naturale, che richiede preparazione ed esercizio.
    Tecnicamente ricorsione (o equivalentemente l’iterazione per il teorema Boehm-Jacopini https://en.wikipedia.org/wiki/Structured_program_theorem) è la caratteristica che distingue i linguaggi Turing completi.

    • Mi pare di cogliere dalla sua frase che lei reputa necessaria “la capacità di concepire una formulazione ricorsiva della soluzione ad un problema”.

      Al di là della mia opinione circa la grande dose di soggettività da lei versata nella definizione che riporta, non vedo che utilità abbia insegnare la capacità suddetta prima dell’università.

      Se invece cadesse la necessità che ha indicato e si potesse quindi ipotizzare una definizione più generica, che io soggettivamente potrei descrivere come legata alla capacità di identificare un algoritmo risolvente un problema, algoritmo non necessariamente ricorsivo, allora la domanda che per me non si può evitare (e che invece non vedo mai posta) è: a quali argomenti si deve rinunciare per lasciare spazio al pensiero computazionale?

      Come dicevo anche nell’intervento di Salmeri, siamo freschi di aggiunta della analisi infinitesimale al programma di matematica del liceo classico, a parità di ore. I risultati li ho visti bene, sia pratici che immateriali.

      Prima di qualunque altro cambio vorrei soppesare con calma e votare senza rappresentanti.

  4. Gentile prof. Nardelli,

    mi sento anch’io di dissentire dai modi e dai contenuti
    della sua risposta, a partire dal titolo molto indicativo dell’atteggiamento intelletuale

    ci mancherebbe che un filosofo non potesse parlare di informatica, e’ facile stroncare le critiche dicendo
    che di certe cose parlino a ragion veduta solo gli esperti, perche’ gli altri “si avventurano in valutazioni un po’ arrischiate”

    a maggior ragione quando si parla di informatica, che e’ socialmente pervasiva, se lasciassimo la gestione dell’informatica ai soli informatici saremmo su una strada molto pericolosa (a mio modesto avviso)

    sono un docente universitario di matematica (computazionale), ho figli a scuola tra l’altro, e devo dire che condivido pienamente le perplessita’ e le preoccupazioni sollevate dal collega docente di filosofia

    mi perdoni poi, ma “dati gli spazi di manovra” non puo’ che preoccupare ulteriormente, sulle riforme in atto nella scuola e’ necessaria, a mio avviso, non un’accelerazione bensi’ un periodo di seria e
    prolungata riflessione, con il contributo di addetti ai lavori e non (sperabilmente anche o soprattutto fuori da commissioni e tavoli di lavoro governativi, almeno
    in una fase iniziale)

  5. Pienamente d’accordo con il Professor Nardelli, che come ha spiegato non intendeva entrare nel merito del PNSD; bensì metterci in guardia da inefficaci ideologismi (pur mossi dalle migliori intenzioni: le quali però, come ben noto, lastricano la strada per l’inferno).

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