Non so se la ministra Bernini si sia accorta che quest’anno tanti giovani, già da tempo orfani delle lucciole, si sono persi la notte prima degli esami. Si tratta degli aspiranti medici. Nel silenzio generale, nelle scorse settimane (13-22 aprile e 15-25 luglio), si sono aperte e chiuse due finestre dei test d’accesso alle facoltà di Medicina. Per la prima volta, dunque, ad una sessione estiva se ne è aggiunta una primaverile e il candidato può cimentarsi in entrambe le occasioni, valendosi poi del punteggio più alto conseguito. Inoltre, sempre per la prima volta, la prova estiva è stata arretrata da settembre a luglio.
Non sfuggirà, quindi, che questi test abbiano interferito con il percorso svolto dal ragazzo per sostenere l’esame di maturità. In particolare la seconda finestra, dal 15 al 25 luglio, avrebbe potuto, in linea teorica, in qualche pur rarissimo caso, persino sovrapporsi alla prova che corona tutta la carriera scolastica. Ma al di là delle date, per tutti si è trattato di preparare l’esame di maturità e, insieme, il test di Medicina. So per certo che un responsabile di una delle più accreditate scuole di preparazione al test ha dichiarato, a un genitore preoccupato per la sovrapposizione, che questa non doveva essere vissuta come un problema, dato che “il voto della maturità non è importante per entrare a Medicina”. Le scuole per prepararsi ai test, infatti, non hanno a che fare con la paideia in cui fiorisce l’adolescenza dei giovani liceali o degli altri istituti superiori. L’esame di maturità ne costituisce un momento rituale di passaggio come ce ne sono pochi ormai. Tutto affatto diverso è il gran gioco prestazionale (e casuale) del testing. Per superare i test bisogna imparare a ottenere il risultato e non ad acquisire strumenti e facoltà, allenando e sviluppando potenzialità e talenti. La sovrapposizione delle date dei test di medicina 2023 è passato quindi come un carrarmato sul momento culminante della formazione dei diciottenni.
Questa nuova modalità stende peraltro un’ombra inquietante sul futuro più generale dell’Università italiana. I rappresentanti degli studenti stanno fornendo forse il massimo esempio di retorica civile dell’Italia contemporanea nelle inaugurazioni degli anni accademici (Normale di Pisa, Siena, Ferrara, Padova, Salento etc..), segnalando, fra le altre cose, l’aumento del numero di suicidi fra gli universitari, pressati da un sistema sempre più ispirato all’efficientismo performativo e meritocratico, in un contesto in cui vanno diminuendo le risorse pubbliche e private, utili per consentire ai più di correre come ingiunto dal sistema. Si sta iniziando, cioè, a percepire il contagio di quei modelli, come l’americano, il brasiliano, il sudcoreano, che stanno persino ispirando fiction distopiche disponibili su Netflix (Tre per cento, Squid game etc..). In Sudcorea, qualche anno fa, hanno dovuto imporre una legge coprifuoco per impedire alle scuole di preparazione ai test di rimanere aperte dopo le dieci di sera perché altrimenti i ragazzi stavano in piedi a studiare fino a notte fonda dormendo poi di giorno sul banco. Quando è il giorno in cui ci sono i test (non solo per medicina ma per tutte le facoltà), il paese raccontato da Parasite si ferma, perché si decide chi saranno i falliti e chi le persone di successo. E’ evidente inoltre che la diseguaglianza sociale inizia a mietere le sue vittime proprio in relazione alla possibilità di pagare i corsi di preparazione, come avviene anche in USA. Ce lo ha spiegato ultimamente anche Michael Sandel (The Tyranny of Merit, 2020) ma, prima di lui, Nicholas Lemann (The big test. The Secret History of American Meritocracy, 1999), che in un testo purtroppo poco noto in Italia, ricostruisce la storia di come nel secondo dopoguerra, in USA, la progressiva diffusione generalizzata del testing nelle università, con il giro di affari crescente per le aziende che somministrano le prove e le scuole private che preparano a superarli, abbia minato nel profondo la democraticità della società americana. Anche in Italia la scuola di preparazione al test di medicina, costa in media 3000 euro, una spesa che alcune famiglie non possono permettersi o possono permettersi solo a costo di ingiustificati sacrifici.
Tornando al test di medicina 2023, fra le novità di quest’anno c’è stato anche il meccanismo dell’equalizzazione, che aggiusta i punteggi sulla base delle medie statistiche relative a quanto determinati quesiti si dimostrino facili perché risolti da un maggior numero di candidati. Un meccanismo che potrà dare luogo facilmente a ricorsi. Inoltre va segnalato anche che a parità di punteggio vale la maggior giovane età. Punto, questo, su cui vale la pena di soffermarsi un attimo. Chi scrive ricorda che ottenne la borsa di “postdottorato”, nel lontano 1998, grazie ad una norma di orientamento opposto, per cui passava il più anziano d’età. Si suppone che la ratio fosse legata al fatto che il più anziano potesse avere più esperienza ed equilibrio; oppure anche meno vita davanti per metterla a frutto; oppure anche più responsabilità a cui fare fronte, essendo più vicino, ad esempio, alla genitorialità; oppure anche più vulnerabilità e bisogni, diventando il corpo più logorato e sensibile alla morbilità. Oggi invece vale un’altra prospettiva: se il più anziano non ha ancora messo a frutto i propri talenti dimostra un deficit di talenti e/o di forza di volontà; viceversa il più giovane va premiato per aver raggiunto in meno tempo lo stesso livello prestazionale. Inoltre più passano gli anni più diminuisce il capitale umano e si attenuano gli animal spirits che, in una rideclinazione imprenditoriale del giovanilismo vitalistico delle avanguardie primonovecentesche, garantiscano maggiore performatività: ma anche plasmabilità, adattabilità e sottomissione alla mission dell’azienda (privata o pubblica che sia).
Va tuttavia registrato un decreto della ministra Bernini che ha aumentato la quota di ammessi. E’ una buona notizia: ma la misura è ancora insufficiente. Nel paese in cui non bisogna disturbare chi vuole fare, dominano le corporazioni, mentre invece, come si sa, ci sarebbe tanto da fare per molti più medici di quanto l’attuale setaccio consenta di titolare. La pandemia sembrava aver riportato all’attenzione la centralità della cura e l’importanza del sistema sanitario nazionale, minacciato al contrario, ogni giorno di più, da un’incipiente rovina dovuta ai crescenti tagli e dalla pressione degli interessi privati. Cosa ci azzecca la professione del medico con il rispondere a dei quiz in pochi minuti? Il governo patriottico non pensa che forse sarebbe il caso di chiudere con queste cattive abitudini estranee alle nostre tradizioni formative? Non sarebbe forse il caso di aprire il più possibile le porte a chi ha la vocazione di curare gli altri, facendola finita con il numero chiuso? Non sarebbe necessario rimandare il momento della selezione al percorso di studio, che più fedelmente, in termini contenutistici ed esistenziali, può individuare chi ha o non ha la vocazione giusta?
Questo testo integra e aggiorna un articolo dello stesso autore uscito su “Il manifesto” il 10 maggio 2023.
far entrare tutti significa ricreare la situazione degli anni 80 con gente di 50 anni che fa ancora la guardia medica: il test non serve a misurare la conoscenza ma l’impegno, la dedizione e l’organizzazione dello studio. la distribuzione dei punteggi sarebbe simile se le domande fossero estratte da un database del listino di Quattroruote o un libro di botanica. gli studenti motivati iniziano a fare i test durante l’estate del 3° anno, il libro alfa-test costa 100 euro, tutti gli atenei fanno corsi di preparazione e spendere 3000 euro non serve affatto, anzi, ricordarlo sempre è una litania poveri/ ricchi che nel 2023 mi pare esagerata.