Togliamo il disturbo

La settimana scorsa è circolato su alcuni giornali e in televisione questo ragionamento: ci sono dei video girati da alcune ragazze a una festa di Berlusconi nella sua casa in Sardegna, in cui non compaiono scene di sesso; dunque le accuse a Berlusconi di fare sesso con minorenni alle sue feste sono false.

Chi ha messo in giro quel ragionamento non è necessariamente un idiota: può darsi che sia furbissimo e sappia qual è il livello intellettuale medio degli italiani. Il livello intellettuale medio è determinato soprattutto dalla scuola. La conclusione ovvia è che la scuola italiana non funziona. Non sono di quelli che si stracciano le vesti per la punteggiatura, gli accenti fuori posto, gli anacoluti. Tollero l’ignoranza dell’ortografia e ho persino simpatia per gli ‘anke’ e i ‘xche’. Ma trovo molto grave che la scuola non insegni a distinguere un ragionamento sensato da un’idiozia.

Che la nostra scuola non funzioni sono tutti d’accordo. Del resto, secondo i dati raccolti da Tullio De Mauro, il 70% degli italiani è analfabeta o analfabeta di ritorno, fa fatica a comprendere testi, non legge niente e ovviamente non sa che cosa sia un ragionamento. Sulle cause e le possibili soluzioni c’è invece disaccordo. Paola Mastrocola ha scritto sull’argomento un bel libro, Togliamo il disturbo, Guanda, che raccomando non solo a chi della scuola si occupa per professione, ma anche a coloro (politici e imprenditori, ad esempio) che forse non sanno che molti dei loro problemi hanno origine dall’inadeguatezza della scuola.

Sulle cause del disastro la Mastrocola dice molte cose giuste ma non nuove – ad esempio che il ministro Gelmini ha responsabilità limitate e comunque non regge il confronto con i suoi predecessori di sinistra, che ne hanno fatte di cotte e di crude. Altre invece sono giuste e meno note – ad esempio che Don Milani è tra i responsabili. Su altre cose ancora ho qualche dubbio. La Mastrocola dice che i problemi della nostra scuola sono comuni a tutta l’Europa. Sarebbe una consolazione se il male fosse comune. Ma è proprio così? Certo, in tutti i paesi del mondo è difficile passare da sistemi educativi elitari a sistemi di massa. Ma, a parte il fatto che i paesi più seri si stanno ponendo seriamente il problema, molti continuano ad avere alcune ottime scuole e università che danno alle rispettive classi dirigenti – certo, non a tutti – gli strumenti per affrontare il futuro. Anche sulla valutazione delle nuove tecnologie ho qualche riserva: internet, telefonini, wikipedia, twitter, chat e blogs a me sembrano cose magnifiche che bisogna solo saper usare. E dei nostri guai non accuserei genericamente la “nuova società opulenta, viziata, sfaticata, che ha in mente solo i soldi, il successo mediatico, i quiz a premi, gli outlet e i weekend al mare”. Se il problema fosse tutto qui, non dovremmo fare altro che aspettare, perché l’opulenza se ne sta già andando.

Comunque è vero che siamo vittime, oltre che dei pedagogisti e dei burocrati dell’educazione italiani ed europei, di alcuni luoghi comuni che hanno segnato la trasformazione del nostro sistema educativo. In primo luogo, c’è l’idea che la mobilità sociale sia favorita dalla licealizzazione di massa. Ma non è vero che tutti devono diventare medici, architetti e avvocati, anche se non ne hanno né la predisposizione né la voglia. I risultati sono una scuola media mediocrissima e poco differenziata, studenti poco motivati e una gran disoccupazione tra i laureati. In secondo luogo, c’è l’idea che il lavoro manuale, artigianale, tecnico-pratico sia cosa vile e degradante e sia quindi obbligatorio studiare il più a lungo possibile. Infine, e soprattutto, i vincoli della solidarietà sono stati scambiati per “il primato del collettivo, della comunità e dell’appartenenza alla massa”. Viene da qui la profonda avversione per una scuola che sia per un verso o per l’altro elitaria, anche se non recluta i propri allievi sulla base del censo.

La parte più interessante del libro è l’ultima, sui possibili rimedi. Invece delle attuali sei scuole superiori, la Mastrocola ne propone tre sole, molto più differenziate nei contenuti e nei metodi, di pari dignità e tutte capaci di attrarre allievi ben motivati: (a) una scuola del lavoro pratico, manuale, artigianale o tecnico-operativo per chi vuole subito imparare un mestiere, (b) una scuola della comunicazione, delle relazioni e dei linguaggi multimediali, e (c) una scuola dello studio astratto, simile ai licei classici o scientifici, ma molto più esigente. Quest’ultima potrebbe essere sostenuta da borse di studio e incentivi vari per le famiglie svantaggiate.

Non è una proposta radicale: in qualche misura, le prime due scuole ci sono già. La seconda è quella “scuola delle competenze” che l’Europa ci incoraggia a sviluppare. Gli attuali licei, classico e scientifico, stanno a metà tra la seconda e la terza: per le materie insegnate dovrebbero rientrare in quest’ultima, ma per il modo in cui sono insegnate, per lo scarso approfondimento dei programmi, per l’esiguità delle letture che richiedono appartengono alla seconda.

La novità sta nella scuola del terzo tipo: aggiornati i programmi, assomiglierebbe ai licei di una cinquantina di anni fa, che qualcuno di noi ancora ricorda. Anche il numero degli allievi dovrebbe essere più o meno lo stesso, perché una volta che si sia fatta chiarezza sui luoghi comuni di cui sopra, questa scuola dovrebbe attrarre solo i ragazzi predisposti allo studio astratto e motivati. Le famiglie preoccupate di aprire ai ragazzi le professioni più lucrose non li indirizzerebbero qui. Per diventare scienziati, professori universitari, scrittori c’è bisogno di un’educazione impegnativa e molto particolare, ma alla fine non si guadagna molto. Eppure, di queste élites il paese ha un gran bisogno.

A me l’idea francamente piace. Mi piace soprattutto che non parli di riformare quello che c’è già e non è all’altezza di certe aspettative (mentre soddisfa altre esigenze, del tutto legittime). Ci sono sistemi troppo complessi per lasciarsi riformare. Facciamo invece chiarezza, distinguiamo quello che va distinto e partiamo con un progetto nuovo.

C’è solo un punto debole nella proposta e la Mastrocola lo sa benissimo. Certe capacità, come quella di leggere testi di una certa complessità e di riconoscere come tali le idiozie di cui ho dato un esempio all’inizio, si devono imparare nella scuola dell’obbligo. Dopo è tardi. Continuiamo dunque a discutere sulle superiori, ma qualcuno si faccia venire idee intelligenti anche sulla scuola dell’obbligo.

Pubblicato su Il Riformista il 22 febbraio 2011

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