Negli ultimi giorni di agosto probabilmente non pochi dei lettori di Roars guardavano con preoccupazione alla campagna di stampa che stava crescendo in concomitanza con l’avvio della protesta dei professori universitari, promotori di uno sciopero concernente gli esami del primo appello della sessione autunnale. Da qualche anno è infatti comune sentire che, finire sui quotidiani, per l’università e per i professori stessi, non sia mai un bene, soprattutto a seguito di alcune vere e proprie campagne denigratorie che hanno contribuito, unitamente a numerosi episodi di malcostume, purtroppo da parte di universitari, a preparare il terreno alle politiche scellerate di definanziamento e riforma del sistema universitario cui assistiamo da ormai un decennio.
Ancora non era ben chiaro a cosa preludesse esattamente l’attenzione inusitata dedicata questa volta da alcuni tra i principali quotidiani all’Università italiana, quando una notizia interessante è giunta non dai media, bensì dal sindacato, con un comunicato pubblicato dalla Flc Cgil dal titolo alquanto perentorio, “Università: contrattualizzare i docenti universitari. Il momento è giunto”.
Dopo una parte introduttiva di analisi circa le problematiche del settore della formazione, nel comunicato, il segretario generale Sinopoli lamenta l’involuzione subita dall’Università italiana sin dall’entrata in vigore della legge n. 240, considerandola (condivisibilmente a mio avviso) una legge sbagliata e dannosa, che ha impoverito il sistema universitario e reso meno democratica la gestione degli Atenei, aumentando individualismo e autoreferenzialità, giungendo poi ad una conclusione che, come cercherò di dimostrare, appare slegata dalle premesse e sommamente discutibile. Il comunicato, infatti, premessa la considerazione per cui:
“oggi partirà la protesta di una parte dei docenti universitari per vedere riconosciuta una dinamica salariale che le varie leggi di bilancio hanno spezzato. Abbiamo da subito detto che occorre costruire un movimento che tenga dentro tutte le componenti dell’Università, a cominciare dagli studenti, dai precari e dal personale tecnico-amministrativo che soffrono per lo stesso blocco degli stipendi”,
conclude poi così:
“In questo quadro è maturo il momento per affrontare la questione della contrattualizzazione del personale docente delle Università, considerando anche che nel mondo accademico è avvenuta una trasformazione radicale del proprio contesto istituzionale senza che si sia avviata un’adeguata riflessione sulle nuove professionalità e sulle relative logiche. La mancanza di una interlocuzione contrattuale per i docenti universitari con lo Stato, come avviene per tutti gli altri lavoratori pubblici, rischia di far pagare a questa categoria un prezzo altissimo. Non c’è più nessun motivo per non pensare ad una riforma che consideri la contrattualizzazione dei docenti universitari”.
Nel comunicato si rivolge poi la richiesta al Governo, alla Ministra Fedeli e ai parlamentari di affrontare da subito questo tema.
Prima di provare a ragionare sinteticamente su alcuni punti critici del ragionamento alla base del comunicato e su diversi quesiti che esso suscita (tra cui le trasformazioni prodotte dalla l. 240 in rapporto alla necessità di “contrattualizzare”, il nesso con la protesta, i destinatari di questa proposta, etc.) una pur brevissima premessa è necessaria per i lettori non giuristi che non avessero presente la questione sullo sfondo.
Lo status (stato giuridico ed economico) dei docenti universitari a tempo indeterminato è disciplinato integralmente dalla legge e non da un contratto, come avviene invece oramai per la quasi totalità del pubblico impiego. Le radici di questa scelta legislativa, coerentemente seguita sin dalla nascita della Repubblica è da ritenere si trovino nelle peculiari caratteristiche della funzione svolta dai professori universitari, cui presiedono alcuni principi costituzionali fondamentali su cui è bene soffermarsi brevissimamente.
Sin dalla discussione in Assemblea costituente su quello che sarebbe poi diventato l’art. 33 (in particolare per i commi che riguardano l’Università, c. 1 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e c. 6 “Le istituzioni di alta cultura, università e accademia, hanno diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”), si pensò bene che la posizione del professore universitario dovesse essere contraddistinta dalla massima indipendenza, sottraendola alle possibili influenze della politica, o comunque da una “ricattabilità” per ragioni di ordine economico, che ne avrebbe compromesso la libertà. I costituenti in questa discussione svolsero non a caso significativi parallelismi con la posizione della magistratura.
Da queste istanze e dal dibattito complessivo scaturì dunque la formulazione del comma 1. Sulla base di questi principi il legislatore è successivamente intervenuto più volte nella disciplina della materia, sempre mantenendo però lo status pubblicistico per i professori universitari, anche dopo la cosiddetta “privatizzazione del pubblico impiego” (dlgs n. 29 del 1993, con cui si è assoggettato alla disciplina del codice civile e alla contrattazione collettiva la regolazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici), così come ha fatto per i magistrati, i militari, il personale diplomatico e su questa linea si è ritenuto di proseguire anche nei decenni successivi.
Cosa potrebbe comportare ora la “contrattualizzazione”, ovvero l’attrazione verso un regime prevalentemente “privatistico” del rapporto di lavoro dei professori universitari e quali sono le ragioni delle reazioni tanto allarmate ogni volta che questo vero e proprio spauracchio riemerge nel dibattito sull’università? In primo luogo le preoccupazioni riguardano le maggiori garanzie offerte dal regime pubblicistico, a fronte della progressiva flessibilizzazione e indebolimento dello status del personale contrattualizzato. Il pensiero corre alla situazione degli insegnanti della scuola pubblica italiana, e alle poco soddisfacenti condizioni stipendiali e lavorative in cui essi operano.
Di indebolimento dello status peraltro si può parlare già, pur nel permanere del regime pubblicistico, anche per il ruolo della docenza universitaria. Sappiamo bene, infatti, che la legge n. 240 ha introdotto significativi elementi di delegificazione dello stato giuridico/economico dei docenti. Ciò è avvenuto ad esempio affidando ai regolamenti di ateneo la disciplina del reclutamento, così come quella dell’attribuzione degli scatti stipendiali (non più automatici, ma previa richiesta e valutazione positiva da parte dell’ateneo). Non si è forse riflettuto abbastanza sul dato per cui affidare l’attribuzione degli scatti ad una valutazione tutta interna all’ateneo sostanzialmente mette il docente in una posizione di “ricattabilità” e di soggezione agli organi di governo dell’università, oltre che alle condizioni finanziarie dell’ateneo in cui opera. Un aspetto questo che non mancherà di manifestarsi quando inizieranno ad essere svolte le prime tornate di valutazione ai fini dell’attribuzione degli scatti stipendiali, e che non potrebbe che aggravarsi ulteriormente in regime di contrattazione.
Quali possibili risposte a questi problemi individua la FLC e in particolare perché ritiene che l’attrazione verso il regime “privatistico” potrebbe portare ad un miglioramento dello status dei docenti, in relazione alle questioni ricordate?
Questi profili, unitamente a quello della ulteriore perdita in termini di autorevolezza agli occhi dell’opinione pubblica che si produrrebbe con la contrattualizzazione, lasciano ad oggi pensare che una simile scelta rappresenterebbe un ulteriore definitivo “declassamento” del ruolo docente, a fronte del permanere delle ragioni fondative dello status pubblicistico, che risultano oggi invariate. Esse peraltro appaiono semmai sempre più evidenti proprio perché ci troviamo oggi dinanzi ad una certa invadenza della politica nella vita degli atenei, così come ad un assoggettamento delle attività svolte dai docenti a vincoli ed oneri burocratici sempre più stringenti. Del resto se lo status pubblicistico avesse una ragion d’essere che è venuta meno, il passaggio al regime privatistico dovrebbe essere perseguito allora anche per magistrati, ambasciatori, funzionari delle autorità indipendenti. Va ricordato peraltro che, per quanto riguarda il blocco stipendiale, i professori e ricercatori universitari hanno subito negli ultimi anni una discriminazione rispetto alle altre categorie del pubblico impiego (il cui trattamento è rimasto bloccato per un anno in meno) e in particolare rispetto ai magistrati (cui in forza di una sentenza della corte costituzionale il blocco è stato rimosso retroattivamente). Alla luce di tutto ciò perché la proposta, che sembra di capire sia quanto meno avallata in ambienti governativi, riguarda invece solo i docenti universitari?
Un profilo che non è certo sia stato tenuto in considerazione nel formulare la proposta è poi quello per cui, data la peculiare natura delle università statali, di enti con uno statuto di autonomia costituzionalmente garantito, la contrattualizzazione, combinata con l’autonomia, non potrebbe che implicare la necessità di negoziare a livello di singolo ateneo, – in parole povere – rappresentanti sindacali dei docenti vs governance del singolo ateneo, il contratto dei professori e ricercatori a tempo indeterminato. Ciò naturalmente non potrebbe che riguardare aspetti come la retribuzione, variabile sulla base delle disponibilità finanziarie dell’ateneo, così come le modalità e condizioni di lavoro etc.
Una simile novità si collocherebbe in un panorama di già significativa diversificazione delle condizioni dei diversi atenei, che vede in particolare una linea di frattura molto profonda tra le università del nord e quelle del sud del paese. Siamo certi che vogliamo giungere ad avere stipendi diversi per i docenti strutturati nelle diverse università (e soprattutto nelle diverse aree geografiche del paese), e che sia corretto approfondire ulteriormente quel divario con misure che portano chi “sta male” a “stare sempre peggio”…?
Si è già accennato a come probabilmente nei fatti già esista un problema di conformità del regime della docenza a quelle esigenze di indipendenza e di “non ricattabilità” che si ricordavano, problema che si estende e si aggrava sulla base della considerazione del dato per cui una crescente percentuale del corpo docente svolge la propria attività in un regime ancora diverso e più fragile, che potremmo definire quasi un tertium genus, quello dei ricercatori a tempo determinato. Siano di tipo A o B, essi appaiono collocati in un limbo che li vede privi di pressoché ogni garanzia, come….coloro che son sospesi. Tale generazione di studiosi sarebbe peraltro la prima ed unica potenziale destinataria (nel caso di accesso al ruolo docente) di una eventuale misura che introducesse la contrattualizzazione, giacché ogni tentativo di estenderla retroattivamente al personale già in servizio, o di applicarla a chi via via accede alle fasce superiori della docenza si dovrebbe scontrare con inevitabili censure di illegittimità. Allora sembra di poter rilevare che a meritare una riflessione urgente e tutta l’attenzione del sindacato non dovrebbe essere tanto il problema de iure condendo e futuribile oggi posto, quanto quello delle tutele oggi mancanti per tutta l’ultima generazione di studiosi. In proposito ci si può chiedere se una diversa e più morbida accoglienza avrebbe potuto trovare la proposta di introdurre una tutela contrattuale uniforme su scala nazionale delle figure RTD rispetto a quella ora avanzata invece circa i professori e i ricercatori a tempo indeterminato.
Venendo ora alla scelta della flc di assumere tale posizione mentre radio, tv e giornali parlano del cd “sciopero degli esami”, in prossimità della predisposizione della legge di stabilità, anche alla luce delle tante ed immediate reazioni nettamente negative dal mondo della docenza, dispiace constatare come si sia persa l’occasione di sintonizzarsi meglio con un mondo molto attento, ma anche difficile come quello dell’università. Mondo che ha avuto difficoltà a risvegliarsi dal suo torpore persino nel momento in cui sono state annunciate provvedimenti deprecabili come ad es. quello relativo all’istituzione delle cd “Cattedre Natta”, o quando si sono riscontrate numerose irregolarità nelle procedure di valutazione.
Oggi questo mondo sta dando forse per la prima volta da diversi anni un minimo segnale di vitalità. La protesta in atto, certamente discutibile in quanto presentata come inerente prevalentemente la questione salariale, a fronte di un mondo di problemi irrisolti e di un sistema universitario fiaccato da un’opera di certosina demolizione, poteva essere colta come un’occasione di riflessione e riattivazione di canali di comunicazione tra mondo della ricerca e sindacati, in una fase in cui il ruolo dei corpi intermedi ed in particolare del sindacato non è più compreso ed andrebbe anzi ricostruito, date le modificazioni ormai permanenti della struttura del lavoro in questo come in altri ambiti. Viene da chiedersi allora perché questo mondo non sia stato ascoltato prima di assumere una posizione così netta, svolgendo magari una consultazione ampia, e perché si sia scelto invece di rivolgersi immediatamente al Governo e alla Ministra, e quasi in via subordinata “ai parlamentari”, quasi ad avallare l’emarginazione dell’istituzione parlamentare dai processi decisionali su questa materia. E’ importante capire che l’avere come interlocutore il solo Governo, e non più la legge, rappresenta probabilmente proprio il salto culturale, oltre che politico, che, a tutela di quel po’ di autonomia che le resta, l’Università italiana non è disposta a fare.
Complimenti vivissimi alla Collega Roberta Calvano che affronta il delicato tema della contrattualizzazione della docenza universitaria con chiarezza assoluta e indubbia competenza. Resto convinto del nostro carattere peculiare (similmente ai magistrati) e della circostanza che il “regime di diritto pubblico” che contraddistingue la docenza rappresenti una guarentigia alla quale non dovremmo rinunciare, in una fase, peraltro che vede Rettori-Principi (in ragione dell’unicità del mandato) e Direttori Generali-Despoti (che “comandano” tutto il personale tecnico amministrativo).
Grazie, troppo gentile.
Standing ovation per questo intervento chiaro e sintetico.
Vale la pena riflettere sulla stretta relazione che c’e’ tra “liberta’ di ricerca e di insegnamento” e meccanismi di precarietà/stabilizzazione e progressione di carriera.
Purtroppo mi sembra che le prime avvisaglie di un vero attentato all’ art. 33 della Costituzione stanno arrivando/sono arrivate con i regolamenti sugli scatti triennali.
Ferraro ha sempre lucidamente invitato tutti a contattare I parlamentari di propria conoscenza per porre la,questione della dignita’ della docenza all’attenzione del parlamento… ma anche qui con scarsi successi.
Dal successo di questo sciopero dipende moltissimo…. siamo all ultima spiaggia… e
Ringrazio la collega per il chiarissimo inquadramento giuridico della questione.
Alla luce delle sue argomentazioni riguardo alla differenziazione di “rango” che ne deriverebbe a danno delle sedi minori e del sud, si potrebbe aggiungere che si andrebbe ad intaccare i principi, sempre costituzionali, della uguaglianza di opportunità per i tutti i cittadini e della coesione territoriale.
Certo sembra essere stato un errore giuridico demandare alle università l’attribuzione di una voce stipendiale che in quanto a carico della comunità nazionale dovrebbe essere uguale sull’intero territorio del paese. La differenziazione “autonoma” delle sedi dovrebbe interessare soltanto le quote “premiali”.
Invece si è fatto esattamente il contrario:
si sono accentrate le premialità e le “eccellenze” e si sono attribuite agli atenei le progressioni economiche delle classi stipendiali.
A me sembra che la contrattualizzazione dei docenti universitari sia in contrasto con l’art.97 della Costituzione. Che questo evidente contrasto sia stato superato per altre categorie di funzionati pubblici, non lo rende meno suscettibile di censura di incostituzionalità
A me sembra che la contrattualizzazione dei docenti universitari sia in contrasto con l’art.97 della Costituzione. Che questo evidente contrasto sia stato superato per altre categorie di funzionati pubblici, non la rende meno suscettibile di censura di incostituzionalità
La CGIL ci vuole contrattualizzare. E poi quando dico che tutto il male dell’Università viene da sinistra, qualcuno dice che non è vero!
Tutto da sinistra? Gelmini non mi sembrava esattamente un personaggio di sinistra… Purtroppo destra o sedicente sinistra hanno tutti sposato le posizioni degli ultras neoliberali (ovvero confindustriali) relativamente all’ istruzione. E il problema maggiore sta proprio in questa trasversalita’ e uniformita’ di vedute.
Perchè tu pensavi ci fosse Berlusconi dietro la recente politica contro l’università?
I sindacati continuano a rappresentare solo loro stessi. A me la CGIL non rappresenta per nulla. Quanti docenti sono iscritti alla CGIL?
Vergogna loro e tutti quelli che credono di ricondurre il nostro problema ad un problema di schieramento o di partito. I mali dell’università vengono dalle cattive (o assenti) politiche industriali e culturali del paese, politiche non fondate su idee ma su pure farneticazioni che hanno casa in tutti i partiti, purtroppo. ROARS cerca di opporre a questo dati e valutazioni oggettive di cui molti ignorano l’esistenza.
Devo dar ragione al corrosivo Braccesi (non si inquieti Braccesi), non la sinistra (ce n’è una sana liberal e pluralista -non renziana-), ma la CGIL in larga misura si. Il ridicolo e devastante tentativo di federarei lavoratori della conoscenza, ha fatto cadere nel tranello demagogico molti di noi. Perchè non federare i lavoratori della giustizia, dellla sanità etc. dei corpi diplomatici. Sono dei corporativi senza rendersene conto. Lo stesso pensiero che fa proporre una ulteriore folle riforma di questa assurda Ministra CGILina ridurre gli anni della scuola media. Dice il girnalino meneghino che ce lo chederebbe l’Europa. Quante cose ha chiesto l’Europa dal patto di lisbona in poi…e il renzusconismo di ieri e di oggi ha fatto orecchie da mercante? viva roars lunga vita
Tutto? Non proprio tutto. Diciamo che la Gelmini non è proprio di sinistra. Diciamo 51 e 49%. lascio a lei decidere chi 51 e chi 49.
Guarda come sono moderato: mi sta bene 49% a 51% e fate voi per il 51%. Mai stravincere. Ma quando si ammette che la sinistra può avere il 49% di colpe vuol dire che in realtà ha il 99%, che è quello che qualunque osservatore può constatare e la cosa non vale solo per l’università. La destra per me non conta, perché non ha senso. I liberali in Italia non ci sono mai stati, quindi quella che alcuni chiamano ‘destra’ non può avere grandi colpe per il semplice motivo che non c’è mai stata. In quanto alla Gelmini, la sua legge, che come tutte le leggi di oggi è una legge manifesto che dice tutto ed il contrario di tutto, è stata varata quando ci fu l’accordo anche della ‘sinistra’.
Mi sembra corretto e oppurtuno virgolettare il termine ‘sinistra’ facendo riferimento al PD. Sarebbe ancora meglio chiedersi se usare le categorie storiche di “destra” e “sinistra” sia di alcuna utilità di fronte ad un attacco concentrico su istruzione e libertà di ricerca.
Condivido gran parte delle valutazioni delle collega Calvano. Non è il merito di quelle che voglio chiosare. Del modello regolativo, fosse anche quello contrattuale, una categoria, in questo caso noi docenti, può sempre laicamete discutere.
Il punto è che la FLC è, in questa materia per questa categoria scarsissimamente sindacalizzata, noi docenti, è la meno titolata ad avanzare simili richieste; specie senza una consultazione con la base e con tutte le altre organizzazioni della docenza, tante tante pure troppe se pare ma così è, che invece regolarmente si confrontano proprio a casa della FLC.
Sembra che in questo momento di bassa, per la FLC/CGIL (e per gli altri sindacati), la richiesta di della contrattualizzazione, che è poi quella di Confindustria, di Treellle, di altre lobby, dei varisultati Giavazzi AlesIna, Ichino A., Perotti e con., sia come un olocausto finale offerto al governo per essere consultata su altre materie.
Ritiro immediato della proposta. Dica la FLC che era un … pesce di agosto. È l’unica versione che si può considerare seria.
Calogero Massimo Cammalleri
Presidente Nazionale Conpass
Lo statalismo sovietico ha ovunque portato miseria. L’attuale sistema universitario italiano è rimasto a questo modello economico fallimentare. Addirittura c’è chi si oppone al minimo di meritocrazia delle cattedre Natta. Altri paesi come USA e UK seguono altri modelli, e le cose funzionano meglio.
Fa bene a usare un nickname per scrivere un commento del genere.
Se vuole difendere anacronismi farà bene a trovare argomenti migliori. Il futuro saranno università telematiche a bassi costi, ed università di alto livello orientate alla ricerca
[modo_compassionevole on]
MarcelloGA, se lei scrive, tra le altre idiozie, “Addirittura c’è chi si oppone al minimo di meritocrazia delle cattedre Natta” su un blog che si occupa del problema della mancanza di meritocrazia delle cattedre Natta (tacendo degli altri problemi), senza nemmeno prendere in considerazione gli argomenti sostanziali menzionati nei diversi articoli sull’argomento usciti sul blog, come può pensare di essere preso sul serio?
[modo_compassionevole off]
Credo anche io che faccia bene ad usare un nickname per scrivere un commento del genere.
“Siete ancora ed oggi come sempre dei poveri comunisti”
Negli ultimi anni nell’ambito della intersindacale universitaria, che raccoglie un numero di volta in volta variabile della frammentata galassia sindacale, vi era stata una ampia convergenza sulla proposta del docente unico con diverse articolazioni ma tutte riconducibili in qualche misura al modello proposto fin dagli anni settanta dal CNU. Modello che non prevede in alcun modo un passaggio al sistema contrattuale. Con i principi costituzionali non si scherza, non si possono assoggettare a interessi di parte o di carattere ideologico. Il totale ritorno al passato della Flc, presumo senza un grande dibattito interno dato il periodo in cui sembra essere maturato, appare di fatto come un assist alla Fedeli ed al PD. Se così non fosse e si trattasse di una scelta convinta e meditata perché proprio adesso? Infatti questo è in assoluto il momento meno opportuno, con una vertenza aperta cui la Cgil non ha minimamente contribuito. Il fallimento del referendum sulle modifiche della costituzione, respinte ampiamente dagli italiani, sembra non aver insegnato molto.
[…] autentico e informato che è invece assolutamente necessario; tranne poche eccezioni, innanzitutto l’utile intervento di Roberta Calvano su […]
Leggo la posizione di Sinopoli: agghiacciante. Un sindacato che non esiste o quasi che certamente non ci rappresenta al quale l’unica collega che conosco iscritta si è tolta per protesta contro la tiepidezza di questo paradossale sindacato verso i nostri diritti vuole contrattualizzarci. Sull’onda del dibattito vuole tentare una egemonia che non ha senso. Se qualcuno ci vuol rappresentare sia Ferraro che ha firme consenso ed esperienza altro che questa CGIL decotta e Fedeliana. Che Dio ce ne scampi. Cmq le prossime elezioni le vincerà Renzuscone e cadremo dalla padella nella brace. Come vorrei una vittoria si un partito o di una coalizione che mettesse FSL o nicolao meravigliao al ministero e cacciasse quel racconta frottole dell’attuale dirigente’ex presidente Crui.
Viva Roars
Se le prossime lezioni le vincerà renzusconi per noi è la fine di ogni speranza, ma vorrà anche dire che questo paese è formato da masochisti e brutti addormentati.
Quanto alla previsione di università telematiche a basso costo e pochi atenei orientati alla ricerca, direi che devono aver diffuso nell’acqua qualche sostanza allucinogena di buona efficacia. Non so cosa devono aver fatto questi bocconianiconfindustriltreeelle a una parte degli italiani: quasi quasi invidio la loro capacità di sdoganare lo sterco suscitando consensi.
@indrani
L’unica speranza per noi viene dai 5*, gli altri sono legati ad un giornale unico, un pensiero unico, una stampa servile, forte con i deboli(noi), e debole con i forti (confindustria, medici, banchieri etc.). “2” per tutti la coppia Rizzo Stella a caccia di professori universitari (soprattutto GAS -deve essere stato frustrato durante i suoi studi unvirsitari boh-). Questi garanti del pensiero libero, avversi alle notizie degli altri (fake), dimenticano che i regimi ben prima di mettere in galera i giornalisti uccidono e decimano i professori universitari (vedasi erdogan). Evangelicamente: si fa più strepito mediatico per un gironalista in prigione che per 100 professori incarcerati umiliati uccisi.. Vive la France e Voltaire, ps Guarda l’intervista a Ferruccio de Bortoli sul FQ che nostalgicamente evoca la necessità di poteri forti (i suoi ovviamente). Grazie di avermi risposto
viva roars
In pratica, si minaccia la contrattualizzazione contro gli scioperanti.
Ovviamente contrattualizzare significa limitare la libertà dei docenti, rendendoli di fatto soggetti a regole che li imbriglierebbero ancora di più.
Una domanda sommessa all’autrice di questo pezzo estremamente istruttivo: perche’ -se la liberta’ di ricerca e’ difesa dalla non contrattualizzazione dei docenti universitari- i ricercatori pubblici (a cominciare da quelli CNR) sono contrattualizzati e non e’ mai stato sollevato il dubbio di vostituzionalita’?
Oppure la difesa del loro diritto costituzionale avviene in maniera diversa?
Infatti … sono oltre trent’anni che permane questa discrepanza tra le tre fasce dei ricercatori degli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) e le tre fasce universitarie. Le tre fasce furono create dopo la uscita dall’infame sistema del parastato (dove gli scienziati degli EPR si chiamavano “collaboratori tecnico-professionali”) nel 1986 per analogia con la riforma universitaria del 1982.
Noi (io allora ero CNR) siamo stati contrattualizzati e non con stato giuridico (pero’ allora i contratti erano registrati con un Decreto del Presidente della Repubblica). Nonostante i tentativi del ministro Ruberti.
Vi e’ addirittura l’assurdo nel mio ente (INAF) che il personale scientifico ex-CNR (come quello assunto o promosso dopo il 2005) e’ contrattualizzato (comparto ricerca) e quello degli ex-Osservatori (astronomi, astronomi associati e astronomi ordinari) che non ha optato per il comparto ricerca ha lo stato giuridico universitario (e quindi NOI contrattualizzati abbiamo recuperato gli scatti dal 2015 e LORO non contrattualizzati no come gli universitari).
C’era stato un tentativo di dare stato giuridico ai ricercatori EPR in una bozza del decreto delegato “riforma Madia” dello scorso anno, ma poi e’ scomparsa dalla stesura definitiva del DL 218/216/
Ci vuole tempo per preparare una risposta ad una professoressa ordinaria di Diritto Costituzionale, soprattutto se la principale obiezione riguarda proprio una sua affermazione su implicazioni di articoli della medesima e sulle motivazioni che hanno portato alla scrittura di certi articoli. Per giustificare le mie obiezioni devo perciò fare delle premesse:
– Sebbene è ovvio che io mi fidi delle conoscenze di una studiosa nel campo e quindi, quando Roberta Calvano afferma che “Sin dalla discussione in Assemblea costituente su quello che sarebbe poi diventato l’art. 33 (in particolare per i commi che riguardano l’Università, c. 1 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e c. 6 “Le istituzioni di alta cultura, università e accademia, hanno diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”), si pensò bene che la posizione del professore universitario dovesse essere contraddistinta dalla massima indipendenza, sottraendola alle possibili influenze della politica, o comunque da una “ricattabilità” per ragioni di ordine economico, che ne avrebbe compromesso la libertà. I costituenti in questa discussione svolsero non a caso significativi parallelismi con la posizione della magistratura.” , dico, è ovvio che mi fidi, che questa discussione sia stata portata avanti e nei termini che la prof. Calvano mi indica e che soprattutto questo abbia importanza ai fini del testo licenziato.
– Arrivo quindi alla seconda osservazione, che si basa anche essa sulla fiducia che riporto ai costituzionalisti e che, durante la scorsa battaglia per il NO al referendum del 4 dicembre 2016, mi hanno ricordato (l’avevo già studiato al liceo) che il testo della Costituzione è volutamente semplice (seppur preciso e rigoroso in ogni dettaglio) in modo da essere comprensibile. Uno utile strumento in mano ai cittadini per capire quali fossero i loro diritti e doveri e anche un utile strumento in mano ai rappresentanti eletti dai cittadini stessi, in modo che esercitassero la funzione legislativa e esecutiva nel rispetto della Costituzione stessa. Quindi io mi aspetto di riuscire, nel mio piccolo , a leggere, almeno superficialmente, il testo costituzionale.
– Terza osservazione: ci sarà pure stata una ampia e dettagliata discussione sui parallelismi tra la posizione dei docenti universitari con quella dei magistrati. Fatto sta che per l’Università ci sono gli articoli di cui parlo dopo (che trattano anche altre figure legate alla cultura,all’arte , alla scienza e all’insegnamento di ogni ordine e grado), mentre per la Magistratura ci sta tutto il TITOLO IV , che , tra le altre cose, afferma che a) I giudici sono soggetti soltanto alla legge; b) I magistrati sono inamovibili; c) regola a livello costituzionale la nomina dei magistrati; d) afferma che “Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite per legge. La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all’amministrazione giudiziaria”
Qualunque cosa significhi esattamente tutto ciò, non c’è alcun riferimenti ai professori universitari.
A questo punto mi sentirei autorizzata a dire perché secondo me l’art.33 non implica affatto che lo status dei docenti universitari debba necessariamente essere regolato per legge (il che non implica che io sia per la regolazione per contratto! eh! si badi bene!).
Allora: nella Costituzione abbiamo 3 articoli che parlano di Arte, Cultura, Scienze e pure Tecnica. Si parte dall’art. 9, che nella scrittura riportata dal Senato (e anche nel commento di Bobbio da me studiato al liceo….) rimanda agli art. 33 e 34: quindi vengono tutti messi nel calderone del diritto all’istruzione. In particolare il comma 1 e il 6 dell’art. 33 recitano:
C1. L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
C2. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato
Ecco: io nella mia semplicità penso che il comma 1 vada a regolare la libertà e l’autonomia della produzione artistica, della ricerca scientifica e del loro seguente insegnamento senza indicazione di DOVE e vengono prodotte, ne di dove e come vengano insegnate. Quindi sia nel pubblico che nel privato. Poi in commi successivi si indicano le condizioni per l’equipollenza (un capolavoro del compromesso e della confusione, direi). E in particolare, per quanto riguarda il “loro insegnamento” MI PARE si riferisca alle scuole di ogni ordine e grado, accademie e scuole elementari comprese.
Nel comma 6, poi, ci si riferisce esplicitamente a Istituzioni di Alta Cultura, Università ed Accademie che hanno diritto a darsi ordinamenti autonomi. Quindi non solo Università.
Tenuto conto di quanto scritto in tutti e tre gli articoli (che riporto in fondo per semplicità di consultazione), la libertà di cui si parla si può attribuire sia al singolo ricercatore, artista o insegnante che alla organizzazione, pubblica o privata entro cui opera, in base alla legge (org. Pubblica) o altro (org. Private). Per avere l’equipollenza le scuole private (ma suppongo intendessero tutti gli istituti di istruzione anche universitaria) devono garantire un “un trattamento scolastico equipollente” ai loro alunni (e studenti). Insomma, una scuola può anche insegnare che la terra è piatta ma se vuole l’equipollenza non può farlo … a meno che non entri nei nostri piani di studio statali! Più altre cosette, ma qui si parla d’altro.
L’autonomia ordinamentale, invece, non è più dettagliatamente specificata. Ma come mi insegnano anni di discussioni sia nel sindacato, che tra colleghi e con docenti universitari, non c’è accordo se si riferisca all’autonomia amministrativa, o a quella scientifica e didattica o a tutto. La realtà dei fatti ci indica che il Parlamento ha avallato la posizione degli ultimi Governi in carica (di tutti i colori) e spinto soprattutto su una autonomia di tipo amministrativo ma entro le regole comuni della PA , a parte qualche minima concessione. Nel caso delle Università questa autonomia ha anche un riflesso anche su aspetti che nella Scuola o nelle Accademie e negli Enti di Ricerca sono invece regolati mediante Contratto Collettivo Nazionale, e mi pare che questo venga estremamente apprezzato da molti docenti universitari (e chiesto anche da molti ricercatori di ente di ricerca) sia perché si ritiene che fornisca maggior controllo sulla propria autonoma determinazione nella organizzazione del lavoro, che indicativo in qualche modo di un maggior prestigio sociale e di maggiori garanzie di riconoscimento economico.
Ecco , qui, secondo me, ci sono una infinità di equivoci, nati dalla scarsa conoscenza di cosa sia un Contratta Nazionale di Lavoro (CCNL) e di cosa sia regolato per legge e cosa per contratto per le categorie contrattualizzate.
Per esempio, nei vari scambi di opinione ho letto che il CCNL garantisce maggiormente i lavoratori relativamente alle questioni che nelle Università sono regolate dai Codici Etici. CALMA E GESSO: A seguito della riforma Brunetta, è stato emanato un codice etico di riferimento valido per tutta la pubblica amministrazione, che i vari ministeri, enti, scuole , università, amministrazioni varie, possono modificare (nel senso di aggiungere, mai di togliere) e che poi può essere utilizzato per sanzionare comportamenti illeciti o non etici in base a quanto previsto alla lg. Brunetta stessa. PUNTO. Quindi siamo fuori del CCNL anche per quanti abbiano il CCNL.
Altro esempio: proprio Roberta Calvano teme che un CCNL possa introdurre, mediante la contrattazione di secondo livello, una enorme disparità nella organizzazione del lavoro tra i varii Atenei Italiani. Ma la Lg. Gelmini già ora dà la possibilità ai Senati Accademici (o come si chiamano) e ai CdA di determinare regolamenti, decidere autonomamente i criteri valutativi oggettivi in base ai quali attribuire o meno gli scatto triennali e quelli per l’attribuzione delle parti premiali della retribuzione.
Questo è quanto recita la lg. Gelmini: “I professori e i ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, fermo restando quanto previsto in materia dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. La valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 è di competenza delle singole università secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo. In caso di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può essere reiterata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico. Nell’ipotesi di mancata attribuzione dello scatto, la somma corrispondente è conferita al Fondo di ateneo per la premialita’ dei professori e dei ricercatori di cui all’articolo 9”
Ma di questo e di altri punti parla con molta più competenza Sinopoli nel suo pezzo su HP.
Io avrei alcune mie osservazioni su contratto e su determinazione dei rapporti di lavoro mediante legge, ma tutto sommato aggiungono poco a quanto detto da Francesco Sinopoli e magari alimentano altre polemiche. Vorrei solo aggiungere che secondo me una legge ben scritta tutela tanto quanto un CCNL ben scritto. A differenza di Francesco (che spero mi legga) io non ho il feticcio del contratto e penso che i sindacati possano avere un ruolo non marginale anche nella tutela dei lavoratori privi di CCNL (come dimostrano le lotte portate avanti da ADI negli anni passati o quelle portate avanti dalla CGIL stessa per la tutela dei precari e dei lavoratori atipici). Quello che fa la differenza è , e questo lo diciamo tutti, è il PRESTIGIO sociale e anche personale delle categorie coinvolte nella scrittura di questi documenti.
Ma non è la scrittura di una legge che può far aumentare la perduta stima che hanno i docenti universitari o quelli delle scuole di ogni ordine e grado agli occhi del popolo o del parlamento.
Appendice:
Articoli della Costituzione che parlano di ARTE, SCIENZA, TECNICA, CULTURA.
Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [33, 34].
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 33. L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
E` prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Art. 34. La scuola e` aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Monica De Simone, senza rimandarla a letture più approfondite che la collega Calvano saprà indicarle, diciamo che si era detto qualcosa in proposito quando si difendeva la Costituzione lo scorso novembre.
Tutte le opinioni sono rispettabili, ma evidentemente viviamo in due mondi diversi.
“lotte portate avanti dalla CGIL stessa per la tutela dei precari”?
Quali lotte? Dagli anni ’70 la CGIL ha difeso esclusivamente i garantiti e per gli altri si èpronunciata pro forma solo a giochi fatti, quando un cambiamento era ormai impossibile, E anche questo è succsso ben raramente.
Mi potrai dire che i sindacalisti francesi sono andati spesso allo scontro e hanno preso quasi sempre batoste ed è stato peggio.
Vabbene, non sono io professionista di sindacalismo. Posso solo dire che da quando ero studente alle superiori i confederali non hanno mai difeso un mio diritto. Tante belle parole, sempre, sì… Quinid, con rispetto, gentilezza, cortesia, ma… continuiamo ognuno per la propria strda, grazie.
PS: sia chiaro, nessuna polemica, è solo un commento personale che rispecchia le mie vicende personali, magari assolutamente non rappresentative. Non sono uno storico del sindacalismo; se lo fossi, magari avrei altre opinioni, o comunque quello che dico potrei documentarlo. Le esperienze che bruciano, bruciano, e non mi pare il caso di entrare in dettagli. Se poi la mia situazione è stata particolarmente sfortunata, pace, io non mi fido più. Pura posizione personale; per motivarla in maniera documentata sarebbero necessari studi di cui non ho tempo e neppure voglia.
ri-rispondo alla risposta di Izzo (la mia precedente risposta non è stata registrata…vabbè): avevo letto e apprezzato l’intervento segnalato. Solo, SECONDO ME (ma anche secondo i nostri legislatori, che p.es. nella lg 218/2016 di semplificazione degli EPR, mette nei VISTO e Considerato, proprio l’art.33 , riferendolo, evidentemente anche loro, agli EPR!) i commi 1 e 6 dell’art.33 si riferiscono anche ad altre ENTITA’ , tra cui appunto Accademie, ENTI di RICERCA, Conservatori, e comunque tutto ciò che possa essere assimilato a quello che alla fine degli anni ’40 i costituenti definivano Istituti di Alta Cultura e Accademie, accanto alle Università. Quindi tutto ciò che vale per le une e per
gli artisti, scienziati e insegnanti che vi prestano opera vale per gli altri. Quindi, CONTRATTO O LEGGE (per me non fa differenza alcuna) dovrebbe allo stesso modo tutte le figure suddette. Quindi anche i precari della ricerca. Ecco, io apprezzerei una discussione che riporti entro tutele simili tutti gli addetti a ricerca ed insegnamento dell’Università. E che non ignorasse in che altri comparti , parimenti tutelati dall’art.33 hanno operato con strumenti legislativi diversi.
“…altri comparti , parimenti tutelati dall’art.33 hanno operato con strumenti legislativi diversi.”
E’ vero. La tutela dell’ art. 33, teoricamente può essere realizzata attraverso forme diverse.
Tuttavia, proprio quello che e’ successo sul referendum del 4 dicembre dovrebbe aver insegnato che tra discorsi teorici e implementazione pratica puo’ passare un oceano. Con tutto lo sforzo di cercare di essere “laico” sulla questione, non posso non avere fortissimi dubbi che parlare di contrattualizzazione in questo preciso momento storico di inaudito attentato alle liberta’ dell’ art. 33 non sia cosa completamente neutra e senza rischi. E mi spiace vedere che proprio alcuni dei sindacati che dovrebbero aver più chiaro anche il senso del tempismo non vedano il pericolo.
Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito, tra cui naturalmente anche Francesco Sinopoli per la garbata risposta. Per quanto riguarda le domande che mi sono poste principalmente da Monica de Simone, confesso di non essere certa di aver compreso bene tutto, comunque provo a rispondere molto sinteticamente per quel che riesco, premettendo che non ritengo né ho mai ritenuto ovviamente che solo i costituzionalisti possano “leggere” le norme costituzionali, e che mi imbarazza abbastanza questo riferimento al mio titolo accademico e questa immagine dei costituzionalisti quasi come dei “santoni”. Oltretutto le posizioni dei costituzionalisti sono spesso variegate e così potrebbe essere anche su questo problema.
Venendo alla risposta:
– non ho fatto discendere automaticamente dall’art. 33 una automatica e tassativa obbligatorietà dell’opzione per il regime pubblicistico per i professori, ma solo rinvenuto nella norma costituzionale l’origine della preferenza del legislatore, per le ragioni che ho spiegato e che ritengo tuttora permanere;
– non ho detto che i professori debbano avere lo stesso ruolo dei magistrati e so bene quali e quante norme regolino la magistratura e che la stessa sia potere dello Stato. Ma questo cosa dimostra? Che allora la magistratura possa rimanere in regime pubblicistico e i docenti univ. no? Non mi sembra. Potere dello stato non lo sono i diplomatici, non lo sono i funzionari delle authority, non lo sono i militari.
– non capisco bene quello che Monica dice sulla scuola, ma soprattutto non capisco come questo influenzi la lettura delle norme che ho dato; posso solo ribadire che le singole Università godono in base all’art. 33 c. 6 di uno statuto di autonomia costituzionalmente garantito. Tale autonomia è quindi significativamente “più forte” di tutte le altre pure previste dall’ordinamento per il mondo dell’istruzione e ricerca;
– posso precisare (e questo chiarisce forse la differenza rispetto al mondo degli EPR) che, stanti libertà di ricerca e di insegnamento dei professori e ricercatori universitari, ciò che qualifica particolarmente la loro posizione a mio avviso è la didattica. Citando a braccio poi la posizione di Crisafulli, che è stato uno dei più grandi costituzionalisti italiani, la libertà di manifestazione del pensiero e di opinione di chi insegna si modulerà diversamente a seconda del livello dei discenti, potendo essere compressa questa libertà di fronte agli scolari e ai giovani studenti della scuola primaria, in ragione dell’esigenza di tutelare i diritti fondamentali di questi ultimi, mentre essa si espande al massimo grado nell’insegnamento universitario. Questo aspetto non si rinviene ovviamente allo stesso modo negli enti di ricerca, il che non toglie ovviamente come anche la ricerca richieda condizioni di indipendenza e imparzialità per chi la svolge e per essere vera ricerca scientifica. Da questo punto di vista sarebbe utile una riflessione sul ruolo degli enti di ricerca, in particolare nelle scienze sociali, che qui ovviamente non si
può fare, anche se naturalmente gli esempi che mi verrebbero alla mente sono molti… e riguardano sia gli enti di ricerca che più in generale la necessaria (a rischio?) libertà di chi fa ricerca nelle scienze sociali.
roberta.calvano@
Ottimamente detto, grazie per la lucidità :)
@MarcelloGA
Presenti i dati che sostengono la sua tesi e che dimostri la superiorità del sistema educativo anglosassone nel migliorare ed aumentare la qualità media degli studenti o riequilibrare le sperequazioni sociali esistenti.
Ovviamente NON basta guardare solo ed esclusivamente uno dei meschini ranking internazionali per blaterare sulla supposta superiorità che si rivela essere quasi sempre esclusivamente di stampo finanziario.
Il suo sembra il commento di un altro dei tanti miseri figli dell’agenda Monti (alias P.Ichino).
Mezze figure del mondo economico-accademico che non potendo concepire autonomamente sistemi educativi pluralistici, che effettivamente migliorano la qualità media degli studenti, si limitano a scimmiottare invidiosamente il sistema esclusivista anglosassone, non molto diversamente dei milioni di allenatori di calcio da bar sport presenti in Italia.
Sistema anglosassone che palesemente è foriero di un aumento di disuguaglianze sociali senza precedenti di cui gli Stati Uniti ne sono portabandiera.
“If America were really a land of opportunity, the life chances of success – of, say, winding up in the top 10 percent – of someone born to a poor or less-educated family would be the same as those of someone born to a rich, well-educated, and well-connected family. But that’s simply not the case, and there is some evidence that it’s getting less so. (Joseph E. Stiglitz, The Price of Inequality, W.W. Norton & Company, New York 2012, p. 18)”
La retorica da filmetto western sulle opportunità per tutti oramai fa effetto solo su qualche mediocre economista, accademico part time, ben retribuito dalle consulenze per il governante di turno al quale giura fedeltà (anche solo per ottenere un invito a Cernobbio).
Cordialmente