30 euro per almeno sei ore di lavoro di revisione.  E’ questa la misura di come viene considerato il lavoro scientifico e universitario in Italia. 

30 euro

Da alcuni giorni, l’Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)  sta inviando ai professori universitari (immaginiamo numerosi) delle diverse discipline una lunga email in italiano e in inglese dalla quale estrapoliamo la seguente richiesta:

“per garantire la qualità del processo di revisione peer i GEV hanno individuato, per ognuno dei settori scientifico-disciplinari afferenti all’area, un insieme di revisori potenziali sulla base di criteri legati al merito scientifico e all’esperienza di valutazione. Il Tuo nome fa parte dell’insieme. Ti chiediamo la disponibilità a valutare un insieme di prodotti, scelti in base alla Tua competenza…. Per la valutazione è previsto un compenso di 30 Euro lordi per prodotto”.

Non entriamo nel merito della VQR 2011/2014 e, più in generale, del sistema di valutazione, perché sono tanti i commenti critici in proposito – si veda per tutti la rivista on-line ROARS -, ci limitiamo, invece, a porre una domanda: “quanto vale il lavoro intellettuale e scientifico in Italia?”. Domanda retorica risponderebbero molti, perché è ormai noto a tutti che l’Italia (ossia chi ci governa) è diventata sempre più avara nei confronti di chi studia, ricerca e insegna, nonostante i proclami propagandistici che di volta in volta si susseguono; avarizia che va a braccetto ormai con la stultitia, viste le immani perdite in termini di innovazione, risorse umane e, dunque, anche in termini economici.

Ebbene, partendo dalla email ricevuta, abbiamo provato a fare un esercizio elementare, calcolare un monte ore astrattamente necessario per leggere e valutare i suddetti prodotti. Specifichiamo che i “prodotti” sono libri, saggi, articoli, e così via. Partiamo da un esempio semplice. Ipotizziamo che la revisione (che comprende lettura e valutazione scritta) di un articolo di dieci pagine, scritto in italiano e non particolarmente complesso dal punto di vista teorico e metodologico, necessiti di sei ore di lavoro intellettuale: 30 diviso 6 equivale a 5 Euro lordi per ogni ora impiegata. Certo è un po’ di più di quanto non prendano gli immigrati che lavorano in nero nei campi di pomodoro, ma la situazione si complicherebbe se la revisione dovesse riguardare un saggio di 50 pagine o, meglio ancora, una monografia di 100 e più pagine. Quante ore sarebbero necessarie per revisionare testi lunghi, complessi e magari non scritti nella nostra lingua madre? E quanto varrebbero le ore necessarie di lavoro? Esercizio matematico inutile perché i risultati, più che avvilenti, sarebbero ridicoli.

La nostra non è una lamentazione, anzi, chi scrive avrebbe accettato di farlo gratuitamente, così come lo fa puntualmente in tutte le occasioni in cui c’è da revisionare progetti di ricerca e quant’altro. Il punto è che, disgraziatamente, la tariffa dei 30 Euro è la misura di come viene considerato il lavoro scientifico e universitario italiano. E allora, ci sono due possibili conclusioni:

1) se questo lavoro è di poco conto, allora si abbia il coraggio di chiudere le università, risparmiando in stipendi e costi vari che riguardano non solo le singole università, ma anche ministeri ed enti vari, compresi quelli di valutazione, che vivono proprio per e dal sistema universitario – vorrà dire che dopo il liceo i nostri giovani andranno a studiare altrove, negli stessi luoghi dove si recano da laureati dei nostri atenei e dove sono per lo più apprezzati;

2) se la tariffa dei 30 Euro è simbolica, allora non la si dia ai professori revisori e, insieme ai compensi di tutti coloro che partecipano a vario titolo all’ANVUR, la si investa in posti di ricercatore e progressioni di carriera.
Questo sarebbe un bel modo di sentirsi parte della comunità scientifica italiana.

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16 Commenti

  1. Ma va! Trenta euro (o trenta denari?) per andare a spulciare una tabella e trasferire la classe GEV della rivista pari pari all’articolo stesso sono persino troppi…
    Cosa dici? Che non è questo che dovrebbe fare una peer review seria? Ma sei proprio sicuro che all’ANVUR non la intendano invece davvero così, la peer review?

    • È ancora il più facile e veloce, si legge il titolo, si guarda chi l’ha scritto e si dá il voto… Sono 30″, diciamo un minuto, login e download compresi.
      Dai miei conti sono 1800 euri/ora.

    • E’ esattamente questo che deve fare un “reviewer serio” … diciamo semiserio: il reviewer semiserio vede in che fascia della cravatta cade il lavoro da rivedere e lo colloca esattamente li . ci metterà un po’ più dei trenta secondi proposti da Beniamino, ma in questo modo non si creeranno disparità con quelli che si son presi la loro cravatta automatica.

  2. sono pochi, ma in linea con la situazione.
    Chi è strutturato, non si lamenti e si ritenga fortunato (sebbene giustamente strutturato con merito).
    Io sono disoccupato in quanto precario scaduto.
    2 dei miei 3 LIBRI li ho scritti senza contratto e senza copertura spaccandomi la schiena GRATIS.
    Dopodiché è una situazione brutta; speriamo cambi subito, altrimenti i miei 3 libri li dovrò utilizzare come carta igienica.
    Spero di essere stato chiaro.

    • La questione posta secondo me non è codesta, e lo si legge nell’ultimo punto del post “se la tariffa è simbolica …” che non se ne fa una questione di giusto compenso. Una valutazione che costa tantissimo,(una frazione considerevole dei fondi che distribuisce) e che se dovesse remunerare in maniera corretta il lavoro che comporta, dovrebbe costare varie volte tanto, è semplicemente un assurdo.. come la storiella del tizio che finisce i risparmi per comprare la cassaforte con cui li vorrebbe proteggere… L’alternativa (non migliore) è che l’attività di valutazione sia fatta “tirando via” peggiorando ancora il risultato che già per vizi di costruzione, sappiamo essere questionabile.

  3. Soldi buttati a prescindere perché la revisione di un articolo pubblicato è stata già fatta. Allora non si capisce per quale ragione deve essere rivalutato, forse perché 1) Non ci fidiamo delle riviste anche prestigiose. E allora togliamo di mezzo la classificazione delle riviste ovvero una vale una 2) bisogna dare una parvenza di controllo del processo di valutazione, ma allora voglio sapere i nomi dei reviewer per poter meglio selezionare gli articoli che dovrò inviare. Sono assolutamente certo che molti revisori si ritroveranno a valutare articoli che neanche capiscono.

    • Un revisore onesto manda indietro un articolo che nemmeno capisce. Oppure si fa… “in quattro” per cercare di capirlo. Alcuni referaggi sono stati più faticosi e difficili che scrivere un lavoro tutto mio, ma li ho comunque fatti volentieri. Sul resto sono naturalmente d’accordo!

  4. Tutto il sistema scientifico si basa (per ottimi motivi, ma non è questo il punto) su un lavoro editoriale e di revisione completamente gratuito. Il token di 30 euro a lavoro è sicuramente un pagamento di cortesia, una formalità. Prenderlo come una misura del valore della ricerca è semplicemente una provocazione.

    • La comprensione testuale è quasi corretta (il testo sembrava facile, ma evidentemente non lo era poi così tanto).

    • “Prenderlo come una misura del valore della ricerca è semplicemente una provocazione.” A me sembra che la frase denoti
      problemi (gravi) di comprensione.

    • Forse in altre aree. Ma non in economia, dove una porzione significativa delle riviste (sicuramente molte delle maggiori) si fa pagare le submissions proprio per il (supposto) costo del referaggio. Che poi ai referee arrivi qualcosa o meno, è un altro discorso. Però lì un valore economico alla “revisione” viene dato su basi, per così dire, di mercato (= in genere, migliore è la rivista e più si paga per submittare).
      Personalmente trovo la cosa disdicevole e mi sono sempre rifiutato di mandare i miei lavori alle riviste che si fanno pagare. Ma qualcuno potrebbe anche ribattere che, trattandosi appunto delle principali riviste, il mio è un po’ l’atteggiamento della volpe con l’uva…

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