Nello scorso autunno, un duro scontro si è svolto tra l’amministrazione del CNR e la rete scientifica a seguito dell’annuncio di una serie di azioni draconiane nei confronti degli istituti di ricerca[1], apparentemente motivate dalla necessità di chiudere in pareggio il bilancio di previsione 2019 a fronte di una significativa riduzione del Finanziamento Ordinario (FOE). Queste misure, per la loro iniquità e per la maniera verticistica con cui erano state imposte, avevano prodotto una vasta mobilitazione che, per la prima volta, ha visto protestare non solo i ricercatori, ma anche tutti i direttori di istituto e di dipartimento. Anche per effetto di questa reazione collettiva, che ha avuto una certa risonanza negli organi di informazione, il governo aveva varato in extremis un aumento della quota FOE in sede di legge di bilancio, portando al congelamento di queste misure, e riportando una calma apparente nei rapporti, sempre difficili, tra ricercatori e amministrazione centrale dell’Ente.
Tuttavia, dalla fine di Gennaio, una serie ravvicinata di circolari zelantemente prodotte dal dott. Brignone, Direttore Generale del CNR, ha riacceso il conflitto, aprendolo anche su nuovi fronti. Per questo motivo, ricercatori e tecnologi del CNR hanno indetto, a partire dal 1 aprile, uno sciopero che si protrarrà ad oltranza fino al ritiro delle circolari e all’ apertura di una interlocuzione che superi l’approccio verticistico che finora ha caratterizzato la gestione dell’Ente.
Lo sciopero richiama alcune delle azioni di lotta dei docenti universitari, che si sono mobilitati negli ultimi anni astenendosi esclusivamente da alcune sessioni dagli esami di profitto, ma non dalle ulteriori attività. La protesta dei ricercatori CNR, a suo modo innovativa e assimilabile a uno sciopero bianco, si articolerà nella rigida e letterale applicazione del contratto collettivo. Così facendo, lo sciopero colpirà al cuore la gestione dell’orario di lavoro del personale di ricerca, uno degli aspetti vessatori di queste circolari. Attraverso le sue disposizioni, la dirigenza del CNR mira infatti a intervenire su quelle norme contrattuali che assicurano ai ricercatori e tecnologi degli Enti di ricerca un’ampia flessibilità dell’orario di lavoro per adattarlo alle necessità della ricerca, costituzionalmente garantita. Invero, non si tratta un tentativo nuovo, tanto che simili azioni da parte dei vertici del CNR sono state anche oggetto di vicende giudiziarie, risoltesi a sfavore del CNR[2].
La questione è piuttosto complessa – e va dalla modalità di rilevamento della presenza in istituto alla mancanza di un obbligo di presenza giornaliera. Al pari dei colleghi universitari, i ricercatori del CNR hanno un obbligo orario complessivo che comprende la possibilità di autocertificare l’attività lavorativa, esattamente come nel caso dei registri dei docenti universitari. Diversamente, lo spirito della circolare si può riassumere in un tentativo di anteporre gli aspetti amministrativi (ad esempio l’orario di apertura di un istituto) alla norma contrattuale che sancisce per il ricercatore l’autonoma gestione del proprio tempo/lavoro, cercando di adattare ad un contesto “impiegatizio” le peculiarità della sua attività[3].
Merita poi una menzione a parte lo strampalato riferimento alla Carta Europea dei ricercatori fatto dal direttore generale quando, richiamando la necessità della “verificabilità” delle attività di ricerca dei ricercatori e tecnologi e riconoscendo che questa è garantita dalla produzione scientifica, nota però che questa verificabilità deve essere anche amministrativa. Come se il “dove”, il “come” e il “quando” si sia prodotto un certo risultato intellettuale possano avere una qualche rilevanza.
Aspetti altrettanto gravi sono quelli contenuti nella circolare sulla gestione contabile dei progetti di ricerca, rispetto alla quale l’amministrazione CNR intende introdurre dei meccanismi nella gestione dei cosiddetti “residui” (le economie da progetti conclusi e i costi di personale riconosciuti come costi diretti) che, incomprensibili nello spirito, nella pratica rischiano di bloccare l’attività scientifica dell’Ente. Infatti, con la nuova contabilità viene fatto divieto di utilizzare queste risorse per l’assunzione di personale a tempo determinato (e dunque ricercatori a tempo determinato, ma anche assegnisti di ricerca e dottorandi). Stante l’imprevedibilità dei meccanismi di finanziamento, è ovvio per chiunque abbia a che fare con il modo della ricerca che l’utilizzo di questi fondi rappresenti uno strumento necessario per garantire la continuità lavorativa al personale a tempo determinato e la sopravvivenza stessa delle attività. Allo stesso modo, la possibilità di finanziare personale da dedicare ad attività non vincolata a finanziamenti esterni è l’unica possibilità per salvaguardare concretamente lo spirito di “curiosità” che è intrinseco alla ricerca.
Naturalmente, anche in questa circolare, non mancano le perle, come quella di ritenere che i residui possano essere utilizzati solo dopo che l’iter contabile del progetto (audit incluso) sia terminato. Poiché spesso l’audit segue di diversi anni (anche una decina nel caso dei PRIN) la conclusione delle attività di ricerca, una simile regola sostanzialmente toglie dalla disponibilità dei ricercatori i residui.
Ipoteticamente, un atteggiamento verticistico nella gestione delle risorse potrebbe al limite avere ragion d’essere in una struttura in cui i fondi per la ricerca fossero distribuiti dall’alto. Ma non è certo questo il caso del CNR, dove da anni non esistono finanziamenti alla ricerca provenienti dal FOE e neanche i pur striminziti progetti di Ateneo presenti nelle Università. Nel CNR, sono i ricercatori a procurarsi la totalità dei finanziamenti, senza supporto alcuno da parte dell’amministrazione centrale. Proprio per questo, il CNR anziché accampare pretese sui fondi attratti dai ricercatori, dovrebbe invece dotarsi di strutture adeguate a coadiuvare le attività di ricerca, che oggi non possono prescindere dall’insieme di azioni di supporto materiale e immateriale necessarie al successo nei bandi competitivi,
Ma la realtà purtroppo è ben diversa. Il vertice del CNR non mira a valorizzare il proprio personale amministrativo e tecnico, non ne indirizza lo sviluppo professionale verso quelle mansioni che sono necessarie a svolgere queste funzioni di supporto, non intende creare un’infrastruttura di ricerca moderna ed efficiente. Piuttosto, fedele ad una visione – che va necessariamente superata – del più grande ente di ricerca italiano come un pezzo della Pubblica Amministrazione, nella sua accezione più burocratica, attraverso alcuni artifici contabili e un’interpretazione a dir poco discutibile del contratto di lavoro, prova a imporre delle significative limitazioni alla libertà dei ricercatori, di fatto violando il principio sancito costituzionalmente nell’Articolo 33 e rischiando di bloccare l’attività scientifica del più grande ente di ricerca italiano.
[1] Le misure prevedevano il prelievo di una quota di overhead sui progetti in corso, del costo esposto come personale dipendente nei progetti full-cost, il ritorno al pagamento decentrato delle utenze e cofinanziamento delle stabilizzazioni Madia.
[2] Si veda ad esempio la vicenda conclusasi con il reintegro di un ricercatore ingiustamente licenziato (http://www.articolo33.it/index.php/campagne/50-orario-di-lavoro-dei-ricercaori/159-lincredibile-storia-a-lieto-fine-di-un-ricercatore-del-cnr-).
[3] Una disamina ampia della circolare le sue criticità si può trovare qui: https://ilnostrocnr.it/2019/03/14/perche-la-circolare-9-2019-e-in-larga-parte-illegittima/
Come funziona questo sciopero bianco quindi? Da che attività si stanno astenendo?
Bisogna anche fare attenzione a come queste posizioni si rapportano, soprattutto per quanto riguarda le problematiche della gestione dei fondi di progetto, al processo di applicazione della Legge Madia, volto alla stabilizzazione di diverse centinaia di Ricercatori precari, in corso al CNR da più di un anno con una temporizzazione non sempre serena e una conclusione purtroppo ancora incerta. Il video di una ampia, recente discussione pubblica su questo delicatissimo tema si può trovare online:
https://www.youtube.com/watch?v=BrR7Bzv1CCU
A me sembra, da quel che leggo, che ciò che sta succedendo al CNR sia un condensato e un modello di quanto sta succedendo e succederà nelle università, le quali però per forza di cose devono rimanere ed essere più elastiche (se non sbaglio). E cioè: burocratizzazione e standardizzazione delle procedure di qualsiasi tipo (ma: ristandardizzando continuamente, dunque destabilizzando nella sostanza, creando incertezze continue), contabilizzazione algoritmizzata fino all’ultima virgola dei ‘prodotti’ della ricerca (anche qui con continui ritocchi), infusione (continua) di paura, top-down. Riassumendo: un flusso continuo e alla fine incontrollato e incontrollabile di procedimenti traballanti (tipo zattera alla deriva in un torrente impetuoso). Spreco da una parte (quella alta) per risparmiare dall’altra (quella bassa). In quella bassa, tutti lo ammettono (nei corridoi), e tutti l’accettano (nei consessi dominati ugualmente dalla burocrazia e dall’esercizio del potere). Che ricerca viene e verrà fuori da tutto questo? Conformista e ripetitiva in grandi quantità, quantità illeggibili, ripetitive e inutili.