In ottemperanza al D.Lgs. n.19 del 27 gennaio 2012, l’ANVUR si è dedicata alla valutazione della didattica universitaria introducendo il sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica, Accreditamento), primo della lunga serie di acronimi poco comprensibili di cui fanno parte anche AQ (assicurazione di qualità), AP (accreditamento periodico), SUA (Scheda Unica Annuale), CEV (Commissioni di esperti per la valutazione), TECO (Test sulle competenze effettive di carattere generalista dei laureandi italiani).

Il 24 aprile 2014 l’ANVUR ha diffuso le linee guida per l’accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio. Si tratta, a parere di molti, di 57 pagine di “delirio burocratico” che faranno perdere ulteriore tempo e risorse agli Atenei senza produrre nulla di utile ai fini della valutazione.

Ci sono 7 requisiti di assicurazione della qualità (AQ). Ne riportiamo uno a caso: “Requisito per l’AQ 3 – L’Ateneo chiede ai Corsi di Studio di praticare il miglioramento continuo della qualità, puntando verso risultati di sempre maggior valore?”.

Ma che roba è? Sembrano i test di Emilio Fede di qualche anno fa. Come è verificabile questa cosa? A cosa serve? Come contribuisce all’effettiva qualità degli insegnamenti universitari?

Per ogni requisito ci sono delle schede di raccolta di parametri e di informazioni cervellotiche e poco comprensibili: es. “L’Ateneo, a livello centrale o a quello delle Strutture intermedie (Dipartimento, Scuola, Struttura di raccordo…) ricorre a strumenti organizzativi e/o incentivi per favorire la pratica del miglioramento continuo ai livelli sia centrale sia delle strutture periferiche?”.

Ma come verranno compilate queste schede? Ovviamente con delle visite in loco dei CEV, le commissioni di esperti di valutazione. Addirittura a pagina 13 del documento ANVUR c’è lo schema della “giornata tipo” dei CEV per ogni giorno della settimana, dalla domenica al venerdì! Incontri, riunioni, visite alle aule, ispezioni. Sono coinvolti per ogni Ateneo: rettore, prorettori, senato accademico, consiglio di amministrazione, direttore generale, coordinatore del presidio di qualità, direttori dei dipartimenti, dirigenti, coordinatori dei corsi di studio, commissioni paritetiche dei corsi di studio, corpo docente, personale tecnico-amministrativo, studenti, ex-alunni, datori di lavoro.

Inoltre, scrive l’ANVUR, fra le ore 17.30 e le 18.30 di mercoledì, giovedì e venerdì ”la CEV è disponibile per incontrare qualunque soggetto interessato che abbia chiesto di incontrarla”! Quasi quasi mi prenoto, solo per dire loro che sono inutili e che stanno facendo una cosa senza senso con spreco di soldi pubblici.

Ma al MIUR e all’ANVUR pensano davvero che negli Atenei abbiamo tutto questo tempo da buttar via per un adempimento inutile e burocratico? E poi, qualcuno sa quanto costa questa operazione e chi ne sostiene le spese?

L’equivoco di fondo è chiaro. L’operazione AVA, con annessi e connessi, valuta il mezzo e non il fine. Essa ha generato un complesso impianto burocratico per la valutazione di documenti, strutture organizzative, aule, locali, strumenti. Non si valuta invece il vero obiettivo dell’attività formativa universitaria: ovvero cosa fanno o faranno nella vita i laureati. Questo aspetto è sì presente nella complessa architettura dei requisiti QA dell’AVA, ma si basa su dati incerti, non rappresentativi e poco utilizzabili.

Per una valutazione seria, semplice e oggettiva dell’attività didattica degli Atenei, a costo praticamente zero, basterebbe fare una cosa semplice: andare a vedere cosa fanno i laureati di ogni Ateneo, se lavorano o non lavorano, se sono rimasti in Italia o se sono emigrati all’estero per disperazione, quanto guadagnano o, meglio, quanto dichiarano.

Per fare tutto questo basterebbe aggregare, per Ateneo e per classe di laurea, le dichiarazioni dei redditi dei laureati per esempio degli ultimi 10 anni. Ovviamente i confronti devono essere fatti per classe di laurea: i medici con i medici, i giuristi con i giuristi, gli ingegneri con gli ingegneri, un po’ come si è fatto con la VQR per la ricerca.

I dati necessari sono già in possesso del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e, per di più, sono già informatizzati, senza bisogno del CINECA. Basterebbero dieci righe di codice per dotare il Paese del più formidabile e completo sistema di valutazione della formazione universitaria al mondo, senza bisogno di ANVUR, AVA, SUA, AQ, AP, CEV. Forse non ci sarebbe bisogno nemmeno del MIUR che, tra l’altro, è di fatto diventato negli ultimi anni poco più di una succursale del MEF.

Non si capisce perché ci dobbiamo ostinare a valutare minuziosamente il mezzo (documenti, scartoffie, aule, programmi, corpo docente) quando perdiamo clamorosamente di vista il fine. E il fine dell’Università è quello di fare ricerca di qualità e di organizzare percorsi formativi utili per inserire i nostri giovani nel mondo del lavoro. Tutto il resto non conta o conta molto poco e, quindi, è inutile valutarlo.

L’attuale Governo, come i precedenti, è all’affannosa ricerca di enti inutili da sopprimere: iniziamo con l’ANVUR, con risparmio immediato di oltre 10 milioni per anno, e poi pensiamo seriamente anche al MIUR. Sono in tanti ormai a pensare che oggi esso potrebbe perdere tranquillamente la U e l’Università funzionerebbe assai meglio, autoregolandosi come un sistema complesso come avviene in molti altri Paesi.

Nicola Casagli

Professore ordinario di Geologia Applicata presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Firenze. Già direttore del Dipartimento e membro del Senato Accademico. Non ricopre più cariche accademiche, per scelta personale, nell’attesa che l’Università venga liberata dall’inutile burocrazia che la sta soffocando.

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21 Commenti

  1. Sono perfettamente d’accordo sulla pars destruens: ormai i bambini che stanno gridando che il Re è nudo sono molti e autorevoli. Ho invece qualche appunto da fare sulla pars costruens. Probabilmente quello che viene qui proposto è uno strumento molto utile, ma non può essere considerato l’unico. L’insegnamento non consiste solo in «percorsi formativi utili per inserire i nostri giovani nel mondo del lavoro». Questa è una finalità importante ed essenziale, ma se l’Università servisse solo e direttamente a questo sarebbe ben poco ambiziosa, e l’esistenza di molti insegnamenti, e forse interi corsi di laurea, a stento si giustificherebbe (e non parlo solo degli insegnamenti umanistici). Certo, è vero che il resto è difficile da valutare, ma non è difficile per esempio dare ascolto alle voci degli studenti. Essi potrebbero dichiarare di essere felici del loro studio pure se esso non ha (per ora) brillanti sbocchi lavorativi: e questo giudizio non sarebbe affatto trascurabile. Mi pare inoltre che sia un poco frettoloso usare il successo professionale come valutazione diretta dell’Università, ignorando quale sia il peso che sul primo è esercitato da scelte politiche nazionali e anche sovranazionali, o comunque da contingenze non controllabili.

  2. Tra i tanti adempimenti che sono trascurati da anni ce ne sarebbe uno che potrebbe DAVVERO migliorare l’università: L’Anagrafe Nazionale Nominativa dei
    Professori e dei Ricercatori e delle Pubblicazioni Scientifiche(ANPRePS). Un elenco trasparente di chi ha fatto cosa, consultabile da tutti. QUESTA sarebbe qualcosa di utile, al limite anche per calcolare in modo un minimo più accurato queste benedette mediane…

    • Convengo con l’utilità dell’ANPRePS. Ma non per calcolare mediane. Se rimaniamo in questa logica verremo sommersi dalla fuffa (più di quanto non lo siamo già ora).

    • fermi tutti: L’ANPRePS è utile per esseguire una valutazione seria. Ecco l’elenco delle pubblicazioni, ciasuno può giudicare la produttività dei docenti secondo i criteri il più scientifici possibili. L’ANPRePS rappresenta la “base dei dati” per qualsiasi tipo di valutazione. Per cui, penso che dovrebbe esssre la priorità assoluta del ministero piuttosto che dedicarsi ad altri adempimenti burocratici che mi sembrano di minima efficiacia e di difficilissima realizzazione.

      Per quanto riguarda le “mediane”, ovviamente il mio auspicio è che non siano utilizzate nelle valutazioni future, ma si sviluppi un uso informativo e non normativo della bibliometria.
      Tra le due opzioni, le mediane calcolate “suffragando” il sito sito cineca con l’ANPRePS e utilizzando direttamente l’ANPRePS direi che il male minore è sicuramente il secondo.

  3. Le critiche all’impianto del “sistema AVA” come congegnato dal Decreto Ministeriale ed implementato dall’ANVUR non dovrebbero far perdere di vista a che cosa serve un Sistema di Garanzia della Qualità, le relative norme e procedure – e perché il laissez-faire non è una buona filosofia nemmeno nell’ambito universitario.
    L’autore dell’articolo è palesemente ignaro delle politiche pubbliche su questa materia, come applicate nel resto del mondo. Ovviamente le condizioni giuridiche e le tradizioni accademiche non consentono una traslazione meccanica di norme e metodi, ma è opportuno affermare con nettezza che una politica sulla materia va attuata.

    • SGM: sistema di gestione (non di garanzia) della qualità… oppure anche “sue gentili mani”

    • Il laissez-faire non è sempre una buona strategia, giustissimo, e controlli minimi sono indispensabili, così come gli apparecchi elettrici devono sottostare a requisiti di qualità che ne assicurino la non pericolistà. Però coloro che da tempo stanno mettendo in luce le storture evidenti degli attuali sistemi non possono neppure sentirsi ripetere all’infinito che «un sistema difettoso è meglio di niente». Questa è un’evidentissima falsità: un sistema cattivo può essere molto peggio che niente. Un medico, in attesa di comprendere se ci sia una malattia, e quale sia, e quale sia la terapia migliore, non prescrive farmaci a caso, e se lo facesse non potrebbe difendersi sostenendo che «un farmaco sbagliato è meglio che niente» e accusando il suo critico di essere un retrogrado nemico della medicina.

    • E invece io mi riferivo ad un sistema di Garanzia della Qualità, caro @bengi
      Se vuole, anche in Inglese, Quality Assurance System.
      Non so che osservazione volesse fare Lei.

    • ce l’ho solo con l’ANVUR che scimmiotta l’ISO, non con Lei, ma il mio post laconico si prestava alla doppia interpretazione…

    • La storia della Quality Assurance in ambito educativo ha avuto, e può avere, contatti con quella delle norme ISO. Tuttavia faccio notare che buona parte del lavoro della teoria e della prassi è stato quello di sviluppare modelli autonomi e specifici alla natura del servizio educativo (e all’ambito Universitario, nel nostro caso) proprio per discostarsi dalla tipologia ISO, che ha avuto origine in ambito manifatturiero.
      Se uno è bravo, sviluppa il proprio modello (inteso, a livello di istituzione, e/o come sistema nazionale), se non è bravo può anche appoggiarsi al sistema ISO, in prima battuta.

  4. Ho come l’impressione che dietro a tutto questo farneticare dell’ANVUR ci sia solo una persona e che gli altri lo lascino fare. Il linguaggio è sempre lo stesso, come l’uso a sproposito degli acronimi. Il Nostro si cela dietro un ipotetico QMS (quality management system) di qualitese memoria. Il qualitese, tra gli auditor (ISO 19011), è il linguaggio che si usa dopo aver partecipato a un corso sulle norme ISO (9000, 9001, 19011 etc…) senza però essere diventati auditor.
    Insomma, l’auditor sta al Nostro come il medico sta all’ipocondriaco.

    • Nel nostro Ateneo si è già tenuto, come penso altrove, una specie di addestramento all’Ava, da parte di una funzionaria preposta e addestrata a sua volta a questo compito. Dopo che una mia collega ci ha partecipato, si è convinta, finalmente, che questa pressione verbale e psicologica non era più tollerabile. In particolare, era allarmata dalla minaccia di chiusura di un CdL se per la seconda volta (a distanza di qualche anno o meno dalla prima) non si soddisfacessero certi parametri di qualità, come possibilità di impiego da parte dei laureati ecc., procedimento attraverso il quale impropriamente si addossavano al CdL responsabilità o più generalmente fatti più ampiamente sociali. Chi ha deciso che questi siano parametri diagnostici? L’Anvur, ovvviamente, sentito il MIUR, immagino, o la Crui o chi altro. Per non parlare delle esperienze pregresse di completa inaffidabilità degli organi superiori intra-ateneo circa programmazione e termini di chiusura dei procedimenti valutativi.

    • “Chi ha deciso che questi siano parametri diagnostici?”

      La domanda pone né più né meno un frammento della discussione che caratterizza il dibattito in materia di “qualità dell’istruzione/qualità dell’offerta formativa” da sempre – il che vuol dire: da 50-60 anni negli USA, da 20-30 in UK, da 15-20 anni nella maggior parte d’Europa, da oggi anche in Italia.
      Benvenuti in questo dibattito, a cui in Italia sono intervenuti soprattutto economisti, i quali hanno determinato i canoni del “senso comune” sulla materia, avendo accesso ai grandi giornali ma senza sapere nulla di specifico/scientifico.
      Se volete evitare di essere asfaltati da costoro, dovete organizzarvi…

  5. Benvenuto nel Crui = Club (Ava)Rottamatori degli universitari italiani. Meglio tardi che mai. Tutti siamo d’accordo che il controllo, la verifica e la messa a punto, ciclici, sono normali e indispensabili. I suoi rilievi all’Ava sono senz’altro condivisibili. Sorprende però questo, come fatto già notare: “Per una valutazione seria, semplice e oggettiva dell’attività didattica degli Atenei, a costo praticamente zero, basterebbe fare una cosa semplice: andare a vedere cosa fanno i laureati di ogni Ateneo, se lavorano o non lavorano, se sono rimasti in Italia o se sono emigrati all’estero per disperazione, quanto guadagnano o, meglio, quanto dichiarano.” Molti corsi di laurea di tipo umanistico preparano in teoria per l’insegnamento nella scuola, per fare gli archeologi ecc. Ma se la scuola non assorbe i laureati, o se i cantieri archeologici non vengono finanziati e gli enti connessi (beni culturali ecc.) non assumono, chiudiamo i relativi corsi di laurea? Insisterei anche sulle distorsioni che tutte queste cervellotiche procedure di valutazione stanno già producendo nei fatti e nella mentalità delle persone. Totalmente d’accordo sulla assoluta urgenza di chiudere l’Anvur e, aggiungerei, di non riutilizzare le stesse persone con una procedura di reciclaggio, perché il guaio non sta nell’Anvur, ma nelle persone che l’hanno progettata così e che la gestiscono così. Come per l’istruttiva vicenda dei treni francesi: non è colpa dei treni o delle stazioni o dei viaggiatori (che non hanno protestato per tempo!), ma della stupidità diffusa di chi ha guidato la progettazione e la realizzazione. E’ stato già detto ma vale la pena di ripeterlo: chi valuta l’Anvur? Chi controlla il controllore?

  6. Articolo che fa riflettere! Ho iniziato la carriera universitaria 20 anni fa perchè mi piaceva studiare, cercare articoli e trasmettere agli studenti ciò che imparavo e sperimentavo. Oggi devo passara la maggior parte del tempo a riempire moduli ex-novo per ogni cosa.
    I poteri di indirizzo che una volta erano nelle mani del Ministero sono oggi appannaggio dell’ANVUR. Oggi siamo costretti a lasciare poco spazio agli studenti perchè altrimenti non raggiungiamo/rimaniamo con le mediane in regola.
    Il controllo è necessario però cerchiamo di tornare anche a ricordare a chi ci governa che i docenti universitari devono fare ricerca, didattica e, per i docenti di materie cliniche, anche assistenza!
    Andando avanti così la valutazione verra travolta come qualcuno già suggerisce…

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