1.Con riferimento al ruolo dell’università in generale
Si è concordi nel ritenere che esiste un principio universale che l’università deve difendere. Principio che consiste nella piena libertà della ricerca e della sua espressione come pure nel diritto dell’umanità alla conoscenza e al libero uso di essa. Per molti secoli il mondo ha ritenuto che questo principio fosse essenziale per la libertà, il benessere e il progresso umano, ma oggi è sottoposto in molti paesi a sistematici e seri attacchi. E’ quindi opportuno che le istituzioni di alta cultura di tutto il mondo si uniscano nell’affermare questo principio.
Con queste parole la Columbia University, in occasione delle celebrazioni del suo bicentenario, invita tutte le università del mondo a misurarsi con le implicazioni etiche, scientifiche e culturali riguardanti il diritto fondamentale dell’uomo alla conoscenza e al suo libero uso, principio che mette in evidenza l’esigenza di difendere la libertà e la personalità dell’individuo di fronte ad ogni autorità e ad ogni potere. Un invito diretto a difendere e a promuovere lo spirito critico che deve animare la ricerca scientifica e, al tempo stesso, un invito a contrastare lo spirito dogmatico che non soltanto esclude ogni possibilità di fare ricerca per affermare il principio di libertà contro quello dell’autorità, ma che impedisce anche, sul piano morale e sociale, ogni progresso e ogni sviluppo autonomo della personalità.
Compito dell’università è così quello di rivendicare sempre i diritti del dubbio e della critica contro le pretese di un fazioso dogmatismo che significa accettare gli argomenti della politica pratica senza discuterli, essere complici della propaganda, usare un linguaggio ambiguo, rifiutare la comprensione e la conoscenza, non volere infrangere miti, non riuscire a combattere la cristallizzazione delle idee, non spezzare il circolo chiuso di impotenza e di paura che spesso, e oggi sempre di più, ci circonda come singoli e come collettività. Se quindi l’università intende essere una risorsa fondamentale per il presente e per il futuro di una società, si deve sempre più connotare come luogo della creatività e del libero pensiero, nell’idea che una università modellata solo sulle esigenze del presente sia un’università che non ascolta più la sua storia.
In particolare si può considerare la ricerca, di base e applicata, come il motore vitale dell’ università soprattutto nel rafforzare e nel sostenere l’insegnamento, anche se l’università non deve orientarsi solo su ciò che viene appreso, ma anche su come si apprende, sempre che lo scopo educativo principale sia quello di “addestrare” gli studenti a pensare. L’università lo può fare se riesce ad “addestrare” a ricercare e a comprendere i significati, a mettere in discussione le interpretazioni fornite, a individuare ciò che è rilevante per la soluzione di un problema, a verificare criticamente le conoscenze impartite, a muoversi nella complessità del mondo. Non sono forse queste le qualità che ogni società ha bisogno di trovare nei propri cittadini e non sono le stesse che l’ università deve cercare di praticare?
Vi è in nell’università una potente alchimia di teorie e di pratiche, di saperi e di tecniche in grado di restituire alla società flussi di competenze creative che ne rinnovano di continuo la vitalità sociale e culturale. E tutto ciò non solo è in grado di presentare agli studenti una ricchezza di conoscenze e di opportunità senza pari, ma fa sì che l’università sia capace di ristrutturare e rimodellare le proprie competenze per affrontare i numerosi problemi interdisciplinari della contemporaneità e per esplorare percorsi conoscitivi nuovi e inaspettati.
In realtà i responsabili delle politiche formative attuali sembrano considerare l’università sempre più come una sorta di supermercato in grado di offrire una vasta gamma di beni pubblici e privati di cui oggi vi è richiesta, mentre l’università ha un ruolo completamente diverso: quello di contribuire a creare un ambiente favorevole alla creatività e all’innovazione.
Il riconoscimento che il progresso morale, sociale e politico non ha tenuto il passo della conoscenza sempre più approfondita del mondo fisico dimostra che vi è bisogno di una ricerca più approfondita, di intuizioni originali, di una critica rigorosa e di creatività nelle conoscenze tutte, piuttosto che in poche discipline accademiche.Nessuna disciplina in se stessa è, infatti, sufficiente a cogliere l’intero sia dell’individuo che della società; è quindi sull’università la scommessa della possibilità di recuperare l’unitarietà dei saperi e dei metodi che si fa urgente in tempi in cui la diaspora delle dottrine rischia di partorire una più grave diaspora delle identità. Esigere allora dall’università che risponda a priorità politiche a breve termine è un non senso.
Ma è in grado l’università di praticare, o almeno di indicare, dei percorsi di conoscenza critica o ha ragione Kafka quando, nei Racconti, esprime l’idea che l’educazione mira solo a respingere l’assalto delle persone ignoranti alla città e poi a introdurre quelle stesse persone umiliate nella menzogna?
2. Con riferimento all’Università degli studi di Milano-Bicocca in particolare
Il Decreto n.47 del 30 gennaio 2013 del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, denominato “Autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica”, come anche i Decreti Ministeriali relativi al diritto allo studio e al dottorato unitamente ai tagli praticati al Fondo di finanziamento ordinario, risulta essere penalizzante e punitivo nei confronti del sistema delle università pubbliche del nostro Paese, in particolare per quelle università virtuose come Bicocca.
L’Università di Milano-Bicocca con il suo organico di docenti di ruolo eroga, infatti, 25.000 ore di didattica in più di quanto il Ministero intenda prevedere ed attira più studenti di quanto avrebbe previsto il Ministero.
Primo paradosso: l’università sia meno virtuosa e serri le porte agli utenti.
Secondo paradosso: sembra che siano entrate in clandestinità tutte le altre figure di docenti come i professori a contratto, gli assegnisti, i dottori di ricerca, i tutor, i cultori della materia e così via, senza i quali buona parte della didattica universitaria e di quella integrativa in particolare non si potrebbe erogare, a tutto svantaggio di quella fascia di studenti che necessitano di un’attenzione specifica.
Non solo, con l’introduzione dell’accreditamento il Ministero non riconoscerebbe le proprie strutture pubbliche trattandole alla stregua di meri soggetti privatistici che necessitano di riconoscimento.
Riguardo poi alla valutazione il Ministero ha creato un ente apposito, denominato ANVUR, costoso e autoreferenziale, poco adatto ad esplicare proprio la funzione a cui sarebbe specificatamente deputato. A questo proposito si può richiamare quanto Sabino Cassese, docente di diritto amministrativo e giudice della corte costituzionale, ha scritto in una sua recente relazione dal titolo emblematico: “L’Anvur ha ucciso la valutazione. Viva la valutazione!”, sostenendo che l’agenzia per la valutazione della ricerca, per un errore di concezione e per altri “sbagli”, sta uccidendo la valutazione e imponendo sull’università italiana un peso eccessivo per le sue scarse forze. Questo non significa che la valutazione non sia uno strumento fondamentale nella ricerca come nella didattica, anzi un’università creativa fa della valutazione, nelle sue diverse applicazioni, uno strumento di cambiamento e di innovazione. Mentre il documento sulla “Autovalutazione, valutazione e accreditamento del sistema universitario italiano”, è l’esempio migliore di bizantinismo burocratico e di accanimento classificatorio-valutatorio che potrebbe fare soccombere anche un organismo giovane e sano. Perché lasciarsi prendere dall’illusione di esaustività e di onnicomprensività della valutazione, quando chi ha studiato questa materia ha osservato, in tempi non sospetti, che ogni valutazione della ricerca di base è una valida occasione di auto –apprendimento per gli scienziati. Ma deve sapersi arrestare per lasciare spazio alle innovazioni e alla libera creatività del ricercatore.
La nostra comunità universitaria è certamente in grado di lavorare sulla valutazione della ricerca e della didattica che produce, ma non attraverso le procedure burocratiche imposte dal Ministero e dall’ANVUR che sarebbero da respingere ai mittenti insieme al bagaglio di termini conseguenti come meritocrazia, eccellenza e competizione. Non farsi trascinare, come invece sta succedendo proprio in questi giorni pur tra i brontolii sotterranei un po’ di tutti, dall’amministrativizzazione delle procedure che porta inevitabilmente alla morte dell’università. E allora cosa si intende fare di fronte a queste politiche suicide per il sistema pubblico della formazione e, di conseguenza, per la nostra stessa società? Se ne discuta da subito e seriamente in assemblee d’ateneo, anche approfittando degli incontri che si faranno con i candidati e le candidate alla carica di rettore.
Quali sono poi i temi che la comunità universitaria di Bicocca, nella sua autonomia costituzionalmente garantita, deve comunque affrontare? Già vari documenti hanno messo in evidenza alcune questioni. In sintesi:
Governo dell’Ateneo
Se l’idea è quella di una reale partecipazione, condivisione e responsabilizzazione della comunità intera alle vicende dell’università si dovrebbe procedere alla modificazione dello statuto in vigore nel senso di una maggiore democratizzazione, rappresentatività e collegialità degli organi di governo (rettore, senato, direzione generale e consiglio di amministrazione, ecc.) come anche alla semplificazione dell’amministrazione interna e del sistema dei controlli in generale, attraverso la valorizzazione e la responsabilizzazione delle persone e degli uffici.
Formazione
L’ offerta formativa è già ricca e variegata considerando le lauree triennali, magistrali e a ciclo unico, i dottorati, i master e i corsi di specializzazione, ma ovviamente può essere migliorata e rinnovata. La qualità della didattica è certamente un obiettivo che si deve continuamente perseguire dotandosi i corsi di laurea di strumenti di valutazione idonei, non potendo considerarsi tali quelli imposti dall’ANVUR. Inoltre, almeno, per lauree magistrali e dottorati (ma anche per lavori di gruppo, attività di tutoraggio, ecc.) è importante che l’università possa riorganizzare i propri spazi che, al momento, sono quasi esclusivamente destinati a lezioni frontali.
Formazione continua
Una attenzione particolare è certamente quella della formazione permanente e continua. In questo caso l’università si dovrebbe porre come luogo privilegiato di formazione continua, avendo un ventaglio amplissimo di competenze e specializzazioni e un altrettanto ampio bacino di professioni che fanno riferimento, ma non solo, alle diverse Aree disciplinari (ex Facoltà) come Economia, Giurisprudenza, Medicina e Chirurgia, Psicologia, Scienze della Formazione, Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Scienze Statistiche, Sociologia. Già alcune Aree organizzano corsi di formazione continua presso Villa Forno a Cinisello Balsamo, che sarebbe auspicabile diventasse il Centro di formazione continua di tutta la nostra università.
Ricerca
E’ compito dell’Ateneo, sostenere adeguatamente la ricerca non burocratizzando le procedure, ma dotandosi di un management professionale in grado di supportare i progetti di ricerca (in particolare quelli europei e internazionali) sia in fase di stesura delle proposte che in fase di gestione della ricerca.
Internazionalizzazione
Pare importante incrementare le opportunità per studenti e docenti di confronti continui di studio e di ricerca con le altre esperienze europee e internazionali con l’inserimento di nostri docenti e studenti nelle ricerche e nei corsi delle altre università e con l’invitare docenti stranieri a tenere corsi in lingua e a partecipare alle attività di ricerca in Bicocca così come fare in modo che sempre più studenti stranieri si possano iscrivere ai vari corsi di laurea e ai dottorati dell’ateneo. Quindi si incrementino i doppi riconoscimenti giuridici di laurea per le lauree magistrali e i dottorati e ogni altra iniziativa idonea ad aprirci al mondo.
E’ opportuno ricordare che formazione e ricerca possono giocare un ruolo importante nell’attivazione di nuove energie e saperi e nello scambio tra portatori di esperienze diverse per una effettiva cooperazione, transnazionale e interculturale, tra le università del mondo.
Terza missione
Si può richiamare qui il ruolo dell’università come agente di sviluppo locale in un rapporto dialettico con il territorio e la sua comunità a cui, nel 2003, fa riferimento la Commissione Europea, ma anche la “Carta della Nuova Municipalità” presentata al Forum Sociale mondiale di Porto Alegre nel 2002 e a quello Europeo a Firenze nello stesso anno. In questa direzione le università latinoamericane molto hanno da dire e da trasferire a quelle europee in un diverso rapporto tra nuovo e vecchio mondo.