Forse discutere i piccoli o grandi problemi del mondo accademico, presentarne e descriverne le imperfezioni non per muovere critiche ma per invitare a migliorare, può apparire fuori luogo in queste drammatiche settimane, quando siamo costretti ad assistere a ciò che non pensavamo di dover mai vedere, convinti che i massacri le violenze l’abuso appartenessero al passato o fossero confinati altrove, lontano, come all’epoca della pax augusta. Risuonano ancora nelle orecchie gli accorati appelli di Papa Francesco contro questi assurdi massacri e l’incredibile e non meno assurda “guerra necessaria” del Patriarca di Mosca Kirill, sorvolando sulle sue successive precisazioni ed evitando di cadere nella trappola metafisica delle interpretazioni manichee di una lotta del bene contro il male. E mentre scrivo queste righe l’orizzonte mi si mostra ancora buio. Eppure, come è noto, The show must go on, non ci si può arrestare, se non altro per lasciare un segno o una memoria in attesa di tempi migliori o per cercare di lanciare un segnale prima che le cose peggiorino.

Ed è appunto un segnale che vogliono essere queste osservazioni su di una proposta di costituzione di un «Dottorato di interesse nazionale in studi religiosi» (acronimo: DNSR, con la scomparsa di «interesse»), che circola da qualche tempo e che vede coinvolte ben 27 sedi – se nel frattempo non sono aumentate –, che intende accedere ai fondi del PNRR ed erogare 30 borse all’anno. La proposta mi è pervenuta solo recentemente ed è costituita di tre documenti, priva tuttavia di ogni indicazione del promotore o dei promotori. Questi tre documenti mi giungono accompagnati da una lettera molto critica di un collega, i cui contenuti condivido. Non sapendo se gradisca che il suo nome sia reso pubblico, non lo nominerò. Può essere che nel frattempo qualcosa sia mutato, e mi auguro in meglio. Anche fosse, questa proposta mi induce comunque a qualche considerazione, a cominciare dal fatto che, diventasse operativa o meno, di essa non si può discutere come fosse una particella isolata,  ma deve essere vista nel quadro più ampio e generale degli studi dedicati ai fatti religiosi.

È un problema complesso e antico, legato all’istituzione di una cattedra di Storia delle religioni in Italia nel 1923, malvista dalla Chiesa, osteggiata da Benedetto Croce e da intellettuali anticlericali. Il medesimo Ernesto De Martino ne fu in parte vittima. È un pregiudizio che persiste tuttora – poiché sono uno storico delle religioni una giornalista freelance ha pensato, così mi ha scritto, che mi dedicassi a studi esoterici –, pregiudizio che in qualche misura si è intravisto non molto tempo fa, quando la senatrice Bianca Laura Granato ha sollevato aspre critiche alla Laurea magistrale in Scienze delle religioni, a cui rispose con garbo e chiarezza il collega Alberto D’Anna, presidente del Corso a Roma Tre. Come aveva scritto D’Anna, lo studio dei fatti religiosi in Italia «ha radici culturali antiche e illustri, nella ricerca scientifica e nell’insegnamento di grandi studiosi delle religioni dell’università italiana.

La loro prospettiva epistemologica è stata esemplare per la laicità dell’approccio all’oggetto degli studi: non confessionalità, assenza di finalità polemiche o, al contrario, apologetiche, indipendenza dalle proprie convinzioni personali». Storico della Letteratura cristiana antica, D’Anna fa un discorso ineccepibile e presumo che in gran parte alluda proprio alla Storia delle religioni che ancora si coltiva in Italia, mentre all’estero è pressoché scomparsa, assente dai campi di ricerca dell’European Research Council, nella sezione SH3_10 Religious studies, ritual; symbolic representation (proprio al singolare), ma presente e non si sa perché in SH6_13 Gender history, cultural history, history of collective identities and memories, history of religions, probabilmente da intendere come storia religiosa. La sezione SH3_10 appare comunque ridotta rispetto a una precedente SH2_4, in cui si poteva leggere: Myth, ritual, symbolic representations, religious studies, ma dove già era assente la History of religions. L’attuale limitazione dello spazio dedicato a questi delicatissimi studi, con in più l’assenza della Storia delle religioni o la sua riduzione a storia religiosa, è evidentemente il prodotto di una volontà. Nata nel corso del XIX secolo, assieme all’Antropologia culturale all’Etnologia e all’Etnografia. per spiegare a noi l’altro da noi, la Storia delle religioni a chi la pratichi in maniera sistematica, aconfessionale e nel rispetto di quell’ateismo metodologico che esclude la costruzione di una qualsiasi gerarchia nell’esame dei fatti religiosi, offre la possibilità di acquisire elevate competenze e conoscenze in forma storico-critica senza pregiudiziali verità non negoziabili.

Purtroppo questa disciplina oggi rischia di scomparire anche in Italia, per colpe sue ma anche di altri, che non ne colgono la portata, scomparsa che questa proposta di Dottorato, presumo involontariamente, rischia per l’appunto di favorire. Nel medesimo tempo, benché sia ambiziosa, con un impianto manifestamente aziendalistico, con ampio spazio dedicato alla governance e alla raccolta dei fondi per far funzionare il dottorato, con la pretesa alquanto provinciale di voler avere un numero di docenti stranieri maggiore di quelli italiani – non mi persuade il topos che gli stranieri siano più preparati degli italiani – , la proposta non appare molto convincente, rivelando una chiara perdita di prospettiva storica nonché di contenuti, e senza un vero e proprio statuto epistemologico.

Da una parte questo Dottorato si configura come un contenitore che nell’intestazione (studi religiosi) replica il vuoto dei Religious Studies, decisamente sprovvisti di statuto epistemologico, come già io ebbi a denunciare in alcuni scritti, e fortemente condizionati da ipoteche confessionali; dall’altra l’impianto della proposta rivela una prospettiva unilaterale anch’essa con sfumature  confessionali, soprattutto nel momento in cui di fatto offre curricula specifici solo per il mondo delle religioni abramitiche, ebraismo, cristianesimo e islam, con un quinto dedicato ai “diritti” di quelle medesime religioni. E qui ci si può chiedere dove stia quell’altra forma religiosa che della prima e più antica delle tre abramitiche è stata all’origine o ne è stata causa. Eliminata perché incrinerebbe la solidità del castello monoteista o relegata in uno spazio in cui vengono rinchiuse le minoranze? Nello stesso tempo lo spazio dedicato al Buddhismo sembra voler essere un riconoscimento alla presenza dell’ Unione Buddhista in Italia. Ma non è chiaro perché siano presenti il “Buddhismo e le religioni dell’Asia”, dove l’Induismo è politeista e dove per esempio lo Shinto, la “Via dei kami”, non può essere facilmente definito, perché realtà complessa, mentre sono assenti le religioni classiche, le religioni del Mediterraneo antico e dell’altopiano iranico, le religioni dell’Africa, dell’America precolombiana e le religioni indigene, nonché dell’Oceania, e via elencando. Il concetto di religione, che non mi risulta avere una definizione giuridica mentre la nostra Costituzione rivela un certo balbettio nell’affrontare il tema delle altre confessioni religiose, lasciato oscuro anche dal nuovo accordo Stato Chiesa del 18 febbraio 1984, è evidentemente assunto in una prospettiva cristiano-centrica. E pertanto mi chiedo se non fosse più opportuno denominare questo dottorato, invece che “in studi religiosi”, “Dottorato di interesse nazionale di studi sui monoteismi”, in analogia con il “Laboratoire d’études sur les monothéismes” dell’EPHE di Parigi.

Non entro nel merito degli effetti che questo dottorato, così costruito, potrebbe avere sulle aspettative dei giovani e meno giovani laureati in Scienze delle religioni, già in difficoltà per le attuali limitazioni di accesso alle classi di concorso per l’insegnamento nelle scuole – ricordo che nel 2017 un laureato nella LM64 sollevò il  problema della riduzione degli accessi prodotta dal CDM che nell’approvazione del  DPR 19/2016 espunse la LM64 da numerose classi di concorso. Non v’è dubbio, in ogni caso, che un dottorato così concepito, se attivato, costituirebbe una presenza  ingombrante e obbligherebbe le LM 64 a rivedere in parte i piani di studio: non serve spiegarne le ragioni. E infine l’eventuale attuazione di questa proposta non potrebbe non avere conseguenze sul piano politico, come d’altronde ogni intervento religioso ha avuto e ha, come lo hanno e tutti sperano che lo abbiano le parole di Papa Francesco e, purtroppo, come lo hanno quelle del Patriarca Kirill.

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