Venerdì 20 Aprile alla London School of
Economics (LSE) Francesco Sylos Labini ha tenuto un seminario sui problemi dell’Università’ italiana. L’evento, organizzato dalla Fonderia Oxford, ha avuto grande successo in termini di pubblico e di dibattito. La sala era piena di giovani italiani che studiano, cercano o hanno lavoro accademico in Gran Bretagna. Mi fa piacere l’idea che io e mio marito abbiamo alzato un po’ l’età media della sala così evitando possibili critiche di selezione dovuta all’età.
Il dibattito è stato intenso e lungo ed è dovuto finire per limiti di tempo. Si è svolto nel nuovo fabbricato della LSE, quello inaugurato dalla Regina nel 2008. Esattamente quello in cui la sovrana chiese a un gruppo di economisti allineati per l’occasione come mai nessuno avesse previsto il crollo finanziario. Uscendo dalla porta posteriore su Lincoln’s Inn Fields abbiamo visto una grande folla sulla piazza. All’inizio ho pensato si trattasse di evacuazione per fuoco. Ma ben presto abbiamo capito che si trattava di folle e coda di gente che aspettava di ricevere una ciotola di zuppa e un panino per sopravvivere fino al giorno dopo. E’ la seconda volta in un paio di mesi che mi capita di vedere simili affollamenti mai visti prima in oltre 40 anni di vita a Londra.
Il dibattito ha toccato molti argomenti in corrispondenza con la ricchezza della presentazione. Io qui voglio soffermarmi su quegli aspetti che si riferiscono alla visione dell’università italiana da parte di persone che hanno fatto e stanno facendo esperienza del mondo accademico britannico, e quindi la vedono con occhiali inglesi anche se con occhi italiani.
1. Non è mancata né poteva mancare la discussione sulle ingiustizie del ‘familismo’, dell’assegnazione di posti a membri della famiglia di potenti accademici. Un problema che non esiste in Gran Bretagna (GB) non perché ci sono più controlli nell’assegnazione di posti – in effetti ce ne sono di meno – ma perché c’é un’etica e una cultura diversa in generale. Qui ci si vergognerebbe di atti di familismo; in Italia se le persone con potere ‘aiutano’ membri della famiglia a trovare posti e fare carriera spesso vengono considerate come bravi padri/madri di famiglia. Il familismo è un fenomeno che trascende l’accademia e va visto nel complesso culturale del Paese. Vuol ciò dire che non c’è nulla da fare? Che dobbiamo accettare il familismo perché è dappertutto? Direi di no.
Bisogna non solo usare le vie legali ma anche fare campagne perché la gente arrivi a vergognarsi di farlo. Ma alcuni presenti sembravano pensare che favorire membri della propria famiglia e favorire membri/studenti della propria scuola di pensiero fossero equivalenti ed entrambi presenti in Italia e assenti in GB. Non e’ così: anche se il familismo e’ quasi assente, il favorire persone della propria scuola e’ molto comune, forse anche più che in Italia. Il processo di favoritismo è avvantaggiato dal fatto che l’assegnazione di posti accademici sia completamente decentralizzata ed il dipartimento ha molto potere nella loro assegnazione. Basta fare una ‘job specification’ adeguata e risulta che il nostro studente preferito e’ l’unico che risponde a quei criteri che io stessa – come capo dipartimento – ho stilato. Si può andare più in là: se per caso c’e’ un altro candidato che sembra rispondere a quei criteri ed ha più pubblicazioni o esperienza di insegnamento, si può fare sempre una ‘creative short list’. iò allo scopo di evitare imbarazzi e problemi in sede di discussione finale del concorso dove siedono anche membri di altri dipartimenti nonché rappresentanti del dipartimento delle risorse umane della stessa università. La short list (rosa finale dei candidati) viene fatta nel dipartimento e solo i candidati nella rosa finale saranno intervistati da tutto il comitato finale. Quindi basta eliminare dalla short list candidati troppo vicini e competitivi con il candidato preferito e mettere candidati bravi ma non rispondenti ai criteri di selezione, ed il gioco e’ fatto: il mio studente/collaboratore avrà il posto.
2. Si è discusso sulla formazione dei giovani e se il livello della laurea triennale sia equivalente o meno C’e’ stato un accenno al fatto che forse, in generale, le lauree triennali possono dare una formazione migliore in Italia che in GB. E’ possibile questo? E perché succederebbe se, in fondo, in GB c’e’ un buon sistema di controllo tramite gli esaminatori esterni, cosa assente in Italia? Ci sono buone ragioni per cui in GB si può avere un abbassamento di qualità nell’istruzione e non solo all’università’ ma probabilmente anche nelle scuole. Se i finanziamenti dipendono dal numero di studenti che passano gli esami e se dai finanziamenti dipendono il nostro posto di lavoro personale e la sorte del dipartimento, non e’ difficile escogitare sistemi per aumentare il numero di quelli che passano: dalla distribuzione di fogli con punti essenziali e sunti di ogni lezione – che evita allo studente pigro di leggere articoli e libri – ad aiuti nel fare il ripasso. Insomma un imboccare gli studenti per farli passare agli esami.
3. Sylos Labini ha fatto notare come i media tendono a soffermarsi sull’università del malcostume e dei casi perversi di familismo. Raramente si puntualizzano i molti punti positivi di un sistema che comunque tutti i presenti giudicavano come fortemente bisognoso di riforme serie. Uno dei punti positivi del sistema italiano e’ che – in materie in cui coesistono diversi paradigmi, qualunque ne sia la ragione – c’e’ ancora una notevole dose di pluralismo a differenza dei sistemi anglosassoni dove gli ultimi 30 anni hanno visto l’emarginazione di paradigmi alternativi e quindi una forte diminuzione del pluralismo. Questo e’ il caso della mia disciplina, l’economia. In Italia i pochi posti che ci sono non vanno tutti a membri della stessa scuola di pensiero…o non ancora. Credo purtroppo che ciò cambierà con l’instaurazione di sistemi di valutazione della ricerca basati su reputazione di riviste ecc. Un altro elemento che militerà contro il pluralismo sarà la concentrazione dei finanziamenti in pochi centri.
4. Si è discusso molto dei metodi di finanziamento degli studi universitari, in particolare della dicotomia finanziamento con rette universitarie alte o con rette basse e costi a carico del contribuente. Il secondo caso – favorito da Sylos Labini – viene giustificato dal fatto che l’istruzione crea esternalita’: tutti possiamo beneficiare del fatto di avere medici o insegnanti. Sono d’accordo su questo e anzi desidero aggiungere che le maggiori esternalita’ positive della istruzione scolastica e universitaria sono forse dal lato produzione piu’ che dal lato consumo. Esse ricadono sui datori di lavoro che si vedono arrivare forza lavoro già (abbastanza) preparata invece di doverla formare a spese loro. Il caso a favore di rette universitarie (chi trae benefici individuali paga) si impernia sul fatto che, se a pagare e’ il contribuente, allora i poveri – i cui figli di solito non vanno all’universita’ – pagherebbero per i figli dei ricchi. A prima vista questo ragionamento sembra non fare una piega finche’ non si nota il seguente: questo e’ un argomento a favore di tasse piu’ alte – tasse seriamente progressive – per i ricchi. I figli dei poveri sono scoraggiati da rette alte.
Da quando in GB le rette universitarie sono state elevate a £ 9000 ci sono meno domande per studiare all’università da parte di giovani provenienti da famiglie non abbienti: la paura di debiti per molti anni e’ forte anche se il governo cerca di attutire il gravio. Per ultimo desidero far notare che i veri beneficiari del sistema di prestiti agli studenti sono le banche. Il governo avrebbe potuto scegliere di finanziare direttamente i costi, ma non lo ha fatto: ha scelto la via di finanziamento tramite banche così dando opportunità di creare profitti per le banche. In GB la City – non lontana da dove la Regina fece la famosa imbarazzante domanda e da dove abbiamo assistito alla distribuzione di ciotole di zuppa – ha sempre la meglio.
Grazia Ietto Gillies
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Perché prendere a metro di paragone il sistema angloamericano? In Francia e in Germania le tasse universitarie sono, mi sembra, più basse che da noi. E un sistema di tasse alte contribuisce a creare una società irrigidita in caste, violando tra l’altro lo spirito della nostra Costituzione.
Aggiungo che una forte picconata alla nostra università -che nel settore degli studi storici, ad esempio,ha prodotto per decenni fior di studiosi- è venuto dalla improvvida e mal applicata introduzione del 3+2, anche questo ripreso dal modello inglese, il cielo solo sa perché.
Se si tiene conto che il livello di preparazione fornito dalle scuole superiori è a sua volta certamente sceso (e non intendo affatto sostenere il ritorno al liceo di una volta; solo mi chiedo perché la democratizzazione degli studi superiori debba tradursi necessariamente in un peggioramento qualitativo. Come diceva il mio compianto maestro: “Perché una cosa di massa dev’essere di m….?”), non è difficile immaginare che nel giro di non molti anni ci adegueremo felicemente al sistema inglese: poche università di élite con pochi studenti selezionati e tanti atenei ridotti, almeno nel triennio, a superlicei. Con il plauso dei sedicenti innovatori e, purtroppo, l’assordante silenzio dei venerati maestri, che sembrano aver adottato un’attitudine da “Après nous le déluge”.
[…] scientifica, progrediva al passo, o anche più velocemente, di quella delle altre nazioni”.Nella discussione che è seguita al seminario, mi sembra che questi punti siano emersi con chiarezza insieme con la necessità di considerare […]
We have a duty to change our mode of thinking!
LSE 04:00
http://www.youtube.com/watch?v=qOP2V_np2c0
[…] Original article: https://www.roars.it/luniversita-italiana-vista-con-occhiali-inglesi/ […]