L’annuncio dello sciopero dei docenti di settembre ha aperto un triste dibattito sulla stampa e sui social. Triste perché dimostra, ancora una volta, come docenti e ricercatori universitari siano assuefatti a subire le peggiori vessazioni chinando la testa. Masochismo fantozziano, che ha indotto Nicola Casagli a dare un sequel al suo precedente omaggio dedicato all’eroe di Paolo Villaggio.

(Da leggere con il consueto timbro gutturale delle narrazioni fantozziane)

Venti anni di terribili riforme aziendali si erano abbattuti sulla Megaditta…

Venti anni di riforme senza senso, mirate solo a tagli di personale e a riduzione dei costi. 

Gli impiegati di prima, di seconda e di terza della gerarchia aziendale si erano visti togliere a una a una tutte le loro prerogative contrattuali. 

Via le scrivanie in legno, sostituite da banchi in laminato della convenzione CONSIP.

Via le poltroncine in finta pelle, sostituite da sedie in plastica a cinque zampe a norma di D.Lgs. 81/2008.

Via il telefono, sostituito dal VoIP a funzionamento episodico.

Via le lampade di opalina, sostituite da neon ad accensione centralizzata.

Via i naïf jugoslavi alle pareti, sostituiti da grafici delle performance della valutazione.

Via tappeti e moquette per terra, sostituiti da linoleum del MePA.

Via le piante di ficus, simbolo del potere.

 

Era troppo. Il ficus era la goccia che fece traboccare il vaso dell’immensa pazienza degli impiegati. 

Il contratto aziendale dava diritto automaticamente a una pianta di ficus ogni due anni, fino ad arrivare al ruolo dirigenziale, alle soglie della pensione, con una modesta serra per la vecchiaia. 

Con una delle tante riforme del disgraziato ventennio, le progressioni erano diventate triennali e non per tutti: solo quelli che superavano le complesse soglie dell’AVSA (Agenzia di Valutazione del Sistema Aziendale) potevano beneficiare dei ficus aggiuntivi. 

«Largo al merito in azienda, basta con gli scatti di anzianità. Ficus solo agli eccellenti!» – erano gli slogan di quegli anni oscuri. 

Ma, proprio al passaggio al nuovo sistema meritocratico, il meccanismo di progressione venne bloccato, per decreto imperiale del Megadirettore Galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam – colui che nessun impiegato al mondo era mai riuscito soltanto a vedere, correva anzi voce che non esistesse neppure. Più che un uomo, un’entità astratta. 

La chiamavano spending review e serviva alla Megaditta per recuperare piante di ficus da regalare alle banche, che al solito ne facevano morire parecchie. 

Nessuno in azienda protestò, in ottemperanza alla circolare del Megadirettore che imponeva di essere sempre rispettosi e fedeli. 

Solo dopo cinque lunghi anni l’azienda sbloccò le progressioni di carriera e l’orologio degli scatti per le piante di ficus riprese a correre. Ma non per tutti in egual modo. 

Per i dipendenti delle società controllate e vigilate dalla Megaditta, il periodo di blocco era stato riconosciuto appieno e gli impiegati avevano ripreso a competere per gli agognati ficus, sognando la piccola serra per la pensione. 

Per gli impiegati della Megaditta invece no. I cinque anni di blocco restavano un buco nero. Erano proprio cancellati e non davano diritto alcuno per l’anzianità di servizio. 

Molti cominciarono a protestare per la disparità di trattamento. Alcuni scrissero lettere al Megadirettore Galattico senza ricevere risposta alcuna. 

Un ingegnere capo reparto della sede del nord-ovest, alle soglie della pensione, lanciò una petizione che, in un clima che aveva ricordato la mitica rivolta post Corazzata Potëmkin, raccolse ventimila firme fra gli impiegati di prima, seconda e terza. Si minacciava il boicottaggio dell’esercizio quinquennale di valutazione aziendale: una pratica burocratica e dirigista che il Megadirettore aveva mutuato dalle industrie meccaniche pesanti dell’Unione Sovietica. 

«Senza riconoscimento, ai fini giuridici, del quinquennio di blocco, noi la valutazione non la facciamo, anche perché sinceramente ci pare una c***** pazzesca» – disse l’ingegnere, raccogliendo un’ovazione seguita da 92 minuti di applausi. 

Intervennero subito i direttori di unità produttiva che, minacciando di liberare i temuti dobermann aziendali, convinsero gli impiegati più filoaziendali a prendere le distanze della protesta: – «Facendo così danneggeremo solo la nostra azienda, non è la forma giusta per protestare. Se facciamo arrabbiare la Megadirigenza non ci faranno più organizzare l’annuale sfida calcistica fra scapoli e ammogliati» – scrivevano sugli avvisi affissi in sala mensa. Si minacciava – persino – l’embargo delle frittatone con cipolla da mangiare davanti alla partita in TV.

Paradossalmente ad essi si accodarono gli impiegati più sindacalizzati e avversi alle politiche aziendali: – «C’è ben altro per cui protestare, la Megaditta ha mille problemi: le scrivanie per gli impiegati di settima e di ottava, le seggiole per il personale assunto a tempo determinato, i telefoni per il personale delle ditte di pulizia in appalto, l’illuminazione per gli apprendisti e gli stagisti, gli arredi da ufficio per i ragazzi in alternanza scuola-lavoro (un’altra diavoleria introdotta in quegli anni bui). Se ficus deve essere, allora ficus per tutti. Non si può nemmeno pensare di incominciare a risolvere i problemi dell’azienda con i ficus degli impiegati apicali».

Il Megadirettore Galattico taceva, incerto sul da farsi, ma fece circolare ad arte la voce che si sarebbe costituito un tavolo tecnico dei Capireparto per studiare e risolvere la questione. Questi ultimi annunciavano che la soluzione era vicina e che si prospettava una nuova Megaprimavera aziendale, dopo il lungo inverno, con una straordinaria fioritura di piante di ficus. 

E fu così che il fronte della protesta iniziò a disgregarsi e che i ventimila rimasero in poche centinaia. 

La valutazione si fece e venne usata per gli scopi più abietti, come per fare le liste di proscrizione per le gite aziendali, per scegliere gli eletti per il cineforum, o per selezionare i concorrenti dei Giochi aziendali di salto nel cerchio di fuoco che si tenevano tutti i sabati mattina, e persino per partecipare al sorteggio più ambito, quello che avrebbe permesso di accompagnare il Megadirettore all’annuale visita al Casinò di viale Trastevere.

Dopo dodici mesi di valutazioni maledette, senza nemmeno un germoglio di ficus, gli impiegati videro la verità, e si turbarono leggermente, o meglio, s’incazzarono come bestie. 

L’ingegnere della sede del nord-ovest, ormai in pensione, non si diede per vinto. Fece una cosa mai tentata prima fra gli impiegati delle classi apicali dell’azienda: proclamò lo sciopero. 

Gli impiegati rimasero all’inizio sconcertati: nessuno aveva mai osato scioperare in vita sua, nemmeno al liceo contro i missili americani puntati sull’Unione Sovietica. Moltissimi però poi pensarono che una volta nella vita valeva la pena di provare una cosa nuova, anche perché, se i diritti non si difendono, i vertici aziendali si abituano a calpestarli. Tornò a manifestarsi il mitico spirito della Corazzata Potëmkin.

E quindi in oltre cinquemila firmarono per lo sciopero: impiegati di prima, di seconda e di terza della gerarchia aziendale.

Per la verità lo sciopero era congegnato bene, studiato nei dettagli, in modo da non arrecare alcun danno agli impiegati delle classi di base e nemmeno ai clienti dell’azienda. Gli scioperanti avrebbero recuperato lo sciopero facendo uno straordinario entro 15 giorni dall’astensione al lavoro.

Ma la reazione, ancora una volta, non si fece attendere. 

I crumiri di prima, che avevano giurato obbedienza pronta cieca e assoluta al Megadirettore, erano ben introdotti con i poteri forti e potevano agevolmente pubblicare sul foglio governativo più diffuso, e così martellavano a mezzo stampa: – «Per molti anni abbiamo accettato, spesso in silenzio, riforme e imposizioni che hanno completamente stravolto la nostra identità aziendale. Ma non crediamo che, in un momento così difficile per la nostra azienda, la priorità spetti a fondamentali questioni di tipo botanico. Saremmo pronti a rinunciare a una parte della nostra serra personale per vivere in un’azienda libera da queste derive».

Anche il sindacato fece le barricate, che avevano immediato eco sul principale quotidiano dell’opposizione e sugli avvisi in sala mensa: – «Bisogna costruire una mobilitazione generale, che tenga dentro tutte le componenti e tutti i ben più gravi problemi della Megaditta. Non possiamo certo nasconderci dietro una foglia di ficus».

Il Megadirettore Galattico tremava angosciato, ma preferiva non esporsi, lanciando allo scoperto il suo Fedele portavoce: – «Lo sciopero potrebbe rivelarsi un errore che si scarica sui nostri clienti, oltre che controproducente e contrario all’opinione pubblica».

Ma ormai niente poteva più fermare la marea montante della protesta. 

Lo sciopero si fece. 

E gli impiegati esasperati si fecero prendere la mano: rogo dei banchi CONSIP in laminato, sventramento delle sedie in plastica a cinque zampe, hackeraggio della rete VoIP, sabotaggio dell’accensione centralizzata dei neon, triturazione dei grafici della valutazione, estirpazione del linoleum del MePA. 

Il Megadirettore Galattico corse ai ripari per sanare le ingiustizie e, piano piano, passo dopo passo, pezzetto dopo pezzetto, restituì agli impiegati tutte le loro prerogative contrattuali. 

Tornarono le scrivanie in legno.

Tornarono le poltroncine in finta pelle.

Tornarono i telefoni.

Tornarono le lampade di opalina.

Tornarono i naïf jugoslavi alle pareti.

Tornarono i tappeti e la moquette per terra.

E tornarono, soprattutto, le piante di ficus, simbolo del potere.

https://www.youtube.com/watch?v=S6hMuwo94S0

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13 Commenti

  1. Ecco come sono andati a finire gli incontri per “una nuova primavera delle Università” sponsorizzati dalla CRUI.

    Manfredi: Prego, si accomodi. Una citazione Scopus? Un h-index?
    Docente: Scusi, Sire.. Ma, io, … fare ricerca con lei?
    Manfredi: Ma certo! Che differenza c’è, tra me e lei?
    Docente: Ma, Magnificentissimo, abbia pazienza! Non mi vorrà mica dire che siamo uguali, … io e lei? Voi siete i Rettori, i commensali del MIUR, i guardiani dell’ANVUR. Noi invece siamo i Docenti, i morti di fame.
    Manfredi: Oh, ma caro Professore. E’ solo questione di intendersi, di terminologia. Lei dice padroni e io i più meritevoli, gli eccellenti. Lei dice sfruttatori e io dico coloro che sono stati eletti dai loro pari per garantire la governance del sistema. Lei dice morti di fame e io docenti con indicatori bibliometrici svantaggiati. Ma per il resto la penso esattamente come lei.
    Docente: Come.. altezza: come!?
    Manfredi: E io, come lei, sono un uomo illuminato, e sono convinto che nell’Università ci sono molte ingiustizie da sanare. La penso esattamente come lei e come il caro De Nicolao …
    Docente: Ma… mi scusi… Sire, ma.. non mi vorrà dire che lei.. scusi il termine, sia… affiliato a ROARS!?
    [SI ODE UN BOATO]
    Manfredi: Beh… Proprio legato a ROARS, no! Vede, io sono un medio-progressista, ho anche un fratello deputato del PD.
    Docente: Ma in merito a tutte queste rivendicazioni sugli scatti, e all’ingiusto definanziamento del sistema universitario, lei che cosa consiglierebbe di fare, Maestà?
    Manfredi: Ecco… bisognerebbe che per ogni problema nuovo tutti i Docenti di buona volontà, come me e come lei, caro Professore, cominciassero a incontrarsi senza violenze, in una serie di civili e democratiche riunioni. Fino a che non saremo tutti d’accordo.
    Docente: Ma… mi scusi Santità… Ma in questo modo ci vorranno almeno mille VQR!
    Manfredi: Posso aspettare… io!

    • Bellissima ricostruzione!
      Però non sopravvaluterei il ruolo della CRUI in questa vicenda. Il Megadirettore Galattico è quello che comanda davvero, che prende le decisioni e che detta la linea. È ben sopra la CRUI, sopra l’ANVUR, sopra il MIUR e non risponde nemmeno al Presidente del Consiglio. Il Megadirettore Galattico è un plenipotenziario fuori controllo del MEF. Nessuno sa nulla di lui. Si sa solo che ha studiato alla Bocconi ;-) Alcuni dubitano addirittura che esista davvero e pensano che sia solo un’entità astratta.

    • Questo commento ha, secondo me, colto con molta efficacia l’ipocrisia di tutto il sistema di valutazione e finanziamento. Vorrei suggerire alla redazione di ROARS di pubblicare questo commento sottoforma di articolo.

    • Al Presidente della CRUI non va ancora giù il boicottaggio della VQR e cerca di fare passare l’idea che chi protestava lo faceva come pretesto per coprire la propria inattività (“Quelli che non si sono sottoposti alla valutazione per metà erano inattivi dal punto di vista scientifico”). L’intervista al Presidente della CRUI va letta perché illustra bene cosa sta diventando l’università.
      _________
      Manfredi: “Chi protesta oggi e non vuole neanche comunicare [in anticipo] lo sciopero è lo stesso che non voleva essere valutato. È una difesa di un privilegio. Ma per fortuna si tratta di una minoranza. Noi dobbiamo tutelare quelli che lavorano. Quelli che non si sono sottoposti alla valutazione per metà erano inattivi dal punto di vista scientifico. Poi c’è anche l’idealista, non metto in dubbio. Ma mi facciano fare almeno il mio lavoro

    • Secondo la mia esperienza, i docenti universitari non costituiscono un corpo ma sono meglio descritti come aggregato di individui o gruppi di individui divisi da interessi diversi e da forte competizione. Questo è uno dei motivi, a mio parere, che ha impedito ai sindacati di attecchire presso i docenti. Inoltre sono fermamente convinto che una parte importante del mondo accademico sostenga fortemente l’ANVUR e i suoi correlati.

  2. Senza indicazione di fonti : “adesso sarebbe bello vedere tutto il corpo docente di tutte le università italiane rovesciare tavoli, fare barricate, sequestrare megadirettori galattici … un sogno!”
    Nemmeno un sogno, il nulla, perché? Perché si sentono corresponsabili, come lo sono davvero: non tutti ma buona parte sì (ricordate l’aneddoto?), la quale buona parte non sa niente della Costituzione, della 382 ancora in vigore, né di responsabilità civica ecc. Ora molti coraggiosi dichiarano pubblicamente che non sciopereranno, perché? soprattutto per il bene degli studenti, ai quali (questo però non lo dichiarano pubblicamente) hanno nociuto abbondantemente approvando (oramai nemmeno più discutendo, nemmeno parlando, ma alzando la manina) e imponendo ogni sorta di cazzata burocratica e di cosiddetta programmazione, nemmeno sapendo (questa è una mia fissa sempre più giustificata) che cos’è il cfu volgarmente definito in nr. di lezioni, di pagine da leggere ecc.
    “se riusciremo a coinvolgere gli studenti e le loro famiglie.” Siccome non ci si riuscirà (perché nessuno capisce più nulla dell’università, né dall’interno né tanto meno dall’esterno), dirlo non fa male a nessuno e la coscienza è a posto.
    “Signora maestra Anvur, io non l’ho fatto, è stato lui/lei/loro; io ho fatto sempre il mio dovere”.
    Preparazione per le visite valutative: imbiancare i corridoi, rimettere in sesto i WC, fare un orario apposito per la giornata della visita, con i supposti corsi e docenti meglio considerati e più frequentati dagli studenti (il perché è irrilevante). “Signora maestra Anvur, io sono bravo/brava, tutti mi amano, tutti mi vogliono, ho indice alto, pubblicazioni a raffica, organizzo, divulgo, io merito di restare anche per dar lustro alla mia amata azienda e ai suoi conducator-i.”

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