Intervento di Milena Cuccurullo alla presentazione del libro Le ali spezzate della ricerca. L’Italia e il Mezzogiorno nell’Europa della conoscenza (La scuola di Pitagora editrice). Napoli, 24 gennaio 2013, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha sofferto negli ultimi dieci anni e sta ancora soffrendo per le politiche scellerate che i governi hanno portato avanti senza curarsi del disastro che lasciavano dietro di loro. Sto parlando dei lavoratori di questo istituto che continuano a fare sacrifici inauditi perché non si possono pagare gli stipendi, sto parlando dei borsisti e dei ricercatori che assistono allo sfratto del ricchissimo fondo bibliotecario e dei direttori di ricerca costretti a chiedere ai docenti di venire a Napoli a loro spese per fare le lezioni e i seminari. Ci si sente dire che è necessario fare questi sacrifici a causa della crisi economica. Eppure, mentre noi riduciamo gli abbonamenti a quotidiani e riviste e rimandiamo le nostre ricerche, vi sono istituti come l’Istituto Italiano di Tecnologia, nato e cresciuto con fondi pubblici gestiti in modo anche piuttosto torbido come viene detto nel libro, che continuano a prendere dall’erario pubblico 100 milioni di euro ogni anno, in nome del primato della ricerca applicata che dovrebbe rilanciare l’economia italiana. E non solo. Ogni anno, come ha ricordato il prof. Settis recentemente e come già scriveva Pietro Greco nel 2009, dal fondo di finanziamento della ricerca vengono sottratti 300 milioni di euro per risanare l’Alitalia e persino per ricompensare i Comuni delle risorse perdute con l’abolizione dell’Ici. Per non parlare dei tagli alla ricerca programmati nel 2008 giustificati dalla cosiddetta crisi economica, dovuta in buona parte alla truffa delle banche, che hanno venduto a enti, comuni e regioni contratti finanziari tossici e hanno preteso che lo Stato ripianasse le insolvenze. Questo vuol dire che noi accettiamo di cancellare esperienze culturali trentennali, come quella di questo istituto, mettiamo i sigilli alle biblioteche, rinunciamo alla ricerca più avanzata e spezziamo le ali a migliaia di giovani ricercatori perché gli uomini dell’alta finanza hanno deciso di fare il salto di qualità a spese dello Stato.
Sono questi gli sprechi che non possiamo permetterci. Se si analizzano le politiche di gestione dei Fondi europei per lo sviluppo, si vede che la gran parte (31 miliardi su 55) si spende in infrastrutture. Per ricerca e innovazione vi sono 7 miliardi investiti solo in ricerca tecnologica-industriale e per di più si tratta di progetti che per la maggior parte consistono in incentivi alle imprese o nel riempimento dei fondi di ricerca industriale (FIT). La ricerca pura praticamente non esiste. Sono queste le politiche per la ricerca che hanno portato l’Italia a essere agli ultimi posti in Europa per percentuale di Pil investito in ricerca, mentre nel decennio 1990-2005, grazie ai fondi europei, paesi come Francia, Germania, Svezia, Danimarca, aumentavano la loro spesa in ricerca del 18-20%, arrivando a livelli di spera per ricerca e sviluppo che vanno dal 2% al 6% del Pil.
Allora, quando si sente dire che la ricerca di base è un lusso che non ci possiamo permettere e che con la cultura non si mangia, deve essere chiaro che dietro queste affermazioni c’è una sola intenzione: sopprimere la libertà della ricerca. Questo è il vero obbiettivo nel mirino delle politiche del governo e ci sono molti modi per farlo. Innanzitutto, sottraendo i fondi pubblici alla ricerca pura, con la conseguenza che il ricercatore smette di fare ricerca e si dedica a cercare fondi, con grande dispendio di energie e di tempo. E così anche i capi di dipartimento e i Rettori vengono eletti non per i loro meriti scientifici, ma in base alla loro capacità di attrarre fondi nella propria università, il che spesso dipende anche dal potere personale e dagli allacci che si hanno in politica o nel sistema industriale.
I ricercatori sono dunque costretti a cercare fondi all’estero o presso imprese private che investono in ricerca militare, oppure presso industrie come FIAT, che ha ricevuto dalla Banca centrale europea un finanziamento di 350 milioni di euro a sostegno dei progetti di ricerca e sviluppo, o come Finmeccanica o anche presso la British Tobacco Italia, viste le decine di milioni di euro che queste aziende ricevono tramite i fondi PON. Ed è a questo punto che cercare un impiego ben retribuito vuol dire, per un ricercatore, mettere in pericolo la libertà di ricerca e la propria etica civile.
Un altro modo per abbattere la libertà della ricerca è aumentare infinitamente la burocrazia, sottoporre i ricercatori a ogni genere di impegno burocratico, dalla selezione per la partecipazione a bandi, al sistema diabolico della valutazione dell’Anvur, all’obbligo del public or perish e così via. Tutto questo impedisce di creare nell’università una dimensione di sereno e libero confronto tra i ricercatori, di creare una vera comunità di pensiero e di dialogo. Si va all’Università per apprendere un mestiere o per cercare di entrare nell’enclave universitaria destinata alla “scienza come professione”, ma spesso solo dopo una lunga guerra di allievi contro altri allievi, di “scuole” contro altre “scuole”, per cui alla fine, quando si è conquistato il “titolo”, si è soli, oppure si è all’interno di una congrega ben chiusa in se stessa che vive a spese di un’altra congrega.
L’assenza di questa dimensione di libertà, negata dall’organizzazione attuale della ricerca, è assai più grave per le facoltà umanistiche, che non sono state ordinate per trasmettere “tecniche” o “mestieri” ma devono formare il cittadino come uomo di pensiero, come uomo di cultura, e non un professionista del sapere, che si costruisce una carriera eccezionale di consulente sulle spalle dell’erario pubblico. Il ricercatore, lo scienziato, deve essere consapevole di occupare un posto speciale nella società, perché è una figura pubblica che deve preoccuparsi di ciò che opprime il libero sviluppo delle potenzialità di una società, e può fare molto per renderla più libera se egli in prima istanza è libero e non vincolato a logiche estranee alla ricerca, come le logiche strumentali all’economicismo o al consenso politico.
Per sottolineare l’importanza di qualsiasi ricerca non finalizzata riporto di seguito una sintesi che ho fatto anni fa delle posizioni in materia di Sheldon Glashow, Nobel per la fisica, sulla “produttività” della ricerca di base. Prima però chiederei lumi al Milena Cuccurullo sulla sua affermazione in merito ad un finanziamento di 350 milioni della BCE alla Fiat; ciò che mi sembra impossibile dato la statuto della BCE.
Ed ecco la citazione: “Sheldon Glashow, Nobel per la fisica, ha evidenziato … 10 aree di innovazioni strategiche per il mercato e addirittura creatrici di mercati: informatica: il World-Wide-Web (creato da e per i fisici delle Alte Energie al CERN); computer (scoperte di fisica fondamentale alla base della moderna elettronica, sviluppo della logica matematica astratta, necessità per i fisici nucleari degli anni ‘30 di sviluppare metodi per contare le particelle); crittografia moderna che rende possibili transazioni bancarie e finanziarie a distanza con le necessarie garanzie di sicurezza (teoria dei numeri); sistemi di posizionamento globale (GPS) (derivano dagli orologi atomici sviluppati al solo scopo di verificare la teoria della relatività generale); terapia con fasci di particelle (parte con Madame Curie; si consolida con i ciclotroni di Berkeley e Harvard; gli acceleratori di elettroni di alta energia sono usati per trattare alcune lesioni derivanti dall’AIDS, il linfoma della pelle e il cancro al seno); medical imaging (i primi analizzatori di immagine (scanner) medici furono sviluppati da fisici delle Alte Energie; Cormack e Hounsfield hanno condiviso un Premio Nobel per la tomografia assistita da calcolatore; l’attività’ medica e’ divenuta dipendente dagli scanner CAT, dall’Imaging a risonanza magnetica (MRI) e dalla tomografia a emissione di positroni (PET). L’MRI usa il magnetismo nucleare, mentre il PET usa una forma di antimateria. Entrambi queste nozioni sono nate in un ambiente accademico ben lontano dai problemi del “mondo reale” ai quali oggi sono indirizzate); superconduttività, che sarà la base di molte nuove tecnologie del XXI secolo (nata dal fatto che a Fermilab, laboratorio di ricerca fondamentale, è stato costruito il Tevatron, un acceleratore a magneti superconduttori); radioisotopi (Fisica delle Alte Energie e Astrofisica). I radioisotopi sono utilizzati per un’ ampia gamma di scopi medici; applicazioni attraverso l’uso delle spettroscopia di massa in archeologia, geologia, planetologia, e ingegneria (ad esempio nell’individuazione di perdite). Più recentemente, la tecnica chiamata AMS sta diventando un importante mezzo di ricerca medica (per studiare l’effetto delle droghe su soggetti umani, per tracciare i percorsi metabolici, etc.); sorgenti di luce di sincrotrone (la radiazione di sincrotrone e’ straordinariamente utile e di interesse commerciale: scienza dei materiali, test industriali, scienze della terra, ambiente, diagnostica medica); sorgenti di neutroni (la diffusione e la diffrazione di neutroni ottenuta utilizzando intense sorgenti hanno una miriade di applicazioni in ingegneria).
L’osservazione di questa evidenzia fattuale non è priva di insegnamenti. La conoscenza utile per l’azione non si genera nel vuoto, bensì all’interno di una griglia cognitiva che suggerisce, anche se in maniera inizialmente poco definita e compiuta, ulteriori direzioni di ricerca e possibili collegamenti tra conoscenze appartenenti a domini diversi. Ogni progresso di conoscenza, in altri termini, suggerisce opzioni per la costruzione di ulteriore conoscenza; alcune di tali opzioni riguardano di nuovo la conoscenza fondamentale, altre quella utile per l’azione. Non ha quindi senso puntare direttamente e autonomamente alla ricerca finalizzata. Quello che è invece importante è il coinvolgimento di risorse umane e materiali ulteriori rispetto a quelle impegnate nella ricerca di base sia nella individuazione delle opzioni applicative sia negli sforzi di ricerca finalizzata e applicata idonea al loro sviluppo.”
Gentile Sergio, La ringrazio molto del contributo. Effettivamente c’è un errore nel mio intervento: il prestito di 350 milioni è stato concesso dalla BEI, la Banca europea per gli investimenti, come si legge nell’articolo uscito su “Il Corriere delle Alpi” del 6 luglio 2012, e non dalla Banca centrale europea. Mi scuso per l’errore e La ringrazio per la segnalazione.