Con il termine monocultura[1] si vuole in questo contesto indicare la promozione di un singolo ambito culturale a discapito di un numero (elevato) di altri ambiti affini o diversi.
La monocultura si sta affermando soprattutto in quei contesti culturali in cui entra in gioco un criterio di “profitto” (in senso stretto, ma anche in senso lato). È abbastanza evidente che la monocultura ha, nel corto termine, elevati vantaggi economici. Essa permette infatti di utilizzare in gran parte mano d’opera meno autonoma, e quindi meno costosa, limitando il numero di persone cui è richiesta autonomia e creatività e che sono quindi più costose. Anche i grandi laboratori di ricerca sono, proporzionalmente al numero di persone impiegate, molto più economici di un insieme di piccoli laboratori.
Questo guadagno in termini “economici” si riflette, nel breve termine, in un vantaggio complessivo abbastanza evidente. L’efficienza e l’economicità producono scoperte e “invenzioni” decisamente più convenienti dal punto di vista del rapporto costi/benefici[2]. I problemi della “monocultura” si manifestano nel lungo termine. Vediamo come.
Svantaggi della monocultura
Il problema principale della monocultura è che non è adattabile. I problemi da affrontare nel lungo periodo sono diversi e richiedono competenze differenziate.
La conoscenza è fondata su molti ambiti di competenze. Ogni ambito ha una capacità di sviluppo e produzione che si adatta all’ambiente in cui si sviluppa. Le capacità di “reagire” ai cambiamenti culturali sono necessariamente relative all’ambito in cui la cultura si sviluppa. Un ambito culturale è comunque costituito da differenti competenze, ognuna con una diversa capacità di reagire ai cambiamenti culturali (anche all’interno dello stesso ambito culturale, i singoli individui hanno punti di forza e debolezze culturali diversi).
Inoltre, il singolo ambito, e l’intero panorama culturale, cambiano continuamente per adattarsi ai cambiamenti della cultura in generale e degli ambiti culturali vicini.
La “monocultura” spazza via la variabilità, distrugge la diversità e la sostituisce con, nel migliore dei casi, un singolo ambito culturale, nel peggiore con una singola ricerca che, essenzialmente, ha resistito solo grazie al taglio della competizione.
Il panorama della monocultura prevede un numero sterminato di soggetti dediti a un singolo ambito culturale che si troveranno a dover affrontare un insieme multiforme di problematiche. Le problematiche investiranno ambiti diversi e saranno in continua evoluzione e mutazione, mentre la monocultura avrà privilegiato capacità specifiche non in grado di affrontare problematiche nuove.
Per proteggere la cultura l’unica strategia sarà a quel punto quella di aumentare le capacità di diffusione dell’unica “cultura” rimasta che però non sarà in grado di affrontare la variabilità delle problematiche. La monocultura è intrinsecamente perdente nel lungo periodo.
Gli effetti negativi della monocultura sulla cultura
La monocultura richiede che vengano impegnate in essa un numero crescente di individui cosicché l’impatto negativo sugli altri ambiti culturali cresce, essendo anche determinato dalla carenza di ricercatori che decidono di dedicarsi a linee di ricerca alternative.
I ricercatori cercheranno di utilizzare tutte le competenze e gli strumenti di cui sono dotati per risolvere il problema che hanno di fronte, ma quando si troveranno di fronte a nuovi problemi che necessitano di strumenti e competenze diverse da quelle utilizzate nella monocultura, si dovranno rendere conto di non avere più un bacino culturale da cui attingere.
[1] Questo testo è quasi totalmente una libera parafrasi di un articolo (http://EzineArticles.com/6780941) in cui si parla di “monoculture” in senso agricolo. L’analogia è sorprendentemente calzante e dovrebbe far riflettere.
[2] Quando qui si parla di vantaggi “economici” si vuole dare a questo termine l’accezione più vasta possibile. Non si intende quindi riferirsi al “profitto” di un prodotto direttamente “vendibile”, ma si intende riferirsi anche a quei parametri che sono specifici della ricerca non direttamente applicata quali la produzione scientifica, l’internazionalizzazione, la diffusione dei prodotti culturali, ecc. ecc.
Interessante. Già trenta anni fa, alla fine degli anni ’80, uno dei più grandi matematici italiani del Novecento, Ennio De Giorgi, faceva un parallelo “ecologico” sostenendo che, come c’è la necessità di proteggere la biodiversità, così c’è la necessità di proteggere la varietà e diversità delle discipline, soprattutto quelle di nicchia. Una biografia di De Giorgi è stata scritta da Andrea Parlangeli col titolo “Uno spirito puro”.