Fra le donne e gli uomini, giovani e meno giovani, che operano nella Università e nel sistema della ricerca del nostro Paese è cresciuta in questi anni la consapevolezza della importanza del sapere per lo sviluppo economico e sociale. E della responsabilità grande che è sulle loro spalle e nelle loro menti. Di essere quelli che possono essere protagonisti del salto di qualità del Paese sul terreno della innovazione produttiva e della coesione sociale. Della creazione di lavoro nuovo e buono.
Sono consapevoli che l’Università e la ricerca devono innovarsi. Superando incrostazioni burocratiche e corporative. Rapportandosi in maniera più efficace al sistema delle imprese e al territorio. E alla domanda di uno sviluppo sostenibile che sappia tenere insieme nuovi obiettivi produttivi e salvaguardia dell’ambiente , innovazione d’impresa e tutela e valorizzazione della propria storia e del proprio patrimonio culturale. E sanno che per questo c’è bisogno di immettere più conoscenza nella produzione e nei servizi, di lavoratori e cittadini più consapevoli e più istruiti.
Lo sanno, e cercano persino di mettere in pratica questa consapevolezza, nella aule e nei laboratori, in rete fra di loro, e col territorio e col mondo. Ma proprio perché lo sanno, trovano incredibile che chi queste cose dovrebbe saperle quanto loro e più di loro, coloro che in questi anni hanno avuto la responsabilità di governare il Paese, abbiano attivamente operato per ridurre invece che aumentare la loro possibilità di produrre sapere e conoscenza, di formare nuove generazioni di studiosi e di ricercatori, di aumentare il numero e la qualità dei laureati.
La prima cosa, il primo segnale che chiederanno al nuovo Governo sarà un segno chiaro e tangibile che la priorità del sapere, tanto facilmente predicata, diventi una priorità praticata, magari riportando da subito ai livelli del 2008 i fondi per scuola, Università, ricerca, diritto allo studio. Molti di noi hanno vissuto con qualche tensione gli stessi anni di Governo del centro sinistra. Anche allora, forse, le prediche hanno prevalso sulle pratiche. Ma è indubbio che, se diamo un’occhiata alla serie storica della spesa, quegli anni segnarono il punto relativamente più alti degli investimenti sul sistema. Non sufficienti, non all’altezza dei compiti che alla filiera della conoscenza si attribuiscono. Ma ripartire da lì, dopo il tagli della destra e dei tecnici, sarebbe comunque un segnale chiaro di inversione di tendenza.
Per innovare certamente. Per programmare, per ridare spazio all’autonomia, per valutare e essere valutati. Sapendo bene che queste parole assumono un significato completamente diverso se inserite in una strategia di espansione del sistema, o se avvengono dentro una costante e inesorabile contrazione delle risorse, magari pronunciate da quegli stessi che cominciano a dire che in Italia- che ha il minor numero di laureati dei paesi dell’OCSE- gli studenti sono troppi, e che con la cultura non si mangia.
Perché la contrazione delle risorse ha reso il sistema più povero e più rigido. Impegnato in strategie di sopravvivenza più che a promuovere innovazione.
I ricercatori, i docenti, gli studenti che saranno con noi il 12 febbraio all’Eliseo sono quelli che vogliono andare oltre la semplice difesa dell’esistente. Che in questi anni, tra mille difficoltà, hanno messo in moto idee e e progetti di cambiamento. E vogliono illustrarli alla politica che sentono più vicina, e che si appresta a governare il Paese. Non chiedono, Dio ce ne scampi, nuove riforme epocali. Vogliono semplicemente mettere a disposizione della politica la loro esperienza di riformatori. E che la politica faccia tesoro della loro esperienza. Perché nell’economia e nella società delle conoscenza più che le “riforme” contano i “riformatori”.
(pubblicato su Left 2 febbraio 2013)
Il Convegno organizzato da Left “+Sviluppo=Sapere il mondo della conoscenza prende la parola” si terrà al Teatro Eliseo (Roma) martedì 12 febbraio ore 1, prenderanno parte Andrea Ranieri, Daniela Palma, Luciano Modica, Marco Mancini, Francesco Sinopoli, Paolo Rossi, Francesco Sylos Labini, Giuseppe De Nicolao, Stefano Fassina, Walter Tocci, Umberto Guidoni. LOCANDINA
Non potrò essere a Roma martedì. L’iniziativa è ottima anche se un po’ pre-elettorale.
Io chiedo agli amici ( si dice così ora) del PD di finirla però di parlare di “incrostazioni burocratiche e corporative”, di lasciare questo linguaggio alla destra berlusconiana e confindustriale e ai giavazzisti-alesinisti. Ci siamo liberati di Ichino ( non lo vorrete fare ministro vero ?), non ne sentiamo la mancanza. C’è chi in questi anni oscuri all’università ha lavorato e prodotto. Un po’ miracolosamente continuiamo a produrre laureati e dottori di ricerca ( invisibili ai nostri lungimiranti industriali) disprezzati in patria e richiesti all’estero. Ci si è trovati spesso soli a tirare avanti e resistere. E molte volte, come in guerra, “sotto il fuoco amico”. Tutti i giorni ci sono novità che sembrano fatte apposta per farci lavorare peggio e aumentare il carico burocratico. Di incrostazioni all’università in questo momento si dovrebbero vedere principalmente quelle degli edifici cadenti. E non è solo una questione di soldi; ci vuole un po’ di coraggio, bisogna che la si smetta di pensare che il modello è quello confindustriale bocconiano, del pensiero unico liberista. Incrostati, fannulloni e veri e propri mascalzoni ci sono, anche ad alti ed altissimi livelli, in percentuale analoga e forse minore di altre categorie.
Forse se questa nostra povera patria è ancora in piedi, traballante, ma in piedi, lo si deve anche un po’ a quello che resta della nostra dileggiata università.
Condivido quanto detto da canepa. Spero che gl amici, promotori dell’iniziativa, abbiano spiegato alle star del pd la necessita’ di maggiore attenzione sull’universita’. E di evitare altri fenomeni alla ichino. E cioe’ sono liberista, ma vengo da voi cosi’ vi faccio impazzire, vi riduco allo stremo e faccio felice confindustria.