Facendo seguito alla lettera aperta di S. Brasini e G. Tassinari riguardo il Gruppo di lavoro per le procedure per la abilitazione scientifica nazionale nei settori non bibliometrici di area 13, riportiamo le prese di posizione di Piero Bevilacqua, quella di Maurizio Matteuzzi (pubblicata sul Manifesto) e infine della FLC CGIL.

Conosco da anni Giovanni Federico come serio studioso della storia economica italiana e perciò tanto più mi stupisco per le  livide espressioni usate nel suo commento. Quelle espressioni hanno poco di scientifico e certamente – com’ è stato osservato da tanti colleghi – mal si adattano alla posizioni di un membro dell’ANVUR, che è tenuto quanto meno a uno stile di sobrietà oltre che di imparzialità. Quel che vorrei tuttavia sottolineare è che, a parte l’elemento rancoroso, e quasi di istigazione al linciaggio psicologico, presente nelle parole di Federico, il suo parere esprime una posizione diffusa anche tra colleghi bravi e stimabili. In quest’ ultimo caso, essa nasce da un risentimento morale, nei confronti delle tante storture e ingiustizie che hanno costellato la valutazione scientifica nelle Università italiane negli ultimi anni. Ma tale risentimento, che si trasforma in moralismo, non solo produce le “ritorsioni” alla Federico, quanto anche si sostituisce all’analisi disincantata di ciò che sta accadendo ai nostri Atenei. Le Università italiane sono da anni sottoposti a una emarginazione sistematica e crescente e tanti colleghi – per effetto di uno sguardo troppo chiuso dentro le mura accademiche –  riescono a vedere solo l’offa di una moralizzazione e di un premio al merito  promessa  dalla riforma Gelmini e dalla politica di Profumo. Manca ad essi perfino la percezione di quale profondo legame esista oggi tra ciò che accade alla ricerca e alla formazione e le tendenze del capitalismo finanziario dei nostri anni.

E forse è chiedere troppo. Ma questi docenti non avvertono neppure quale processo grave di svuotamento dell’autonomia universitaria sia oggi in atto. Essi si gloriano di poter “punire” qualche collega immeritevole e di poter così far trionfare scienza, ricerca e onestà, ma non si accorgono di aprire una guerra fallimentare fra docenti, a favore di qualche nuovo potentato, e di lasciare sguarnito un terreno di lotta generale, quello in cui si giocano le sorti future dell’Università pubblica.

Sottoscrivo la lettera aperta dei colleghi al Direttivo dell’ANVUR.

Piero Bevilacqua

 

Anche l’ANVUR si prepara all’ “equità”

Molto ma molto tempo fa c’erano le baronie accademiche. Le faide, le lotte, le ingiustizie non mancavano certo. Tuttavia le antiche baronie avevano un’etica. Poi si sono tentati i sorteggi, le elezioni, le valutazioni comparative, gli scritti pseudo-anonimi per gli aspiranti al dottorato, e tante altre inutili alchimie. Perché, ed è ben facile convincersene anche solo per via empirica, ovvero per testimonianza storica, la moralità non può essere introdotta per via normativa, cioè con minuziosi quanto vani marchingegni formali.

Ho vissuto dall’interno del mondo accademico questi ultimi 48 anni, di cui 42, a vario titolo, da docente. Una delle poche certezze che ho raggiunto in merito è che ogni immaginifico meccanismo ideato dai nostri fantasiosi politici è stato peggiorativo rispetto a tutti i precedenti. Credo che il punto di massimo trionfo del malaffare si sia raggiunto dalla fine degli anni novanta, con il meccanismo delle prima tre poi due idoneità per ogni posto chiamato con giudizio comparativo. La ragione è molto semplice: poiché in ogni settore disciplinare ci sono alcune “scuole” dominanti, ed essendo il numero dei così detti idonei molto basso, prima tre poi due, come detto, non poteva non prevalere il criterio spartitorio; per il quale ad ogni potentato spettava un posto, e il ciclo riprendeva poi daccapo. In questo modo un libero pensatore non affiliato non aveva alcuna speranza di essere preso in considerazione. A questa stortura si è aggiunta l’altra regola non scritta per la quale sempre e comunque il candidato “interno”, cioè quello per il quale il concorso era bandito, era intoccabile  anche nel caso della più conclamata incapacità, non che di insegnare, ma persino di intendere e di volere. Il meccanismo in questione, pertanto, spingeva in modo naturale al comportamento mafioso e al malaffare, anche se non impediva di fare le cose onestamente, e ci sarà chi le ha fatte, ma per senso etico e non certo per la cogenza della procedura. D’altra parte, che questi sarebbero stati gli effetti era facilmente prevedibile. E il meccanismo era così ben oliato che gli atenei fornivano ai commissari i già precostituiti facsimile dei verbali delle adunanze: quella di insediamento, quella per la determinazione dei criteri, quella per la valutazione dei titoli ecc. Tutti verbali uguali, assolutamente vacui, inutili e drammaticamente privi solo dei risultati delle votazioni, determinati a parte da un volonteroso che trovava la distribuzione perché risultasse la terna (poi coppia) desiderata.

Dopo la tragedia, con congrua immissione nei ranghi di una buona dose di, qui conviene, per amor di patria, far ricorso alla litote, persone non completamente adeguate, come sempre, la farsa. Abbiamo finalmente trovato l’algoritmo ottimo. Si prenda il numero delle citazioni ricevute, si moltiplichi per l’h-index diviso radice di 2, si sommino il triplo del numero dei saggi delle riviste classificate come “A” da “Standard & Poor’s”, il doppio delle “B” e la metà delle “C”, si divida il tutto per l’età accademica moltiplicata per e, la base dei logaritmi naturali, e infine si moltiplichi il risultato per pigrecaquarti. Output? La moralità. Certo, uno potrebbe fare domande imbarazzanti. Ad esempio, ma perché pigrecaquarti? Be’, una formula che si rispetti contempla sempre almeno una volta pigreca. E poi questo, non bastasse la presenza di e,  garantisce che il risultato è irrazionale: ad essere sinceri ce lo aspettavamo, molto irrazionale. Anzi, di più, è trascendente. Fa venire in mente la formula per l’area dell’universo:  Dio per Dio per 3,14, naturalmente.

E poi adesso noi abbiamo un’agenzia di rating, cavolo. La nostra “Standard & Poor’s” si chiama ANVUR. È bello avere un’agenzia indipendente. Da chi poi, visto che è di nomina ministeriale? Be’, ma le cose bisogna imitarle bene, è indipendente come lo sono Standard & Poor’s e Moody’s dai potentati economici. Si capisce così che finalmente il tempo delle mafie accademiche è finito. Si vuole una controprova? Basta leggere le intenzioni dichiarate di un membro di un autorevole gruppo di lavoro dell’ANVUR, che stende un manifesto della correttezza e del rispetto dei colleghi dissenzienti:

“Lasciamo che gli ordinari vecchi vadano in pensione, facciamo mobbing su quelli giovani ma mediocri o peggio per farli andare in pensione (p. es. tagliamoli fuori dalle commissioni di concorso e facciamone degli zombies)”.

Ecco, vedete, abbiamo finalmente trovato la moralità.

Maurizio Matteuzzi

(pubblicato sul Manifesto dell’8 agosto 2012)

 

Sconcertanti dichiarazioni di un collaboratore dell’ANVUR

La FLC CGIL ne chiede le dimissioni e ribadisce l’urgenza di rivedere ruolo e funzioni di una agenzia dall’operato sempre più ideologico.

È di questi giorni l’ennesima sconcertante dichiarazione da parte di membri dell’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) che giunge ad accrescere i malumori della comunità scientifica nazionale. Del 3 luglio scorso è la nomina da parte dell’ANVUR di un “Gruppo di lavoro per le procedure per la abilitazione scientifica nazionale nei settori non bibliometrici”, un gruppo che ha un ruolo decisivo per la buona riuscita di un processo di valutazione e “abilitativo” che poco si adatta ai settori non bibliometrici. Uno dei membri di questo gruppo, il prof. Giovanni Federico, commentando l’avvio delle procedure abilitative su un noto blog, ha affermato: “facciamo mobbing su quelli giovani ma mediocri o peggio per farli andare in pensione … Quando poi i nostri colleghi avranno imparato ed il clima sarà cambiato, allora i soldi saranno ben spesi. In questo processo ci saranno delle ingiustizie? Purtroppo si”.

Le affermazioni sono chiare e rappresentano in maniera netta ed inequivocabile pochezza culturale e scientifica, un auto-compiacimento che sfiora il ridicolo e una totale assenza di professionalità e misura. Ne emerge, peraltro, una logica selettiva che nulla ha a che vedere con la valutazione e che rischia di gettare ombre fosche su un organismo che pure nel suo codice etico dice di ispirarsi ai principi della collaborazione e della massima professionalità.

Delle due l’una, o quanto scritto nel nome di Giovanni Federico è falso – ed allora auspichiamo quanto prima una smentita e un relativo esposto alla magistratura competente – oppure è necessario che l’ANVUR termini la propria collaborazione con chi non ha la professionalità e la misura che si addicono ad un esperto in valutazione. Riteniamo che dopo dichiarazioni simili, che giustificano comportamenti e scelte arbitrarie e la ingiusta penalizzazione di studiosi validi, il vincolo di fiducia tra questo collaboratore dell’Anvur e la comunità scientifica nazionale si sia irrimediabilmente dissolto. Chiediamo che il presidente dell’Anvur e lo stesso ministro ne tengano debitamente conto e rimuovano il prof. Federico dall’incarico.

È evidente la necessità di rivedere il funzionamento e le funzioni dell’ANVUR anche in considerazione della deriva ideologica di una struttura che si allontana sempre più non solo dalle buone prassi, ma dall’ordinario buon funzionamento di istituti analoghi a livello internazionale.

FLC-CGIL

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